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Famiglia, pc e bambini – se non ora, dopodomani ? Dejà vu- di Mariaserena

Ci dicono i tuttologi, compiaciuti oppure allarmati/allarmanti, che prima dei dieci anni i ragazzini hanno già una disinvolta conoscenza del digitale ed usano con estrema facilità pc, telefonini ed ogni altra diavoleria che per papà e mamma possono essere ancora un po' difficili da adoperare.
Riflessioni? Ahimè inevitabili.
E dunque prima che vengano individuate priorità educative ineliminabili e perciò:
1) prima che a qualche pedagogista sperimentale venga in mente di proporre come metodo educativo una scansione oraria della giornata in cui il minutaggio della presenza davanti al pc sia calcolato con un'equazione di terzo grado
 
2) prima che a qualche esperto di formazione di frontiera venga l'idea di introdurre nelle materie di studio oltre ad un'approfondita conoscenza di materiali come carta da parati, vetro della cocacola, alluminio da lattine, cestini e sacchetti di mcdonald’s anche nozioni digitalizzate di metodi per smaltimento dei rifiuti solidi-liquidi-umidi
 
3) prima che ai mentori dell'istruzione a tutto campo appaia essenziale, anche per le scuole materne, la settimana dello sviluppo sostenibile (che è, già di per sé, di una noia mortale e insostenibile), oppure quella dello studio della lingua delle etnie australiane, quella dell'educazione stradale in curva o l'educazione all'ambiente montano-marino-collinare-fluviale (come se fosse chissà quale novità)
 
 4) prima che all'esperto in educazione plurimotoria sembri fondamentale che in prima elementare si insegni il tiro con l'arco unito a quello al piattello, il bob a 4 e il parapendio
 
5) prima che alle associazioni di volontariato sembri primaria per la formazione del fanciullo una nuova materia di studio ossia la "nascita, storia e magia delle Onlus"
 
insomma prima che tutto ciò accada vorrei dire sommessamente che, secondo la mia modesta esperienza, il pc non nuoce ai bambini, come non nuoce giocare a nascondino o a carte o giocare alle bambole o a campana.
Quello che nuoce ai bambini è far sparire dal loro orizzonte la famiglia.
E questo accade quando si impongono ritmi ed esigenze di lavoro che sopraffanno l'umana possibilità.  Quello che nuoce ai bambini è che la scuola e la famiglia confliggano e non si stimino nè collaborino.

Quello che fa bene ai bambini è stare a contatto con papà e mamma (e in seconda battuta magari cugini, zii, nonni) giocare con loro ogni volta che è possibile ed essere coinvolti, a pieno titolo, nella vita di famiglia.
Quello che fa bene è vivere serenamente il tempo della scuola essendo coinvolti responsabilmente in un progetto di crescita e di apprendimento.

Partendo da queste basi le altre occupazione potrebbero trovare, alla luce del buon senso e dell'affetto reciproco, una equilibrata collocazione e un uso corretto.
Finiamola con gli allarmi, o ci toccherà finanziare anche un progetto europeo per l'uso sostenibile del pc di casa. E non mi sembra il caso.

OPPORTUNITÀ DIVERSE E GENERAZIONI A CONFRONTO – di Mariaserena

maniAccanto a me che scrivo tempestando la tastiera c’è il lettino del mio secondo nipotino che dorme. Guardo il suo sonno meraviglioso (quale altro aggettivo potrei usare, e vorrei anche mettere la M maiuscola) e non posso non chiedermi se anche lui finirà nel trita cervelli in cui tanti, troppi giovani e meno giovani sono dolcemente finiti.

Spero di no, spero che l’anima umana rimanga almeno per i bambini, spero che arrivi una svolta e si torni ad alzare la schiena, a togliere gli occhi da troppi display, per levare gli occhi alle stelle.

Ma se anche non arrivasse, e non la spero a breve, mi chiamo responsabile di quello che accadrà in futuro e mi chiedo guardando la culla: cosa sono i bambini? Mattoni da inserire in un muro in mezzo ad altri mattoni uguali o da livellare, scalfire, limare perché si adattino al singolo spazio che gli è destinato?

No, non sono mattoni. Ma lo diventeranno. Dipende da ciascuno di noi.

 

Quello che è successo negli ultimi quarant’anni è dipeso dall’attuazione di un progetto di demolizione che ha colpito sia la cultura sia l’istruzione, sia, e soprattutto, la trasmissione del sapere pragmatico e sociale insieme ai valori fondanti ogni singola nostra famiglia, comunità, paese e città.

Quello che è successo è sotto gli occhi, ma si distoglie lo sguardo e si reagisce dicendo “che possiamo fare?”.

Si può fare pochissimo se vogliamo farlo comodamente, ossia senza spostare nulla nello schema rassicurante, confortevole pur se miserabile in cui siamo precipitati.

Si può fare quello che hanno fatto i nostri predecessori (dai nonni in su, risalendo all’indietro) se fossimo capaci di dare anche vita e sangue per le nostre libertà e le nostre dignità. Ma già, le parole vita e sangue disgustano a meno che non se ne parli in un rassicurante approfondimento da talk-show in cui la sigla incornicia chiude ogni storia tra saccenti e scosciate di turno.

Perché questo mio amaro scontento?

Perché è facile dire alle generazioni precedenti: “voi avete avuto opportunità che noi non abbiamo”.  Questo si dice, ancora una volta, parlando da schiavi col cervello tritato; questo è il ritornello che i media e i politici insieme alla più titolata finanza mettono in bocca ad una gran parte di nostri presunti giovani tra i 25 e i 40.

Queste sono sciocchezze. Ma sciocchezze criminali.

I vostri vecchi e i loro figli, e ancora ce ne sono e vi dà a volte impiccio vederveli intorno, se la sono vista con un regime totalitario orribile che però è stato liquidato in vent’anni.

Hanno avuto la guerra con migliaia di giovani al fronte e la guerra in casa, anzi casa per casa: violenze, stupri, fuciliazioni, rastrellamenti e l’hanno risolta in meno di cinque anni.

Hanno ricostruito, anzi hanno costruito dalle fondamenta, un’Italia in cui non solo non c’era lo stato sociale, ma non c’era nemmeno la casa e il pane, l’acqua corrente e le medicine.

E voi pensate che le “opportunità” che voi non avete e che noi avremmo avuto siano arrivate con la cicogna?

Ebbene io vi dico che molti di voi, con questa mentalità, non avrebbero sopportato non solo il regime, la guerra, la resistenza, l’occupazione tedesca, la fame, la morte dei cari e le violenze del dopoguerra, ma nemmeno la mia maestra di terza elementare (l’aguzzina suor Livia), nemmeno le mie professoresse di latino o matematica delle medie.

Sarebbero scappati tra i leggins della mamma e lei, appena tornata  di fretta dai suoi impegni, avrebbe telefonato all’avvocato per far causa alla scuola.

Per questo vi dico: io mi chiamo responsabile anche di mio nipote, pur sapendo bene che i primi e più importanti per lui sono mamma e papà. Lo dico perché chi si chiama responsabile per una vita intera non si tira indietro mai.

E voi allora che fate?

Continuate a prendervela con le mancate opportunità ripetendo gli slogan del signor Draghi?

Allora accettate pure quest’ultima esca e la demolizione che frantuma l’ultimo legame sociale ormai labile, ma che comunque infastidiva ancora il potere mediatico-plutocratico (ossia dell’informazione al guinzaglio della finanza internazionale) e continuate pure a pensare che una volta spacciato l’uomo di Arcore tutto sarà più bello e splendente che prima. Magari!

E soprattutto continuate a contrapporre l’io al tu, il voi al noi.

E qualcuno  trionferà.

Tarderà molto a nascere, se nasce, una generazione nuova.

A chi, come me, si chiama e si chiamerà sempre responsabile toccherà una nuova sconfitta, ma statene pur certi, non ci sentiremo vinti.

Il cielo stellato delle virtù civili e dei valori morali indicherà sempre la strada, e qualcuno, prima o poi, alzerà di nuovo gli occhi al cielo tenendo bene i piedi in terra e le mani pronte al lavoro, ma la schiena dritta.

SIMPATICHE CANAGLIE & NATIVI (digitali?)

ESSERE o non ESSERE NATIVI (digitali ?)

L’abbinamento tra l’immagine del bambino e le diavolerie delle scoperte tecnologiche, non è una novità. Ovviamente i bambini, come componenti importanti della società, sono coinvolti in tutti i sensi da tutte le  diverse evoluzioni: da quelle del costume alla tecnologia, dalla dietetica alla moda, dalla condizione famigliare alla tecnologia ai gusti musicali, ai giochi e via dicendo.

Altrettanto ovviamente scatta il confronto tra l’altro ieri, l’ieri e l’oggi e insieme a questi si propone l’interrogarsi sul domani.
Oggi la questione dei nativi digitali assume una risonanza più estesa probabilmente perché più estesi e diffusi sono i media; e anche perché l’argomento piace e fa audience. Del resto fa audience anche occuparsi dell'abbigliamento degli animali domestici.

Staremo a vedere: per adesso accettiamo pure, tranquillamente e in pace, l’invasione dei soliti noti e degli esperti di turno che dilagano e dibattono: è inevitabile che accada.
Direi che possiamo smaltire anche questa fase. L’umanità ha robusti problemi di cui potrebbe occuparsi, ma se preferisce interrogarsi sul nativo digitale lo farà comunque. Il trendy è trendy e lo show deve continuare.
Sono stata recentemente invitata da una mia nipotina alla sua festa di compleanno, con tutti i suoi amichetti, che si è regolarmente svolta da MacDonald’s: trendyssima.
Ne sono uscita lievemente frastornata dal loro furibondo entusiasmo, ma felice; mi è venuta voglia di leggerezza, di empatia serena: questo mi ha fatto spunta nella mente un parallelo che trovo soavemente ironico e divertente tra i ragazzini di adesso ed il bambino simpatica canaglia
Spanky , alle prese, insieme alla sua banda, con la “sua” rivoluzione tecnologica quella, per intenderci, della formidabile Ford, modello T.


Insomma la mia ipotesi è che siamo, o siamo stati, tutti nativi. Tutti  mutiamo. Alcuni dei NATIVI sono solo nati, altri ancora vivi, altri presentabili o simpatiche canaglia, parecchi contaballe, altri rompiballe e ciascuno ha i personali nativi di riferimento indispensabili; ma per quanto si parlerà ancora di quelli digitali? Lo chiediamo all’Unione dei consumatori? Anche no.

Il Manifesto degli Insegnanti de LSCF-Un'avventura,una partenza,un obbiettivo


Quando vedo apparire su Web il logo del Manifesto degli insegnanti e l’invito a firmarlo penso sempre a tutto il fervore che ha generato la nascita e l’esordio di questo documento che va alla ricerca, scopre ed afferma una identità aggiornata della professione docente.
Se è vero che c’è sempre un inizio per tutte le cose, è anche vero che è difficile separare l’inizio ufficiale di un progetto dalla sua ideazione.
E certamente, a mio avviso, il progetto-Manifesto ha rappresentato e rappresenta un’avventura non semplice e non troppo conformista.
Nel momento in cui è stato concepito facevo parte del grande
Ning LSCF (La Scuola Che Funziona) una cittadella, non fortificata, di insegnanti di ogni ordine di scuola e di formatori e esperti di comunicazione, web e pratiche di apprendimento, con un nocchiero al timone e pronto non solo a consultare e decifrare le carte, ma anche a cogliere i segnali del tempo e dell’aria che tira.
L’idea del Manifesto non si può dire abbia un’identità personale, né potrebbe averla avuta ed il motivo è semplice.
Il Manifesto ha avuto dei redattori, ma i redattori senza il coro di tutti i docenti non avrebbero avuto nessun motivo per redigerlo; il coro di docenti senza alcuni progettisti o coordinatori che ne raccogliessero le voci non avrebbe avuto una sua, seppur complessa, armonia; se questi progettisti e coordinatori non fossero stati presenti nel Ning non avrebbero avuto motivo di ascoltare il coro dei docenti e, infine, se la Scuola (nel suo insieme) non fosse una istituzione che sta a cuore a tutti, compresi quelli che, presi dalla sindrome odi et amo vorrebbero raderla al suolo per ricostruirla del tutto diversa) non ci sarebbe stata LSCF.
Dunque è LSCF che ha dato il la al Manifesto e senza quel la, o input come si direbbe adesso, la nave non sarebbe salpata.
Tutto è perfettibile, la scuola stessa vive una fase in cui molti operatori e famiglie si interrogano non senza sgomento sul futuro; si parla forse molto di teorie e pratiche di insegnamento e troppo poco di apprendimento e cambiamento. Il Manifesto può, tuttavia, rappresentare un traguardo, ma anche essere, con altrettanta credibilità, un punto di partenza. (Ed auguro a LSCF che lo sia.)