Archivi categoria: vita

Per la vita, una giornata non basta

La vita si protegge proteggendone le autrici, le depositarie, le ispiratrici, quelle che la generano, la proteggono, la coltivano, la nutrono.
La vita si protegge amando

inseguire la vita, la propria vita

La vita si protegge accogliendo le mamme, rispettandole, avendone cura.
La violenza di chi proclama di amare la vita odiando le donne, qualsiasi donna, non rispettando le donne, tutte le donne, è la prima e principale causa di ogni vita perduta.
La violenza di chi esalta la vita del consumo, del fisico, della competitività, della selezione è, allo stesso modo, la prima causa di ogni vita che non si riesce ad accogliere.
La religione è accoglienza, tenerezza, amore; è anche, a volte, impegno e rinuncia, ma senza accoglienza, tenerezza ed amore non è possibile nè impegno nè rinuncia: anche i martiri cristiani sono morti amandosi.
Una manifestazione “contro” o che trasmetta un messaggio contro qualcuno non può essere a favore della vita.

PIETRO MENNEA, un esempio

Pietro Mennea

Non era avvenente Pietro Mennea, non era costruito in palestra, né reso fashion dal look iper sponsorizzato o proposto come un prodotto-immagine, circondato dalle lusinghe delle solite pronte a tutto; insomma non è stato aureolato da tutto l’apparato che adesso ci propone nuovi atleti talmente elaborati e curati da rendere praticamente un figo pure quel simpatico sgorbio di Valentino Rossi. Non era avvenente Pietro, ma l’aureola l’aveva eccome, e se l’era conquistata grazie alle sue qualità. Il suo scatto, la sua corsa e soprattutto l’audacia della sua temeraria testardaggine nel mettersi alla prova quando, tutto nervi e brevi muscoli guizzanti, si cimentava nella gara avendo fisso il suo obbiettivo e non una eventuale giustificazione, lo hanno reso un onesto e vero eroe sportivo dei nostri anni. Nel confronto tra passato e presente non capita solo a me di dire che molto abbiamo preso o rapinato dall’oggi ma probabilmente di più abbiamo perso dall’ieri. Abbiamo perso, ad esempio, la volontà di essere senza apparire, la determinazione a costruire se stessi senza demolire gli altri, la convinzione che si può conquistare il risultato buttandoci tutto di se stessi, ma senza compromessi. Nel nostro presente ci tocca, più spesso di quando vorremmo, consolare i nostri campioni pronti a piangere lacrime compunte e disperate quando si scopre che sono dopati come polli di batteria, smaglianti come dentiere levigate, muscolosi come cartoni animati ma in fondo restano ragazzi o ragazze che hanno avuto più fiducia nella chimica che in se stessi. E ci tocca assistere ad esibizioni in cui non sappiamo se stiamo applaudendo un umano o un cyborg. Di Mennea a noi, suoi coetanei, non interessava quante fossero fidanzate, quante auto, quanti week end o serate. Mennea non era un testimonial né un’ospite ambito per un sabato in tv o una campagna elettorale. Degli atleti come lui non si parlava se non per la gara: per tutto il resto c’erano i divi del cinema e potevano bastare. In lui qualunque ragazzino poteva identificarsi senza farsi venire strane idee su come tagliarsi i capelli o quale t-shirt indossare: per tacere d’altro. Diciamolo ai nostri ragazzini; probabilmente oggi non ci ascoltano, ma proviamo a lasciare questi semi e messaggi sperando che crescano piano piano.
Da un campione come lui c’è ancora tanto da imparare.

Noi o loro: essere cittadini o prede

                              – GUFO DI PALUDE –

Nello sfacelo della palude sociale e politica che ci asfissia c’è la consolazione (pur magra, ma sempre consolazione) che finalmente qualcuno comincia a rifiutare il “noi”.
Politicamente corretto, ma distruttivo.
Anche io ormai rifiuto un “noi” di autocommiserazione o assolvimento: “noi italiani siamo cosi”.
Ci sono persone e persone, ci sono non pensanti e pensanti. Noi siamo pensanti, attivi e costruttori di futuro, iniziando dal quotidiano e dal presente prossimo; “loro” sono non pensanti, sono passivi, sono creduloni e disposti al compromesso.
E’ una grande differenza. O passano faticosamente il confine o rimangono nell’acquitrino, e se la vedranno col predatore.

Il sigillo di Dio ci fa tutti a sua immagine, anche se sofferenti o emarginati

Non è sempre facile intendersi e non solo perché spesso possiamo avere riferimenti culturali ed esperienze diverse, ma perché pensiamo che per dire ed essere efficaci occorra escogitare qualche argomentazione insolita o convincenti artifici retorici.
Invece l’insolito e il convincente sono solo una pallida rappresentazione quando la realtà di ciò che affermiamo è mediata solo da un riferimento culturale limpidamente dichiarato.

Ecco perché, imbattutami su Facebook in un post chiaro e profondo del mio amico Aurelio Romano, autore di vari testi e del bel libro Fides et ratio per tutti , ho pensato di ribloggarlo qui, senza commento e solo con questa mia piccola nota introduttiva ed informativa. Condivido la trasparente bellezza ed onestà di queste parole una per una. E ringrazio l’Autore.

“Vado in giro per il quartiere, per la città, e vedo un sacco di gente con problemi.Spesso sono anziani, ma non necessariamente: molte volte si indovina qualche disfunzione psichica, e sempre si rilevano emarginazione e sofferenza.
La società li considera rifiuti, e in questo dimostra di avere appreso molto bene la lezione di Nietzsche: deboli, esseri inferiori, gente che non è sufficiente ignorare, perchè il «superuomo» deve aggiungere un atto almeno interiore di disprezzo.
Al di fuori del cristianesimo, nessuna dottrina ha mai proposto al mondo la «morale degli schiavi», quella appunto che attribuisce valore a queste nullità deambulanti (o non deambulanti). Solo il cristianesimo o, al di fuori di esso, singole persone ispirate, riconoscono nell’ometto strambo, che parla da solo per strada, il sigillo di Dio: e non semplicemente quello della creazione, ma della creazione a Sua immagine e somiglianza; per la quale cosa l’intero firmamento non può competere con l’ultimo «scemo del villaggio».
Io sono fiero di appartenere alla scuola di quel Maestro ritenuto oggi troppo «buonista».
Poi, essendo un tipo trasgressivo, non voglio intrupparmi con i nipotini di Nietzsche, sai che scelta originale…
Chi si schiera da quella parte, cerchi di guidare con molta prudenza la sua automobile: se si schiantasse contro un muro rovinandosi il bel musino, potrebbe da un giorno all’altro passare dai «superuomini» agli schiavi…” – di Aurelio Romano