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Non restare chiuso qui PENSIERO (gioco perverso in versi, inversamente aulico)

albicocca con parassita_n

Invidio un po’ , non tanto,

chi tratta di poesia

come un aspirapolvere

o un vinsanto

che travolge i pensieri

che dal presente ti trascina via.

 

Invidio un po’, non tanto,

chi rima cuore e amore

e stupore o autorespiratore 

e per se stesso

riserva un cuore rosso d’amaranto

che imbeve di passioni solitarie,

mentre l’umana condizione oblìa.

 

Invidio un po’? No, ignoro

chi per proprio decoro

s’astiene e si controlla

oppure con accorte contraddanze

si gode le altrui danze,

degli insuccessi ride

e non s’accorge che se stesso uccide.

E quella morte gli sembra una malìa.

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La foto: Quelle che sembrano perline argentate, e viste da vicino sono anche più ingannevoli che in foto, sono uova deposte da un parassita sulle albicocche, in campagna. E’ un po’ di tempo che va un po’ così; sulle “nostre”albicocche, sui frutti della nostra vita (figli, lavoro, studi, azioni, relazioni e così via) arriva un parassita che depone piccole perle ordinate. Quando andiamo a raccogliere quei nostri frutti, lungamente attesi e seguiti, a cui abbiamo dedicato ogni tempo e cura, li troviamo con quella rosa di perline e lì per lì pensiamo a un lieve cambiamento, invece il frutto non è più quello che pensavamo, ma ospita un parassita sfrontato. Anche la poesia può sembrare ancora sana mentre ospita l’ignavia delle rime facili, delle non rime, dei singulti sentimentali r rassicuranti, o un’acquiescenza alla violenza che non sappiamo sia violenza.

Ecco come e perché ho deciso di Auto-Pubblicare

La mia prima ricerca dopo la Laurea riguardò un fascicolo di lettere che Giovanni Pascoli aveva scritto al suo editore delle Myricae. Chi sia appena un po’ curioso di letteratura sa bene che le Myricae pascoliane sono la raccolta che rinnova il linguaggio poetico in Italia, un’opera di cui i maggiori critici contemporanei si sono occupati con passione.
Lessi i manoscritti nella vecchia sede della Biblioteca Nazionale di Roma: un luogo affascinante, antico e riservato entrando nel quale sembrava di rompere il cerchio rigido degli orologi che scandiscono il tempo per entrare in punta di piedi dove risiede il sapere. O almeno il sapere di cui io avevo fame e sete.
Leggendo le lettere di Giovanni Pascoli avevo tra le mani le sue carte, e negli occhi la sua scrittura. Mi aspettavo parole poetiche, che precorressero i testi che amavo.
Invece il poeta doveva scrivere al suo editore, per essere pagato il giusto convenuto: “Veramente mi parrebbe di dover avere di più. Ho avuto 200+500=700+20=720. Essendo i fogli 27, a Lire 30, farebbe 810 Lire, e io ne dovrei avere, computando le quaranta mandatemi ora, altre cinquanta. Non so se mi sbagli: dica lei.
Naturalmente questo è solo un esempio, un pezzetto di autobiografia che vale come tale, ma esempi se ne potrebbero trovare altri. Pochi autori hanno avuto, viventi, quei riconoscimenti che il tempo galantuomo ha poi attribuito loro, di solito sono stati pagati un tot “a parola” e non mancano quelli che hanno esordito a loro spese.
Ma io non ho mai pensato a me stessa come ad una Autrice. Sono una che scrive per affetto e per amore, per dire fuori quello che pensa dentro, non per cercare soldi e fama che probabilmente non mi spettano. Sono una che litiga col correttore word che non vorrebbe iniziassi i periodi con il “Ma” e roba simile, per cui lo ignoro.
Tutto qui.
Cercare un editore significa, invece, avere ambizioni, e quindi anche inviare pacchi, scrivere lettere, attendere risposte che non arrivano, venire a patti con se stessi, aspettare immaginando che le nostre parole siano gettate nel cestino senza nemmeno essere valutate oppure valutate con un fine commerciale. Niente di male, ma non fa per me.
Cercare un editore ed eventualmente trovarlo significa sottostare alle richieste degli editor, accettare adattamenti, sottostare alla politica commerciale e rinunciare ad essere proprietari della nostra opera tranne per il riconoscimento di una eventuale percentuale. Molti autori devono addirittura acquistare le copie dei propri libri. Niente di male, certo: ma non fa per me.
E’ così che ho deciso per il fai da me.
Ho imparato a cavarmela e a fare un sacco di cose nuove, ho lavorato sulle mie pagine e paginette, ho passato giornate a rivedere i testi, a controllare i margini, gli a capo eccetera.
Ne è uscito un prodotto probabilmente imperfetto. Però è roba mia.
Ho felicemente realizzato edizioni cartacee ed in e-book.
Spesso mando via web, e volentieri,  i mie file gratuitamente; altre volte ordino i miei libri per donarli: ma nessuno mi costringe. Nessuno può dirmi che le edizioni sono esaurite.
E se il sito su cui pubblico chiudesse (nulla è eterno in rete) pazienza: ho i miei files, li inserirò in un altro o creerò un sito mio da cui scaricare.
Libertà vo cercando, e libertà ho trovato.
PS: in qualunque momento, anche se alle 3 di notte mi viene in mente una modifica, un’aggiunta, un ripensamento… niente panico: potrei andare al pc, scaricare il mio file, correggere, inserire, tagliare, mettere immagini e … già fatto? Certo che sì.
E chi se ne importa del denaro.
Mica mi chiamo bruno vespa o vip-di-turno. (e la minuscola ci sta tutta)
Quello che scriviamo sinceramente è importate, in primo luogo per noi e per le persone che amiamo. Speriamo che l’affetto vinca sempre.

Creatività e fertilità della mente: come una metafora di vita

Disegno di una bimba: Un papà e una mamma con una bimba nella pancia (è la sua storia)

Omologati e inscatolati, catalogati e selezionati per categorie, come le uova con la data di deposizione+il calibro+il colore del guscio+il cartoncio 2×6 cosa diventiamo? Uova da mangiare e non da nascita. Siamo sterili e non creiamo né vita né idee. E’ facile allora cadere nelle trappole. E la causa risale anche ai “danni dell’educazione” che è quasi sempre omologante ed omologata su schemi che prevedono tante cose, tante regole, tante strutture. E ci dimentichiamo di trasmettere esperienza, di narrare e ascoltare. Io penso che sia più bello e giusto trasmettere per comunicare che non comunicare per istruire. Raccontiamoci le cose, quelle vere e nostre. Non vi siete accorti che il “gossip” è un’altra droga?
Guardate questo disegno: un papà e una mamma con un bimbo nella pancia… 🙂 by nipotina quando aveva 4-5 anni . Speriamo che la scuola non faccia danni…

Capodanno. È possibile essere felici? di Mariaserena (in meno di 100 parole)

Un amico mi propone una frase “Chi puo’ negare Dio di fronte a una notte stellata e’ grandemente infelice, o grandemente colpevole” (Giuseppe Mazzini)

Rifletto. Una notte stellata fa pensare a Dio, questo potrebbe sconfiggere il dolore che accade di subire a tanti comuni mortali affratellati anche dall’infelicità. Contemplare una notte stellata significa alzare gli occhi al cielo; riuscirci è una grazia, è un dono che a volte si conquista o ottiene con fatica.

L’obbligo di essere festeggianti e felici a date prestabilite, invece, non sempre fa alzare gli occhi a “riveder le stelle”.

Però facciamoci questo regalo.