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Articolo 33

Francamente non potrei dire che la nostra scuola statale sia la migliore delle scuole possibili; tuttavia una cosa penso di poter dire con cognizione di causa: nella nostra scuola statale, tanto denigrata da ignoranti in materia e strumentalizzazioni privatistiche, la LIBERTA’ di insegnamento esisteva. E con essa esisteva anche la Libertà di essere bravi docenti. Non è una distinzione sottile, e chi ha esperienza di scuola lo sa. Essere liberi significa, ahimè, anche essere somari liberi, cialtroni liberi, ignoranti liberi, però questi difetti gravi e pesanti possono essere affrontati. Essere liberi di essere bravi significa invece, e parlo per i miei colleghi che ho ammirato ed ammiro tutt’ora, non certo per me, significa lasciare in mano ai nostri allievi una luce, significa seminare per il futuro, significa insegnare ad essere teste pensati e critiche.
Ebbene è proprio questa qualità che si vorrebbe cancellare.
Difendiamo la libertà della scuola pubblica e dell’insegnamento: sono principi dichiarati dalla nostra Carta Costituzionale.
Roba vecchia vero? per queste quattro squinzie e questi quattro cialtroni che soggiornano in tv più che a casa loro.
Ma a noi questa roba non sembra vecchia, guarda un po’.

PIETRO MENNEA, un esempio

Pietro Mennea

Non era avvenente Pietro Mennea, non era costruito in palestra, né reso fashion dal look iper sponsorizzato o proposto come un prodotto-immagine, circondato dalle lusinghe delle solite pronte a tutto; insomma non è stato aureolato da tutto l’apparato che adesso ci propone nuovi atleti talmente elaborati e curati da rendere praticamente un figo pure quel simpatico sgorbio di Valentino Rossi. Non era avvenente Pietro, ma l’aureola l’aveva eccome, e se l’era conquistata grazie alle sue qualità. Il suo scatto, la sua corsa e soprattutto l’audacia della sua temeraria testardaggine nel mettersi alla prova quando, tutto nervi e brevi muscoli guizzanti, si cimentava nella gara avendo fisso il suo obbiettivo e non una eventuale giustificazione, lo hanno reso un onesto e vero eroe sportivo dei nostri anni. Nel confronto tra passato e presente non capita solo a me di dire che molto abbiamo preso o rapinato dall’oggi ma probabilmente di più abbiamo perso dall’ieri. Abbiamo perso, ad esempio, la volontà di essere senza apparire, la determinazione a costruire se stessi senza demolire gli altri, la convinzione che si può conquistare il risultato buttandoci tutto di se stessi, ma senza compromessi. Nel nostro presente ci tocca, più spesso di quando vorremmo, consolare i nostri campioni pronti a piangere lacrime compunte e disperate quando si scopre che sono dopati come polli di batteria, smaglianti come dentiere levigate, muscolosi come cartoni animati ma in fondo restano ragazzi o ragazze che hanno avuto più fiducia nella chimica che in se stessi. E ci tocca assistere ad esibizioni in cui non sappiamo se stiamo applaudendo un umano o un cyborg. Di Mennea a noi, suoi coetanei, non interessava quante fossero fidanzate, quante auto, quanti week end o serate. Mennea non era un testimonial né un’ospite ambito per un sabato in tv o una campagna elettorale. Degli atleti come lui non si parlava se non per la gara: per tutto il resto c’erano i divi del cinema e potevano bastare. In lui qualunque ragazzino poteva identificarsi senza farsi venire strane idee su come tagliarsi i capelli o quale t-shirt indossare: per tacere d’altro. Diciamolo ai nostri ragazzini; probabilmente oggi non ci ascoltano, ma proviamo a lasciare questi semi e messaggi sperando che crescano piano piano.
Da un campione come lui c’è ancora tanto da imparare.