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Chi “educa”: non la famiglia né la scuola

Educazione? non è più una prerogativa solo della scuola e della famiglia
Probabilmente è corretto chiedersi se non sia colpa nostra, degli adulti insomma, se tra le giovani generazioni dilagano quelle che a noi appaiono come pseudoculture o, forse peggio, carenze di conoscenze in tanti campi che fino a poco tempo fa erano considerati elementari. Dalle carenze in geografia alla quelle in lingua italiana, dalla matematica alla musica passando per elementi basici di educazione al rispetto del prossimo: chi ne sarebbe il responsabile delegato ad insegnarli?
Trovo sia corretto, dicevo, chiedere di chi sia responsabile, ma è starato rispetto alla realtà nella quale viviamo tutti.
Infatti dovremmo ammettere, senza generalizzare troppo ovviamente, come attualmente non siano più né le #famiglie né la #scuola le istituzioni, le agenzie (come si dice oggi) o semplificando, gli adulti ad avere influenza sulla formazione, l’educazione, la cultura dei giovani.
No. Molti dei nostri ragazzi vivono piacevolmente la conseguenza d’esser casualmente nati sotto il segno dei media, dalle tv ai social.
Semplifico perché non mi attribuisco altro ruolo che quello di osservatrice.
Usi e costumi, linguaggio e modelli, concetti e metodi, argomenti e preferenze, aspirazioni e desideri non sono più indotti esclusivamente dalla famiglia di origine.
Allo stesso modo il modo di ragionare, gli argomenti di cui occuparsi, i modelli a cui tentare di uniformarsi sono suggeriti in modo suggestivo dai media e dal mondo social.
Perfino le famiglie cedono alla tv, ma molto di più ai cellulari, ai tablet l’intrattenimento ma anche i modelli di comportamento.
Tutti abbiamo visto bambini ancora in carrozzina con un cellulare tra le manine e il ciuccio in bocca.
Riconosciamo una tendenza anche se generalizzare sarebbe ingiusto e tendenzioso.
Pe la stessa ragione dovremmo riconoscere una medaglia al merito a tutte le mamme e i papà che perseverano nel mantenere verso i bambini un ruolo educativo non certo tradizionale, ma formativo.
E la scuola, o meglio gli insegnanti?
Troppo spesso schiacciati tra l’evidente discredito delle autorità politiche e la sfiducia delle famiglie svolgono un lavoro fondamentale ma che gli stessi studenti guardano con poco rispetto.
Cosa può pensare un ragazzo se si confronta con i fasti e i successi sanremesi, tanto per citarne di recenti, con un conduttore e i suoi colleghi (che possiamo immaginare miliardari) che si vantano di aver occupato l’ultimo banco a scuola e di non aver nemmeno un diploma di media superiore ma cambiano smoking più spesso dei kleenex ?
Può pensare che gli sarebbe utili studiare la Storia o la Biologia?
Ma mi faccia il piacere!

Ex prof


Immagino che sia deformazione, professionale intendo, nel pensare che quando, come, dove e anche se, si ammassano creature, fossero pure animali, ma sono invece cuori con con anime e cervelli, e le si trattano come se fossero solo un problema o un accidenti, un guaio o una scocciatura e una spesa, immagino, dicevo, che sia solo con responsabile attenzione, con strumenti e strategie, con guide severe ma attente all’altro, che si riesca a fare venire alla luce la gemma che c’è in ciascuno di noi. Se questa è la condizione umana allora la gemma c’è in ciascuno. E quella gemma ha un nome: uguaglianza responsabile dei diritti.

Senza educazione ed impegno avremo solo circenses, senza panem

io prof al lavoro

io prof al lavoro

Raccogliendo e ascoltando voci e pensieri accade spesso di trovare questioni aperte che riguardano qualcosa per cui, in queste ore sospese tra attivismi e concitazioni, siamo preoccupati in tanti.
In particolare ci si sta chiedendo:

a) perché si stanno cambiandole regole della Repubblica senza consultare né parlamento né i cittadini

b) perché i cittadini,presi come sono dai problemi della vita e della sopravvivenza quotidiana sono ormai disamorati dalla politica e provano rancore e ostilità verso i politici.

Dunque i cittadini hanno perso la fiducia nella loro possibilità di partecipare, di essere soggetti attivi della vita della politica partecipata.

[Detto per inciso davvero i 2-3 milioni di votanti alle cosiddette primarie sono poca cosa di fronte agli oltre 46 milioni di aventi diritto di voto, ma questo dovremmo dirlo a Renzi&soci,noi lo sappiamo già.]
Tornando al tema se è vero che è già un dato di fatto che il popolo non è più consultato non può sfuggirci che la situazione è ancora più seria.
Gli antropologi e i sociologi hanno già osservato il distacco tra cittadini e politica, ma noi sappiamo che gli attivisti dei cosiddetti cambiamenti (legge elettorale,abolizione senato, svendita patrimonio pubblico ecc ecc) sono ben lieti dell’allontanamento dei cives: questo dà loro campo ancora più libero per cui non solo i voti rimediati alle primarie ne sono enfatizzati, ma  diventa anche troppo facile fare carne di porco della pratica democratica.
Mentre infatti gli attivisti-azionisti del cambiamento concertato al Nazareno veleggiano sostanzialmente indisturbati verso la destrutturazione della democrazia, possiamo anche ascoltare il coro unanime di sostanziale (e sostanzioso) consenso dei media che ne declamano le imprese del fare fare fare riforme; fare per fare, fare per essere all’altezza del fare, fare per cambiare, fare per modernizzare, fare per governare: in realtà è solo questo ilbusillis, mantenere il potere. Potremmo anche chiederci: quanti di questi fatti da fare sono veramente nell’interesse del paese? Ciò che loro chiamano “Il bene dell’Italia” non è invece solo il loro interesse? Tra questo facenti troviamo chi persegue le proprie ambizioni e chi persiste, nonostante condanne e imputazioni, nel tener di conto solo i propri affari; altri sbavano per beccare qualcosa. Dietro cosa c’è? La grande finanza? La grande regia del progetto di un globale liberismo? Che altro se no?
I cittadini sono stanchi, sono disillusi, sono depressi e attendono una treguaracimolata alla meglio, ma non hanno forza, voglia o interesse a contrapporsi alla grande macchina che marcia trionfalmente, o forse sono saliti o stanno salendo sul carro dell’omino di burro pensando di essere diretti al paese dei balocchi allestito dalla gran madre mediatica; e le orecchie del somaro spuntano, ahimè, di già.

E mentre la gran madre mediatica tv distribuisce biada per tutti non è forse inevitabile che il popolo diventi sempre più plebe da pasturare di calcio, fiction assortite, tette ed altro di veline e o attriciotte,Festival di Sanremo, Xfactor, mastechef , isola dei famosi, c’è posta per te ed altri…circenses?

Se leggiamo i dati dello share troviamo le partite (coppe varie) sempre al primo posto seguite a ruotada Isole dei famosi e roba simile. Allora forse un tema da affrontare è proprioquesto.
Analizzare la questione dell’indifferenza del popolo verso la politicae cercare di capire se c’è una possibilità di suscitare una partecipazione utile, democratica, etica. Per questo segnalo nella mia bacheca gli interventiche trovo in rete (ma ce ne sono altri, tanti altri) di persone animate da cultura e sapienza democratica. Spero, ci provo almeno, nel contagio.

E quanto all’obiezione che gli italiani meritano la classe politica che hanno, beh la capisco e  mi preoccupa seriamente, ma sono stata (e un po’ sono ancora) una insegnante e so quanto sia fondamentale l’educazione; anzi l’Educazione.
Se le persone, i giovani, il popolo sono allevati deliberatamente all’ignoranza,se invece del gusto si induce la grossolanità,  invece della sensibilità si suggerisce l’emozione forte ed aggressiva, se invece di educare ai sentimenti si sbandierano la promiscuità e l’appagamento egoista o facile, l’imprudenza e ilrischio, la soddisfazione o il successo veloci, allora non possiamo poi immaginare un popolo impegnato a difendere i diritti, partecipe, attivo.  Avremo invece sempre più volgari circenses e sempre meno buon pane ottenuto con sano lavoro.

Ma qualcosa si deve pur fare invece di arrendersi alle facili sentenze fatalistiche o alla coltivazione del proprio orticello beato.

(PS – inutile fatica,oltretutto, seminare e coltivare orticelli personali: la Monsanto, la grande sorella omologatrice dei semi, si è impadronita di quei semi esattamente come i media si sono impadroniti dei cervelli. Ma questo è un altro grande problema)

PIETRO MENNEA, un esempio

Pietro Mennea

Non era avvenente Pietro Mennea, non era costruito in palestra, né reso fashion dal look iper sponsorizzato o proposto come un prodotto-immagine, circondato dalle lusinghe delle solite pronte a tutto; insomma non è stato aureolato da tutto l’apparato che adesso ci propone nuovi atleti talmente elaborati e curati da rendere praticamente un figo pure quel simpatico sgorbio di Valentino Rossi. Non era avvenente Pietro, ma l’aureola l’aveva eccome, e se l’era conquistata grazie alle sue qualità. Il suo scatto, la sua corsa e soprattutto l’audacia della sua temeraria testardaggine nel mettersi alla prova quando, tutto nervi e brevi muscoli guizzanti, si cimentava nella gara avendo fisso il suo obbiettivo e non una eventuale giustificazione, lo hanno reso un onesto e vero eroe sportivo dei nostri anni. Nel confronto tra passato e presente non capita solo a me di dire che molto abbiamo preso o rapinato dall’oggi ma probabilmente di più abbiamo perso dall’ieri. Abbiamo perso, ad esempio, la volontà di essere senza apparire, la determinazione a costruire se stessi senza demolire gli altri, la convinzione che si può conquistare il risultato buttandoci tutto di se stessi, ma senza compromessi. Nel nostro presente ci tocca, più spesso di quando vorremmo, consolare i nostri campioni pronti a piangere lacrime compunte e disperate quando si scopre che sono dopati come polli di batteria, smaglianti come dentiere levigate, muscolosi come cartoni animati ma in fondo restano ragazzi o ragazze che hanno avuto più fiducia nella chimica che in se stessi. E ci tocca assistere ad esibizioni in cui non sappiamo se stiamo applaudendo un umano o un cyborg. Di Mennea a noi, suoi coetanei, non interessava quante fossero fidanzate, quante auto, quanti week end o serate. Mennea non era un testimonial né un’ospite ambito per un sabato in tv o una campagna elettorale. Degli atleti come lui non si parlava se non per la gara: per tutto il resto c’erano i divi del cinema e potevano bastare. In lui qualunque ragazzino poteva identificarsi senza farsi venire strane idee su come tagliarsi i capelli o quale t-shirt indossare: per tacere d’altro. Diciamolo ai nostri ragazzini; probabilmente oggi non ci ascoltano, ma proviamo a lasciare questi semi e messaggi sperando che crescano piano piano.
Da un campione come lui c’è ancora tanto da imparare.