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INSEGNANTI: auto – RIDEFINIRE RUOLO E IDENTITÀ di Mariaserena Peterlin

Nella riflessione sul proprio ruolo un insegnante si trova a fare i conti, tra l’altro, con la realtà disomogenea della scuola italiana che, anche tra quartieri diversi della stessa città, ha situazioni disuguali anche se pare che l'amministrazione non ne tenga conto. 
Il docente rimane spesso solo anche all'interno della sua stessa scuola o del consiglio di circolo, di classe, di istituto e così via ma, come ogni professionista determinato,  anche il bravo insegnante, nella sua solitudine non perde di vista la priorità di occuparsi dei suoi allievi, che conosce o dovrebbe conoscere, bene e con i quali dialoga.
S e non si lascia prendere dal vittimismo (purtroppo praticato)si pone di fronte alla sua missione educativa, facendo leva principalmente sulle proprie risorse personali e le proprie motivazioni; se il suo lavoro è efficace (con o senza i supporti della tecnologia)  svolge un ruolo di cittadino prezioso e fondamentale per il domani del paese. 
Sulla sua strada non trova facilitazioni: nell'insegnare ciò che conta sono gli obbiettivi e il fine non il mezzo che può e deve essere calibrato classe per classe, studente per studente, ma deve tener conto anche delle disponibilità che l’ambiente scolastico gli mette a disposizione  in termini di aggiornamento, collaborazione e strumenti, compresi quelli informatici. 
Naturalmente mezzi evoluti possono aiutare, ma a che serve che il Miur li enfatizzi se poi si abbandona la scuola a se stessa e alla buona volontà dei docenti?
Osservo le ultime leve di ragazzini e vedo che apprendono, autonomamente e diversamente, attraverso i nuovi e diversi media con i quali hanno una spontanea famigliarità.. 
Non solo; il loro cervello è stimolato dai nuovi media (che continuamente evolvono) già prima che imparino a leggere e scrivere; è dunque impensabile fermare questo processo o ignorarlo.
Osservo i docenti: tra loro ci sono i sostenitori, i detrattori e gli indifferenti di fronte alle nuove tecnologie. Alcuni se ne sentono messi in discussione. Altri stanno sulla difensiva.
Diventa sempre più importante che l'insegnante non si chiuda, ma lavori a ridefinire il suo ruolo. Un insegnante che legge la realtà e si confronta non potrà non rendersene conto; le nuove tecnologia non sminuiscono infatti il peso della persona-insegnante nella formazione delle nuove generazioni, ma le nuove generazioni e la società mutano.
La riflessione è urgente. Troppo spesso quelli che mi vien da definire "i distrattori sociali" ossia le situazioni contingenti, le complicate relazioni società-famiglia-media-ragazzi- dirigenze scolastiche nonchè la politica dell'istruzione e così via  inducono anche i docenti più attenti a seguire altri itinerari personali di sopravvivenza e, invece di rivendicare competenze specifiche della professione e mettere in discussione i luoghi comuni sono tentati di arroccarsi lanciando grida di dolore.
Pratica del tutto inutile benché comune.

Narrare, raccontare o la restituzione dell'AGORA'?di Mariaserena Peterlin

CAPITOLO 2

O parlo io o parli tu

Mi lasci parlare?
Mi alzo e me ne vado!
 
Ridicoli e volgari personaggi urlano nei set televisivi, e si permettono di entrare nelle nostre case latrando le loro cosiddette opinioni.
Abbiamo perso l’agorà, ci hanno chiusi, o ci siamo lasciati chiudere, nelle nostre case-scatole e il nostro focolare domestico (Arbasino) non è nemmeno più famigliare poichè ciascun membro di quel che rimane della famiglia ha il suo schermo personale (tv o pc che sia).
Da quelle scatole urlano o sogghignano personaggi brutali e cafoni, o ammiccano giochi che assorbono ogni attenzione ed emozione, che seminano solo la malerba dell’opinionismo relativista.
Ciascuno pretende di avere la sua verità e pretende, errore fatale, che il concetto di opinione e quello di verità siano equivalenti.
Noi, spesso quasi inconsapevolmente seguaci di questi pessimi modelli, ci stiamo isolando sempre di più. Il consenso tra le persone si misura sull’adesione ad un’opinione; un po’ come accade per le cosiddette fedi calcistiche o sportive. Il sentirsi parte di una società non significa essere curiosi di conoscere quello che gli altri pensano, ma legarsi ad un consenso comune che non richieda troppo uso della facoltà raziocinante.
 
Abbiamo fortemente bisogno di una dimensione comunicativa diversa. Il singolo, il genitore, l’insegnante, la scuola non possono cambiare d’un tratto tutto questo.
Però penso debbano porsi (dobbiamo porci) il problema.

PARLARE & PAROLE di Mariaserena Peterlin


NOTECELLULARI

 
PARLARE & PAROLE 
di Mariaserena Peterlin 
 
Signori dell’istruzione, Opinionisti degli old media, Signori Linguisti filo-manzoniani buongiorno.
Il mal di pancia periodico sulle carenze linguistiche dell’attuale generazione digitale è diventato una colica initerrotta.
Lo schema è sempre lo stesso: hanno un vocabolario ridotto a 20 parole (di cui 10 di puro slang o codice demenziale), vanno male a scuola e la colpa è di new media.
Evabbè. 
Facile, come bere una camomilla corretta zucchero.
E tutto resta come prima.
Loro “ignoranti” e voi con le vostre sentenze miopissime e che danno la colpa a qualcun altro.
Non avrei nemmeno voglia di intervenire  con le mie brevi-acute biscrome cellulari se non frequentassi anche ragazzini e bambini che parlano un bellissimo italiano nonostante leggano ancora soltanto i libri di scuola e qualche favola, nonostante facciano scorpacciate (contingentate) di cartoons e nonostante già a sei-sette anni leggano e scrivano al pc e facciano videogiochi, e sappiano già mandare messaggini col cellulare usando il T9.
Ragazzini che a 6-7 anni o poco più prendono in mano un i-Phone e dopo dieci minuti mi guardano con affettuosa comprensione dicono: poi ti insegno, tranquilla; ma mi raccontano anche, con frasi elaborate e complesse piene di congiuntivi e condizionali al posto giusto e di aggettivi smaglianti, cosa hanno fatto a scuola, quali sono i giochi fatti coi compagni, quali sono i loro desideri e riflessioni.
Ragazzini che ti chiedono: perché mezz’ora fa mi hai guardato con quella faccia mentre facevo il videogioco? Spiega.
E glielo devi spiegare dettagliatamente, abbracciandoli se serve.
La differenza tra un bambino /adolescente con 20 parole e un bambino/adolescente che parla e si spiega (ed è capace di una dialettica spietata) è semplice: l’educazione non si delega.
Non si impara a parlare e a scrivere dai libri.
Mettere un libro in mano a un ragazzino e dirgli “leggi” è un risultato  o un obbiettivo, non un inizio né una strategia.
Ma che ve lo dico a fare?
Siete pigri.
 
PS: Manzoni per farsi leggere risciacquò i suoi panni in Arno. I vostri non vi sembrano grigi e puzzolenti? Immergeteli nel fiume del reale quotidiano. Ahh… che bellezza.
 
 

 

Perché, forse, non leggere? di Mariaserena Peterlin

Anche io ho letto Calvino e lungamente l’ho sottoscritto. Anche io ho letto i classici, li ho amati ed amo eccetera  eccetera.

So benissimo che molti ragazzi e anche i bambini ben allevati e seguiti leggono i grandi autori classici di buon grado, se non entusiasticamente. E' cosa buona.

E allora?
Semplice. Come si legge? Perchè? Esiste anche per l'infanzia, un'esperienza del leggere attiva e critica?
 
1) Da ragazzina leggevo tutto quello che trovavo, e i dolori sono cominciati quando la scuola mi ha imposto le letture: ad esempio amavo Salgari e mi facevano leggere Manzoni
 2) La gioia che ricaviamo dalla lettura dei classici è spesso quella della riconoscenza verso chi ha detto cose che ci stupiscono, anche noi vorremmo aver detto o che riconosciamo, è sufficiente?
3) I classici non si leggono quasi mai tutti, ma se ne delibano le perle. E se invece li si leggesse interamente ne usciremmo sempre lieti e pensosi?
4) Leggere classici induce a subire fascino dei  modelli. Ma noi non ci educhiamo solo imitando.
5) In passato (anche nel Medioevo) non tutti potevano leggere  moltissimi classici e tuttavia alcuni grandi autori sono diventati a loro volta classici anche leggendo meno o leggendo poco i loro precedenti
6) Stimiamo l’erudito, ossia colui che ha letto tutto o quasi; ma ci siamo mai accorti che raramente gli rimane il tempo per tentare la strada della genialità?
7) Tanto tempo dedicato alla cultura classica; perché così poco ai contemporanei?
8) Ai bambini e ai ragazzi piace essere attivi e fare oltre che riflettere e ascoltare. Troppo spesso invece la scuola conforma come perfette confezioni pronte all'uso.
9) E adesso una semplice prova: elenchiamo i libri che abbiamo amato di più, quelli che ci hanno fatto amare non solo la lettura ma anche la vita e la conoscenza degli altri.
10)Ancora: proviamo ad elencare quelli di cui non ci vorremmo mai dimenticare e che, mentre li leggevamo, non volevamo smettere di leggere. Chi comincia? C’è qualcuno che inizia con Omero o Virgilio o Manzoni? Beh… io no. Con tutto il rispetto possibile; io ricomincio da qualcun altro.
 
Ammetto: non sono un modello (né voglio esserlo) di alta cultura accademica né di saggezza.
Ma chi dice che solo coi classici si forma la cultura e induce i giovani ad usare l’energia pura ed assoluta che si dedica alle letture nell’età dell’adolescenza e della giovinezza per privilegiare i cosiddetti “classici” secondo me sbaglia.
Si dovrebbe invece informare i ragazzi, ma lasciare aperta la libertà di dirigere la voglia di scoprire e il diritto di curiosare.
Si dovrebbe anche suggerire di scrivere, di provare a comunicare scrivendo e non imporre lo schema lettura-tema / tema-lettura. Anzi: lettura/voto-tema/voto.
 
Alla mia domanda : “Perché leggere i NON classici o forse non leggere?” Io rispondo “Perché la vita si affronta anche con il coraggio e la fiducia in sé, e se un adolescente passa il suo tempo migliore sotto l’autorevole meraviglioso peso dei colossi potrebbe non scoprire mai il colosso che gli abita dentro.
Perché i classici ci sono, e sarebbe bello leggerli dopo aver vissuto un po’ e non scoprirli invece che vivere.
Perché quello che c’è nell’animo e nella mente di un adolescente non deve disperdersi né diluirsi, ma deve sprizzare vivo e vivace per il bene di tutti.”

Lo so lo so… fischiano i disappunti e fra-s-tuonano i contrappunti… ma non si può parlare o scrivere solo per arruffianarsi un facile consenso. E io vado di contropelo.