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Si può stare insieme con quello che ci unisce

Nel dopoguerra, a Napoli

Nel dopoguerra, a Napoli

“Cerchiamo quello che ci unisce, lasciamo da parte  quello che ci divide”:
Ad esempio:

1 ) rifiutare la superficialità
2 ) disprezzare l’ipocrisia
3 ) smascherare gli inganni delle meritocrazie
4 ) denunciare l’imbroglio
5 ) vedere oltre le apparenze
6 ) valorizzare le persone non le alleanze
7 ) rivendicare la giustizia non il sussidio
8 ) chiamare col loro nome le vergogne che opprimono
9 ) rivendicare il riscatto delle persone tramite il lavoro
10) rifiutare la beneficenza
11) stare sempre dalla parte dei bambini e degli innocenti

Web e comunicazione: da non sottavalutare

Due riflessioni semplici semplici sulla rete (anche per una piccola esperienza personale)

Quando ho cominciato a scrivere in rete (ormai sono oltre sette anni) esistevano i Blog e sembravano più un “pipinaro”, una panchetta di quelle da vecchietti che si scambiano opinioni selezionate dal luogo comune; sembrava un cortiletto. Ti leggeva solo con chi ti visitava e per esser letto dovevi scambiare la visita. Però a me ha fatto subito l’impressione che la potenzialità fosse paragonabile a quella di un alveare ronzante e potenzialmente virtuoso ed utile.
Oggi il social network mette in circolazione le nostre parole che contagiano altre parole, ci permette di esprimere idee o pensieri che si vanno a confrontare senza confini, o possono anche morir lì, ma non sono arginabili.
Io ci rifletterei su.
Non credo che definire snobisticamente la rete come qualcosa di relativo e parziale, di limitato e per pochi sia serio. La rete è potente e si dilata anche oltre quello che immaginiamo, e siccome si avvale di video, immagini, trasmissioni streaming, messaggi istantaneei, traduzioni ecc è estremamente comunicativa.
Il web non è sottovalutabile.

Vecchia politica e vecchie stregonerie sputano sul nuovo

120Comunque vada questa Italia  appare sempre più vecchia ed invecchiata male, e fa un po’ compassione. Comunque vada ci si abbarbica al passato, alle certezze, alle fregature collaudate.

Si affonda l’ancora alla fonda di vetusti porti in disarmo mentre si temono e ostracizzano rotte o progetti realmente nuovi e che ci sono invece necessari.
Si parla di rinnovamento e riforme, m non di cambiamento: infatti rinnovare significa solo modificare un vecchio cappotto rivoltandone la stoffa e non progettare e inventare, significa ri-fare e non costruire il nuovo daccapo.
Il mondo è cambiato? Ma l’Italia no.
Tutto questo è stramaledettamente borghese nel senso peggiore del termine.
Si vuol fare come quando un vecchio divano diventa scomodo e ha una zampa rotta e, invece di acquistarne uno nuovo lo si rappezza e riveste con spesa maggiore, ma tanta inspiegabile nostalgia e il divano zoppica sempre.
Eppure la nostalgia è dolce e può essere nobile quando si riferisca alla saggezza di insegnamenti alti, quando ci ricordi, casomai, che siamo nati per seguire virtute e conoscenza, quando ci richiama alla Costituzione di un’Italia fondata sul lavoro, non quando ci attira verso cose di stantio sapore nocivo come i consolidati poteri, le certezze dei vecchi riferimenti, il familismo, la corruzione (magari quella contenuta e sciccosa, senza esagerare), le compromissioni ma condotte solo fino a un certo punto, di tradizionali cordate affidabili.
E mentre di ostracizza il nuovo si pretende di affidare il rinnovamento di un paese profondamente tarlato dal vecchio sistema con le stesse procedure con cui si affida un programma tv a qualche vecchio presentatore, pronto uso e pronto effetto e che, pur con tinture e parrucchini accesi e fatti orridi, ma iridescenti dalle luci di studio, blatera e sorride abbracciando la soubrette scosciata.
E c’è tutto un piro-piro, un biascicare, un riadattar dentiere, look e discorsi a pseudointellettuali di riporto, figli di figli, nipoti di zii, cocchi di case editrici pronto-effetto. E cognomi che ritornano, come rigurgiti di vecchie cipolle mal digeribili e che si ripropongono imperterrite.
I media, i giornaloni, i politici vecchio stile, gli intellettuali consolidati da molteplici regimi e potentati economici che stanno già tessendo uno squallido arazzo per coprir magagne e instillare nostalgie di un mondo che invece non dovremmo mai rimpiangere. Si moltiplicano appelli, si invita a mediare con la vecchia politica, si insinua che c’è in giro gente inesperta, ignorante, pericolosa come se quella che fino ad oggi ci ha afflitto, spesso esperta in malaffare, non fosse colta sì, ma in coltivar gli affari suoi e certamente poco benefica alla sorte del paese. Però solida, consolidata, navigata. Ah che bellezza.
E i trentenni, i quarantenni secondo lorsignori inesperti? E le persone fino ad ora fuori dal giro? Restassero a mugugnare.
Riavvolgiamo allora il nastro fino in fondo, e ricominciamo a dire che la terra è piatta e il sole le gira intorno, che le Americhe sono le Indie e saremo tutti felici. A proposito: di sabato notte non uscite,  girano le streghe.  

Nonno Mario va in campagna

Nonno Mario va in campagna. scritto per  Il simplicissimus

L’ algido burocrate è diventato tenera balia di vezzosi ed educati cagnolini, affezionato nonno giocherellone, brioso intrattenitore in maniche di camicia ed ha deposto il loden paratirolese per indossare un parka sportiveggiante: pare ci sia fervida attesa (o almeno in tanti la nutriamo) di vederlo aggirarsi tra gli stand di qualche imperdibile fiera dell’intimo consigliandone qualche modello anche a noi: la sua voce vibrante è irresistibile. Ma anche vederlo a San Remo ad accogliere Carla Sarkozy insieme a Littizzetto non sarebbe che una gradita e sperata sorpresa.

Dimenticato niente? Beh non dovrebbe mancare una visitina in una comunità di recupero dove, col mestolo in mano, sarebbe intento a servire pastasciutta e baccalà coi ceci alla mensa dei ragazzi ospitati e nemmeno una comparsata a una rsa per anziani non autosufficienti a distribuire cioccolata ai nonnetti.

No, nonno Mario non avrà l’appeal di Giovanni Rana né la toccante autorevolezza di Padre Pio, ma ci sta lavorando. Ce la può fare.

La macchina politica della strategia dell’immagine elettorale ha fermato la sfilata dei carri allegorici di Viareggio, ma ci offre in cambio una scala reale di spot di pubblicità elettorale che non lasciano margine al rimpianto.

Lui, MM, ma non solo lui, è ovunque. Ovunque dove? Ovunque ci siano i soliti italiani tartassati, purché muniti di certificato elettorale. E qui mi taccio.