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Il consenso (cercasi versi)

Il consenso
Eppure stona, sollievo inesistente,
voce che aggira e narra a vuoto
insieme camuffato, dentro il vuoto.

Sussurra la minaccia convertita
in suoni e voci piccole o sottili
sbrindelli di notizie in rari fili.

Né logiche ragioni o vero dice,
non dice e poi ridice se conviene.
S’abbevera smanioso alle catene
il collo piega, in massa se ne viene.

vento sul mare

Vento sul mare Adriatico – Foto di M.Serena Peterlin

 

Veder nascere il grano, in primavera.

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Vorrei che ci fosse restituita la Primavera, quella della quiete della notte che muore interrotta dai galli che cantano euforici ancora prima dell’alba, quella dei gatti resi isterici dai loro amori notturni, quella delle baruffe tra uccelli e insetti, quella delle piante da frutto che sbocciano improvvise e improvvide che se ne infischiano se domani piove perché hanno già avuto il loro momento di gloria.
#Primavera dove sei?In questi giorni se esci dalla città puoi vederti circondato da larghe pennellate di verde; è il grano novello che già tesse le sue fitte trame di velluto ricoprendo campi e colline con un colore ripetibile solo dagli artisti più grandi; forma e sostanza del ciclo della vita che non si ferma. 

Un ciclo che, per molto tempo, è stato guardato con rispetto e speranza.
Ecco cosa vorrei fosse mostrato agli occhi e al cuore di tutti i bambini, perché prima ancora di ogni monumento costruito dall’uomo penso sia necessario insegnare a riflettere sulla grande madre natura.
Prima ancora che diventino dipendenti dagli snack dobbiamo portarli a veder crescere il grano.

Come eravamo?

IL MURO di Berlino fu abbattuto 25 anni or sono e in questi giorni se ne è celebrata la caduta.
In quegli anni, in quei mesi e giorni quelli della mia generazione erano giovani, eravamo ragazzi si direbbe oggi, e di spallate al sistema ne hanno (abbiamo) date tante, ma tante. Non mi pare che le abbiamo sbagliate tutte. A meno che non ammettiamo che il peggio è iniziato dopo. Questo è tutto da discutere, ma al tavolo della discussione vorrei anche le altre generazioni, più recenti, ovviamente.
Scrivo con spirito leggero, ma di rivendicazione, questa breve riflessione per una ragione semplice: col passare degli anni mi trovo a pensare che ogni tempo abbia una sua specificità e che questa si debba anche al come sono le persone, in particolare i giovani, che vivono quello specifico tempo.
La spinta al cambiamento della mia generazione, nata nell’immediato dopoguerra del secondo conflitto mondiale, è stata, penso di poter dire, potente e unica a tutti i livelli. No, non penso a una forza solo intellettuale ed elaborata criticamente, penso anche a una sorta di impeto sociale o, vorrei dire, fisiologico per noi. Siamo stati ribelli alle convenzioni, alle abitudini, alle consolidate prassi di rispetto degli adulti; siamo stati ribelli ad una scuola e ad un’università di classe, abbiamo rifiutato il ruolo subalterno della condizione femminile, siamo stati ribelli all’esibizionismo, alla cafonaggine del lusso ostentato, al benpensantismo, al sussiego piccolo borghese. Non è facile descrivere quel clima che fu esteso ben oltre il tanto celebrato sessantottismo. Anche chi non “faceva il 68” era comunque ribelle e volevamo un mondo migliore ed una società più giusta. Oggi quel tipo di giovinezza non la vedo, che raramente, ma forse le cose stanno cambiando ed è certamente un bene. Non mi attribuisco diritti di giudicare anche perché la mia generazione fin dalla nascita è vissuta nella cura dell’essenziale, nella consapevolezza delle responsabilità personali, nella attenzione verso il prossimo e nella sobrietà dei costumi a 360 gradi, personalmente ero inoltre spesso richiamata a analizzare me stessi prima di dir qualcosa sugli altri.
La mia generazione affrontava studi, fin dai primi anni, piuttosto severi e, spesso anche ingiustamente, selettivi. Siamo stati bambini ed adolescenti trattati con affetto, ma anche con  molto rigore. Lo spazio di trattativa con gli adulti era praticamente inesistente. Ma la rievocazione sarebbe troppo lunga ed anche banale. Penso di poter dire, tuttavia, che varie forme di repressione generarono altrettante modalità di ribellione.
Poi sono venute le generazioni che si sono innamorate delle cabine-armadio, delle anestesie, delle colpe altrui, dell’idolatria del corpo e della propria immagine, ma anche quelle dell’autonomia e della rivendicazione di esigenze le più varie.
Molti di noi vecchi siamo cresciuti a pane, marmellata e … sensi di colpa e compiti da fare. Ma forse proprio per questo abbiamo  lungamente coltivato e poi profondamente vissuto l’amore per la libertà, per il pensiero critico, per la giustizia. Vorremmo trasmetterlo, e forse ci stiamo riuscendo, segnali se ne vedono.
Ogni generazione dovrebbe, io penso, trovare la propria missione. A me sembra di averla trovata e portata innanzi. Senza nulla a pretendere.

Parole in gioco e allo specchio – di Mariaserena Peterlin

Scrivere è dare un senso alle parole:
è come cercar ombre nello specchio.
 
 
Scrivere è dare un senso alle parole
giocando a "io sono il re e tu sei il cavallo",
fingendosi un eroe, un navigatore
un principe, un serpente oppure un gallo.
Scrivere è immaginare di capire
che il recto e il verso sono disuguali
ed ancora è aver voglia di scoprire
la fine, sempre prima dei finali.
Immaginando con le tue parole
componi frasi come note in fila:
trovane i suoni e troverai anche il senso
non uno, ma due…centottantamila.
 
 
Scrivere è dare un senso alle parole:
è come cercar ombre nello specchio,
rivoltarle e piegarle da ogni lato
bagnandole di lacrime e di pioggia.
E’ poi asciugarle con polvere solare
per scoprire le tracce che hai nel cuore,
ma trovi gli echi che non ricordavi.
Le togli dalle labbra e sulla carta
riscopri il suono delle più dimesse.
Immagina e vedrai, camere oscure
dove il colore audaci scherzi gioca.
Scrivi parole, senza aver paura