Archivi categoria: crisi della scuola

Creatività e fertilità della mente: come una metafora di vita

Disegno di una bimba: Un papà e una mamma con una bimba nella pancia (è la sua storia)

Omologati e inscatolati, catalogati e selezionati per categorie, come le uova con la data di deposizione+il calibro+il colore del guscio+il cartoncio 2×6 cosa diventiamo? Uova da mangiare e non da nascita. Siamo sterili e non creiamo né vita né idee. E’ facile allora cadere nelle trappole. E la causa risale anche ai “danni dell’educazione” che è quasi sempre omologante ed omologata su schemi che prevedono tante cose, tante regole, tante strutture. E ci dimentichiamo di trasmettere esperienza, di narrare e ascoltare. Io penso che sia più bello e giusto trasmettere per comunicare che non comunicare per istruire. Raccontiamoci le cose, quelle vere e nostre. Non vi siete accorti che il “gossip” è un’altra droga?
Guardate questo disegno: un papà e una mamma con un bimbo nella pancia… 🙂 by nipotina quando aveva 4-5 anni . Speriamo che la scuola non faccia danni…

Famiglia, pc e bambini – se non ora, dopodomani ? Dejà vu- di Mariaserena

Ci dicono i tuttologi, compiaciuti oppure allarmati/allarmanti, che prima dei dieci anni i ragazzini hanno già una disinvolta conoscenza del digitale ed usano con estrema facilità pc, telefonini ed ogni altra diavoleria che per papà e mamma possono essere ancora un po' difficili da adoperare.
Riflessioni? Ahimè inevitabili.
E dunque prima che vengano individuate priorità educative ineliminabili e perciò:
1) prima che a qualche pedagogista sperimentale venga in mente di proporre come metodo educativo una scansione oraria della giornata in cui il minutaggio della presenza davanti al pc sia calcolato con un'equazione di terzo grado
 
2) prima che a qualche esperto di formazione di frontiera venga l'idea di introdurre nelle materie di studio oltre ad un'approfondita conoscenza di materiali come carta da parati, vetro della cocacola, alluminio da lattine, cestini e sacchetti di mcdonald’s anche nozioni digitalizzate di metodi per smaltimento dei rifiuti solidi-liquidi-umidi
 
3) prima che ai mentori dell'istruzione a tutto campo appaia essenziale, anche per le scuole materne, la settimana dello sviluppo sostenibile (che è, già di per sé, di una noia mortale e insostenibile), oppure quella dello studio della lingua delle etnie australiane, quella dell'educazione stradale in curva o l'educazione all'ambiente montano-marino-collinare-fluviale (come se fosse chissà quale novità)
 
 4) prima che all'esperto in educazione plurimotoria sembri fondamentale che in prima elementare si insegni il tiro con l'arco unito a quello al piattello, il bob a 4 e il parapendio
 
5) prima che alle associazioni di volontariato sembri primaria per la formazione del fanciullo una nuova materia di studio ossia la "nascita, storia e magia delle Onlus"
 
insomma prima che tutto ciò accada vorrei dire sommessamente che, secondo la mia modesta esperienza, il pc non nuoce ai bambini, come non nuoce giocare a nascondino o a carte o giocare alle bambole o a campana.
Quello che nuoce ai bambini è far sparire dal loro orizzonte la famiglia.
E questo accade quando si impongono ritmi ed esigenze di lavoro che sopraffanno l'umana possibilità.  Quello che nuoce ai bambini è che la scuola e la famiglia confliggano e non si stimino nè collaborino.

Quello che fa bene ai bambini è stare a contatto con papà e mamma (e in seconda battuta magari cugini, zii, nonni) giocare con loro ogni volta che è possibile ed essere coinvolti, a pieno titolo, nella vita di famiglia.
Quello che fa bene è vivere serenamente il tempo della scuola essendo coinvolti responsabilmente in un progetto di crescita e di apprendimento.

Partendo da queste basi le altre occupazione potrebbero trovare, alla luce del buon senso e dell'affetto reciproco, una equilibrata collocazione e un uso corretto.
Finiamola con gli allarmi, o ci toccherà finanziare anche un progetto europeo per l'uso sostenibile del pc di casa. E non mi sembra il caso.

Note elettriche di scuola – di Mariaserena Peterlin

(disegno di Nadagemini)
Nello scrivere penso al post dell’amica Fermina Daza sulla “Didattica ortodossa” e ho in mente anche tante considerazione che abbiamo fatto insieme e che un giorno insieme, spero, scriveremo.

Questo scritto, non è un tentativo di narrazione letteraria. Lo dichiaro subito in omaggio alla evidenza che altro è dire, altro è commentare, parlare di ricordi, chiosare, annotare, altro è divertirsi a ciarlare, scambiar parole ecc e altro è narrare per far opera letteraria.
 
Meglio non sottovalutare le parole, specialmente in campo narratologico, perché se ne potrebbe uscire fulminati.
Forse riuscirò a spiegare come e perché.
Alcune parti di questo scritto sono state prese e riviste da una mia raccolta di cose vere e di scuola che ha preso il titolo “La (mia) classe non è doc”.
Altre parti di questo scritto sono considerazioni di oggi.
Le prime sono scritte in corsivo, le altre a caratteri normali. L’ordine segue solo una mia logica di associazione mentale, e non.
 
3. Storie e lotte di classi
Le iscrizioni alla scuola, dopo elaborate e attente pratiche di orientamento e ri-orientamento, sono messe in atto in collaborazione con le Scuole di provenienza degli studenti.
Sull’attribuzione degli studenti alle sezioni e sulla distribuzione numero dei ragazzi iscritti si aprono spesso, tra gli insegnanti, danze e contraddanze non proprio armoniose.
Accade, infatti, che la formazione delle classi sia solo apparentemente casuale o stabilita da criteri d’equilibrio.
Pochi sono gli insegnanti che, per candido senso democratico, per stoica indifferenza alla comune sorte, o per altri indecifrabili motivi continuano ad accettare le classi così come capitano; la gran parte, invece, è costituita da più avveduti prof che si organizzano e manovrano, fin dall’estate, con la perizia degli addetti ai lavori della diplomazia mediorientale.
 
Ma in fondo cos’è mai una classe?
 
Mi è sempre piaciuta la definizione che Maria Corti ne ha dato ne “Il ballo dei sapienti” un libro che narra di scuola, non abbastanza conosciuto e di cui la scrittrice stessa sospese le stampe perché si era posta “un problema di specializzazione o invecchiamento o fossilizzazione del linguaggio, che troppo da vicino connota una realtà sociale e storica di fronte ai mutamenti rapidi del reale” Gabriella Palli Baroni Seduzione intellettuale e creatività: Maria Corti scrittore in cattedra 
 
Maria Corti scrive: “Una classe era una classe, non trentadue ragazzi, una fitta rete di correnti alternate tesa tra trentadue ragazzi.”
Certo si può dirne anche di più, ma forse sarebbe assai più saggio non dirne altro, specialmente se ci si avventura a narrare, e prendere ad esempio la Corti, geniale autrice, per limitarsi a piccole note a margine di un Consiglio di classe.
Dipende dai punti di vista.
Per alcuni una classe è un luogo (sociale, fisico ecc) in cui si passano ore di lavoro insegnando a ragazze e ragazzi aggregati per età. È anche un qualcosa da dimenticare al più presto tornando alle proprie vite quotidiane.
Ma c’è anche chi considera la situazione in modo diverso. Torniamo dunque a Maria Corti. La classe è elettricità perché la classe, innanzitutto, sono gli studenti, ossia i ragazzi.
Loro, considerati individualmente, sono persone di cui prendersi cura dialogando, ricevendo e trasmettendo input e saperi.
La classe, però, non è una semplice somma di un tot ragazzi e ragazze, ma è uno speciale mosaico attraversato (appunto) da un’elettricità scaturita da un complesso aggregarsi di alunni portatori di varianti socio-culturali e affettive.
Ma qui non si narra, qui si fanno note didascaliche e memorialistiche; perciò vado a precisare.
Alcune di queste varianti, essendo impossibile esser certi di definirle tutte, sono: la percentuale di maschi-femmine, la provenienza da scuole diverse, l’appartenenza a quartieri centrali o periferie, l’aver vissuto in realtà sociali le più diverse, la percentuale di studenti con diagnosi di difficoltà cognitive o di altro tipo e di quelli altrettanto problematici, ma dei quali le famiglie non vogliono rivelare (e possono farlo) la situazione reale.
Il mix di queste varianti genera classi tutte diverse (e diversamente elettriche). Le benevolmente cosiddette situazioni difficili, già segnalate nelle schede scolastiche fin dalle elementari (ma che non sono a disposizione di tutti) si palesano infatti come tante terminazioni nervose scoperte.
E sarebbe davvero illogico farne ricadere il peso sui nostri ragazzi.
Tutti questi elementi si combinano nell’insieme classe e possono rendere un anno scolastico vivibile o massacrante non solo al docente ma anche agli studenti medesimi.
Tra luglio e agosto la scuola è in vacanza ed appare spopolata, ma non lo è poiché spesso vi opera attivamente un esiguo e sagace team di prof, funzionali e spigliati, che organizza. Per sé va a creare  ben allevate classettine di alunnetti di buona famiglia le cui iscrizioni sono stare, fin dalle scuole di provenienza, scrupolosamente pilotate verso predeterminate sezioni. L’operazione è condotta da mani assolutamente vellutate nel pescare, dai faldoni, i nomi giusti che finiscono nell’elenco voluto.
Ma quali sono le conseguenze, sul lavoro docente e sulla vita di classe, di questo vellutato siparietto estivo?
Non esiste uno strumento che misuri scientificamente quanta maggior fatica sia affrontare, ad esempio, trentuno adolescenti sedicenni maschi portatori sani di neuroni disinibiti e ormoni arrembanti piuttosto che diciotto figli/e di famiglia, divisi in uguale numero di  maschi e femmine sussurranti come un coro da parrocchia, per di più inaspettatamente abituati a mangiare con le posate.
Tuttavia un osservatore, pur non maliziosamente meticoloso, potrebbe farsene un’idea  anche solo dando un’occhiata alle fisionomie di docenti che escono da aule diverse, e percorrono corridoi separati, al termine della mattinata scolastica.
Da un lato lo sfacelo di stremati consumatori di antispastici, di valeriane e ansiolitici, dall’altra le guancine fardate e le boccucce appena velate dal persistente baffetto di cappuccino-e-brioche, il setoso trench annodato in vita e bordato di sinuosa pelliccetta volpina o il giusto tailleur.
Dall’altro lato (i mio ad esempio) le chiome da naufragio, l’occhio sconvolto e la sopravveniente tachicardia, dall’altro il tintinnio dei braccialetti, il fruscio del passo obliquo simil felino e la frangia incollata ad onda perfino cotonata.
Ma anche gli ambienti sono diversi.
Nel loro corridoio le aule sono ben esposte e luminose,  nel nostro abbiamo gli ex-bagni riattati e l’aria opaca di afrori fronteggiati alla meglio con gli appelli all’uso di acqua e sapone (prescritti tre volte al dì) nonché al cambio di maglietta dopo l’educazione fisica. Nella sezione top regna una quiete contegnosa e borghese, ma evidentemente corroborante, nel mio corso, invece, i tumulti scoppiano disinibiti e devono essere sedati da una continua e ostinata presenza didattica: le lezioni  si avvicendano come sulle montagne russe con tanto di apnea che, minuto dopo minuto, incalza le coronarie.
Si corre da una classe all’altra cercando di prevenire gli effetti di qualche frazione di tempo inevitabilmente scoperta dal cambio d’ora. Si entra in classe con almeno cinque minuti di anticipo sulla campanella della prima ora avviandosi, veloci e in preda ad un’inutile ansia, sul pavimento di granito rosso e polveroso dei lunghi corridoi incorniciati dalle finestre di alluminio.
 
Ma come arginare l’elettricità? Certo non a mani nude. Occorrono forse le solite cose: esperienza, sapienza, mestiere? Sì certo, ma è necessario anche mettersi nella condizione mentale e affettiva di voler capire cosa sia quell’elettricità, come accostarla e cosa fare insieme.
Non la fermerete nemmeno con le parole.
 
È l’inizio dell’anno e anche i miei ragazzi festeggiano selvaggiamente il ritorno a scuola. Sono quasi tutti puntuali; agitatissimi si scelgono il banco (opzione che considerano fondamentale per l’andamento dei futuri compiti in classe e non solo).
L’aula è strapiena e ululante e rimbomba tanto che si può sentirne gli scalpitii e i barriti (dolci rumori) fin dal piano sottostante e più in là.
 
Chi, invece, ha congegnato ed ottenuto una buona classettina sorride (e perchè non dovrebbe?). Alcune prof sussurrano avanzando sul decolleté noir che conclude l’articolazione fasciata dal collant velatissimo color gazzella, i prof, sobriamente intellettuali, le accompagnano galanti (come negarlo) accordandosi per un caffè e forse qualche cosa in più, nel pomeriggio, perché no?
 
E la classe? La classe è energia ed ha bisogno di energia, la classe è anche apparenza, bisogna accenderla per riuscire a veder oltre. La classe è davvero elettrica e dunque può illuminarsi o spegnersi, può accumularsi o trasformarsi, può accenderti, riscaldarti o folgorarti: dipende nolto da noi.
Quanto a me la mia classe, amici miei, non era doc e non lo è mai stata.
E quando invece lo fosse stata non sarebbe, elettricamente, toccata a me.