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FORSE CHE Sì FORSE CHE NO (se cade il governo) di Mariaserena Peterlin

Dramma annunciato nel mondo della scuola e dell’istruzione: se cade il Governo (il che tutti desideriamo spassionatamente o appassionatamente) cade Gelmini, e se cade Gelmini cade anche il principale argomento-bersaglio contro cui docenti, studenti, famiglie, esperti, formatori indignati e non ecc ecc scagliano consolidati strali & invettive.
Che fare? Rimane qualcosa di cui parlare?

Il mondo della cultura, della scuola, della formazione e dell’istruzione potrebbero, a brevissimo termine, trovarsi a tirar fuori dal cappello-pensante (se c’è) qualcosa di più del brontolio cerebrale contro l’esistente e a dimostrare di saper programmare, progettare, dar vita al nuovo.

Ma non è tutto. Ovviamente, e qui il problema si ingigantisce, riguarda anche tutto il resto: in primo luogo l’economia.
E l’affare s’ingarbuglia.

Riusciranno i nostri eroi della cosiddetta alternativa, dell’opposizione, dell’indignazione e, insomma, tutta l’ottima galassia anti-berlusca nell’impresa di cambiare argomento e mettersi a proporre e costruire?

L’Italia, se si desta e se andrà sposa a loro, vorrà risposte urgenti; e si aspetterà prestazioni adeguate.
E speriamo bene.

Famiglia, pc e bambini – se non ora, dopodomani ? Dejà vu- di Mariaserena

Ci dicono i tuttologi, compiaciuti oppure allarmati/allarmanti, che prima dei dieci anni i ragazzini hanno già una disinvolta conoscenza del digitale ed usano con estrema facilità pc, telefonini ed ogni altra diavoleria che per papà e mamma possono essere ancora un po' difficili da adoperare.
Riflessioni? Ahimè inevitabili.
E dunque prima che vengano individuate priorità educative ineliminabili e perciò:
1) prima che a qualche pedagogista sperimentale venga in mente di proporre come metodo educativo una scansione oraria della giornata in cui il minutaggio della presenza davanti al pc sia calcolato con un'equazione di terzo grado
 
2) prima che a qualche esperto di formazione di frontiera venga l'idea di introdurre nelle materie di studio oltre ad un'approfondita conoscenza di materiali come carta da parati, vetro della cocacola, alluminio da lattine, cestini e sacchetti di mcdonald’s anche nozioni digitalizzate di metodi per smaltimento dei rifiuti solidi-liquidi-umidi
 
3) prima che ai mentori dell'istruzione a tutto campo appaia essenziale, anche per le scuole materne, la settimana dello sviluppo sostenibile (che è, già di per sé, di una noia mortale e insostenibile), oppure quella dello studio della lingua delle etnie australiane, quella dell'educazione stradale in curva o l'educazione all'ambiente montano-marino-collinare-fluviale (come se fosse chissà quale novità)
 
 4) prima che all'esperto in educazione plurimotoria sembri fondamentale che in prima elementare si insegni il tiro con l'arco unito a quello al piattello, il bob a 4 e il parapendio
 
5) prima che alle associazioni di volontariato sembri primaria per la formazione del fanciullo una nuova materia di studio ossia la "nascita, storia e magia delle Onlus"
 
insomma prima che tutto ciò accada vorrei dire sommessamente che, secondo la mia modesta esperienza, il pc non nuoce ai bambini, come non nuoce giocare a nascondino o a carte o giocare alle bambole o a campana.
Quello che nuoce ai bambini è far sparire dal loro orizzonte la famiglia.
E questo accade quando si impongono ritmi ed esigenze di lavoro che sopraffanno l'umana possibilità.  Quello che nuoce ai bambini è che la scuola e la famiglia confliggano e non si stimino nè collaborino.

Quello che fa bene ai bambini è stare a contatto con papà e mamma (e in seconda battuta magari cugini, zii, nonni) giocare con loro ogni volta che è possibile ed essere coinvolti, a pieno titolo, nella vita di famiglia.
Quello che fa bene è vivere serenamente il tempo della scuola essendo coinvolti responsabilmente in un progetto di crescita e di apprendimento.

Partendo da queste basi le altre occupazione potrebbero trovare, alla luce del buon senso e dell'affetto reciproco, una equilibrata collocazione e un uso corretto.
Finiamola con gli allarmi, o ci toccherà finanziare anche un progetto europeo per l'uso sostenibile del pc di casa. E non mi sembra il caso.

TESTI SCOLASTICI: da ADOTTARE, SCARICARE o ELIMINARE? di Mariaserena Peterlin

I testi scolastici e la scuola: quanto sono vivi?

TERZA_a_2003-AQualche anno fa una mia collega mi ha raccontato, molto divertita, di un consiglio di classe in cui era all’Odg un noto argomento “conferma ed adozione libri di testo”. Come tutti sanno su questo argomento possono esprimersi anche i genitori rappresentanti di classe e in quella classe il rappresentante era, di professione, impresario di pompe funebri.Iniziò la discussione e l’impresario  prese arditamente  la parola chiedendo: “Voi che articoli avete?”

Ne seguì uno sghignazzamento mal represso degli insegnanti presenti: l’impresario di pompe funebri fu marchiato per il suo linguaggio, forse un po’ commercial-mortuario,  e, imbarazzato rientrò nei ranghi. I prof , trionfanti e soddisfatti, procedettero senza remore al dovere d’ufficio e la seduta terminò.
D’accordo, i testi scolastici non sono casse da morto (anche se non mancano riesumazioni di capitoli riciclati), ma perché farne una questione formale? I libri sono libri e (a torto o ragione) possono essere oggetti di culto e cultura; ma i testi scolastici spesso sono altra cosa. Spesso sono una semplificazione per il lavoro dei docenti e,  approssimando per eccesso, mi sento di affermare che un bravo insegnante potrebbe anche farne a meno, e non sarebbe un errore o una stravaganza da reprimere.
I libri di testo, che è d’obbligo adottare nelle scuole, rappresentano anche un lucroso affare, un business per gli editori.
Le famiglie lo sanno bene, ma lo sanno ancor meglio le case editrici medesime che s’ingegnano a modificare capitoletti e paragrafi per allestire nuove edizioni aggiornate, rivedute e corrette per costringere ad acquistare il nuovo e a lusingare qualche docente per indurlo all’adozione e alla conferma.
Non tutto si può ridurre al discorso del denaro: ma è pur vero che se le famiglie investono centinaia di euro per acquistare è corretto ascoltarle su tutte le loro esigenze e perplessità e non tentare di metterle in condizioni di soggezione pseudo-culturale o d’altro tipo. Insomma secondo me aveva ragione l’impresari di pompe funebri: “che articoli avete? che ci volete far comprare?” e, di conseguenza… “è proprio necessario farci spendere tanto denaro?”.
Professori abbassate il ponte levatoi e non alzate troppa polvere, una buona ragione si può, si deve spiegare con semplicità. Altrimenti ha ragione la Carlucci  quando strologa da par suo sulla imparzialità (vera o presunta) dei testi scolastici. Se le ragioni della scuola sono buone allora è giusto dirle in forma chiara e dimostrando competenza. Altrimenti lanciare segnali di sdegno e insofferenza verso le ingerenze di Carlucci, di Pinco Pallino o del malcapitato impresario-genitore di turno serve solo a rendere grottesca (o funerea) la situazione dell’insegnante che adotta testi vecchi, di vintage o finto-nuovi senza perplessità e considerandolo un suo sacro privilegio. Del resto, considerando l’abbondanza delle fonti di informazione e di testi scaricabili gratuitamente dalla rete potremmo dire che i libri scolastici vivono di una vita artificiale, ma che anche la scuola non sta tanto bene. 

INSEGNANTI: auto – RIDEFINIRE RUOLO E IDENTITÀ di Mariaserena Peterlin

Nella riflessione sul proprio ruolo un insegnante si trova a fare i conti, tra l’altro, con la realtà disomogenea della scuola italiana che, anche tra quartieri diversi della stessa città, ha situazioni disuguali anche se pare che l'amministrazione non ne tenga conto. 
Il docente rimane spesso solo anche all'interno della sua stessa scuola o del consiglio di circolo, di classe, di istituto e così via ma, come ogni professionista determinato,  anche il bravo insegnante, nella sua solitudine non perde di vista la priorità di occuparsi dei suoi allievi, che conosce o dovrebbe conoscere, bene e con i quali dialoga.
S e non si lascia prendere dal vittimismo (purtroppo praticato)si pone di fronte alla sua missione educativa, facendo leva principalmente sulle proprie risorse personali e le proprie motivazioni; se il suo lavoro è efficace (con o senza i supporti della tecnologia)  svolge un ruolo di cittadino prezioso e fondamentale per il domani del paese. 
Sulla sua strada non trova facilitazioni: nell'insegnare ciò che conta sono gli obbiettivi e il fine non il mezzo che può e deve essere calibrato classe per classe, studente per studente, ma deve tener conto anche delle disponibilità che l’ambiente scolastico gli mette a disposizione  in termini di aggiornamento, collaborazione e strumenti, compresi quelli informatici. 
Naturalmente mezzi evoluti possono aiutare, ma a che serve che il Miur li enfatizzi se poi si abbandona la scuola a se stessa e alla buona volontà dei docenti?
Osservo le ultime leve di ragazzini e vedo che apprendono, autonomamente e diversamente, attraverso i nuovi e diversi media con i quali hanno una spontanea famigliarità.. 
Non solo; il loro cervello è stimolato dai nuovi media (che continuamente evolvono) già prima che imparino a leggere e scrivere; è dunque impensabile fermare questo processo o ignorarlo.
Osservo i docenti: tra loro ci sono i sostenitori, i detrattori e gli indifferenti di fronte alle nuove tecnologie. Alcuni se ne sentono messi in discussione. Altri stanno sulla difensiva.
Diventa sempre più importante che l'insegnante non si chiuda, ma lavori a ridefinire il suo ruolo. Un insegnante che legge la realtà e si confronta non potrà non rendersene conto; le nuove tecnologia non sminuiscono infatti il peso della persona-insegnante nella formazione delle nuove generazioni, ma le nuove generazioni e la società mutano.
La riflessione è urgente. Troppo spesso quelli che mi vien da definire "i distrattori sociali" ossia le situazioni contingenti, le complicate relazioni società-famiglia-media-ragazzi- dirigenze scolastiche nonchè la politica dell'istruzione e così via  inducono anche i docenti più attenti a seguire altri itinerari personali di sopravvivenza e, invece di rivendicare competenze specifiche della professione e mettere in discussione i luoghi comuni sono tentati di arroccarsi lanciando grida di dolore.
Pratica del tutto inutile benché comune.