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OPS! Forse abbiamo sbagliato

Hanno iniziato proclamando che il mondo era cambiato, che l’economia era globale, che in Italia negli anni passati si viveva al di sopra dei nostri mezzi.
Studi autorevoli profetizzavano che lo sviluppo dell’economia dell’INDIA avrebbe sorpassato, entro il 2020 quello della poderosissima CINA. Ed economisti di destra e non affermavano che in Italia le paghe erano troppo altre visto che in India un lavoratore poteva vivere con ben 5 dollari al giorno mentre in Italia la gente pretendeva il posto fisso per avere la sicurezza economica ma lavorando male, poco o affatto. Eravamo diventati il paese dei furbetti: dei furbacchioni nullafacenti ad ogni cantone.
Hanno affermato infatti che in Italia le famiglie erano soffocanti e protettive e i figli  erano tutti fannulloni o bamboccioni. 
E non dimentichiamoci della fama creata sui perfidi iniqui statali o con lavoratori nel pubblico impiego, a  tempo indeterminato: scandalosi mangiapane a ufo che mandavano in rovina tutto, ma proprio tutto il paese
Hanno detto anche che il tempo della scuola, e in special modo quello del Liceo era tempo sprecato e bisognava sostituire la scuola dell’imparare italiano e  studiare matematica e altre bazzecole con formativi corsi professionali da seguire in azienda, in fabbrica: insomma era ormai giunto il tempo di imparare a lavorare non a pensare.
Ed hanno proseguito dicendo che i vecchi erano un peso insopportabile e parassitario, le pensioni un furto alle spalle dei giovani e le tutele dei lavoratori un danno alla produzione.
Hanno anche costretto le donne a rinunciare alla maternità in cambio di un posto di lavoro, non un lavoro, si badi bene, ma solo un posto peraltro precario ed inferiore a quello di un uomo. Ma anche per gli uomini pochi scherzi! Solo contratti di settimane, giorni, a volte a ore. 

E tutti sempre zitti.

Hanno anche aggiunto che in Italia c’erano troppe tutele, che bisognava snellire, sburocratizzare e desindacalizzare.E hanno anche deciso che le aziende dove si produceva non erano convenienti: tanto noi eravamo il paese della Bellezza e del Turismo facile facile: entrano soldi e si lavora meno. 
Una nazione luna-park; un paese dei balocchi.
Dunque modernizzare!
Ottimo principio, non è forse vero?
Non importa, tanto si produce tutto, a meno, in India, anzi cediamogli proprio tutto, anche tutto il know-how che c’è. Abbiamo turismo, bellezza e ci rimane l’industria del lusso. Che altro serve?
E come si fa con il tessile, l’abbigliamento, gli oggetti di uso quotidiano? Dalle mollette per stendere i panni al frigorifero, dalle auto ai dvd, ai cellulari, ai pc? 
Semplice, si importa tutto: dalla Cina o dalla Turchia, dalla Corea o dalla Thailandia (sempre a meno), dalla solita India o da dovunque si possa sfruttare manodopera a basso costo.

E così forse ci sorprendiamo se in Italia gli agricoltori hanno messo su una pizzeria o un bar e non lavorano la terra? E se un operaio si mette a fare il fattorino di Amazon? Un’opportunità di crescita, signori miei!
Evvia, buttiamo le pastoie! Dai! Nei campi si guadagna di più usando immigrati: li paghi pochissimo e non si lamentano; non hanno casa, ma si contentano di baracche, gli fai un contratto finto ma ci guadagna il caporale. E poi c’è la prostituzione. Un fiume d’oro.

Scrupolo: ma se s’ammalano, se muoiono nell’incendio di una baracca o spargendo fitofarmaci velenosi? Ma scusa a casa sua morivano lo stesso! Sono abituati.
Evviva il paradiso dunque. 
OPS! Ma non abbiamo nemmeno una farmaceutica che produca in Italia vaccini : i dondamentali e autentici salvavita.
E nel frattempo, vedi un po’, l’India oggi muore di pandemia a 4000 persone al giorno (persone, non zanzare).
E sull’Africa? Chiudiamo gli occhi?
Evvia,  gli italiani hanno più incombenti pensieri: no, non l’abisso culturale di chi si contenta di ricordare  Dante con Benigni. Non il fatto che si è incapaci di trovare una motivazione sociale se si deve sopportare, per il bene di tutti, una
breve o lunga modifica delle abitudini.Niente affatto. 

Gli italiani si indignano per ben altro. 
Eh sì, roba grossa:  se gli si chiude il bar e gli contingenti la movida sono molti gli italiani che insorgono, si arrabbiano.
E dall’alto di profili intoccabili ecco la pronta risposta: ridiamogli movida e il tavolino al bar senza i quali la vita non è vita. Viva il paradiso!
Non è il solito paradiso? Be sempre meglio questo: virtuale? gastronomico? cazzaro? ma chi se ne importa.
Invece no: importa parecchio.

Abbiamo problemi grandi come il pianeta: disgregazione sociale, perdita di tessuto connettivo del paese,  abissi di ignoranza, baratri di invidia sociale, per tacere del clima, del mare che soffoca, delle specie in estinzione, dell’aria velenosa che uccide.
Ma ecco la soluzione: la movida, risolleva l’animo, la movida non si tocca. Tutto il resto può attendere.
Ricominciare da una consapevolezza storica è indispensabile, ecco perché è vitale il riconsiderare la linfa che proviene dalle radici, dalla nostra cultura e dal riscatto che solo il lavoro, quello vero, quello che rende liberi, ci fa raggiungere. 

La Vita fragile

Vita, fragile o violenta, in te ci credo?
Si può parlare della vita di una persona cosiddetta fragile, come se si trattasse di un’esistenza di seconda o terza scelta. Già ma seconda o terza rispetto a quale altra?
Si può anche immaginare di soppesarla quella vita fragile e di decidere che si possa misurare con un valore correlato ai colpi dell’imprevedibile dea bendata: Chi sei? Dove sei nato? Di quale condizione economica? E la famiglia? Ah beh…
Oppure ci si può confrontare e, con audace violenza, considerare la vita fragile, quella altrui beninteso, incapace di resistere (perché no? magari per colpa sua) alle tempeste delle vicende biologiche o anche al ritmo di modelli sociali che si seguono comunemente, appunto, per moda, per insicurezza, per suggestioni. E da qui dedurre quanto una vita, quella vita valga in una scala di valori che non possono essere che soggettivi.
E allora avanti coi giudizi: sei sfigato, non sai vivere, sei cretino, debole, povero, antipatico, asociale, diverso per un qualunque parametro a caso, e infine anche malandato, malato, debole, vecchio, bacucco, decrepito, demente, magari anche puzzolente. Ammettiamolo e diciamolo.
Ma che ne sai? Ti rispondo. Non sai niente. Il tuo metro è dentro di te; è piccolo o grande, elastico o rigido esattamente come sei tu che se giudichi (e, potremmo dire) sarai giudicato.
Ma basta, andiamo al sodo per le spicce: di razzismo, nazismo, odio ne abbiamo visto già troppo.
Chi distingua e giudichi misurando gli altri si colloca già su un piedistallo. Deve, dovrà, pur scendere prima o poi, magari per andare a vomitarsi l’anima sua. A me fa già pena.
Ci credi nella Vita?

Classi pollaio e storia di polli

Questa è una emblematica storia di polli (a proposito di #classi_pollaio a #scuola).
Decenni or sono la mia famiglia abitava una casa con un giardino, un po’ di orto e perfino un pollaio costruito dalle mani di papà.Un manipolo di gallinelle, qualche pollo e una volta abbiamo avuto perfino due meravigliose oche. Situazione idilliaca. Le galline producevano le uova, i polli qualche pranzo domenicale e le oche divennero cibo che rifiutai solennemente perché le adoravo vive. Tutte le creature suddette si nutrivano di granaglie e pastone di crusca cucinato in casa.
Tutto filava liscio. Ma questo è l’antefatto. Bei tempi.
Qualche anno fa Giuseppe, mio marito, ed io acquistammo una casa in campagna: travolti dall’entusiasmo ecologico per la vita rurale decidemmo perfino di allevare qualche gallina e faraona. Acquistati, perciò, bei sacchetti di granaglie adeguate pensavamo di aver risolto e di dover solo aspettare la produzione di uova. Invece no.
L’esperto contadino, consultato sulla bisogna, ci disse che senza la “miscela per ovaiole” (detta in vernacolo miscella) le galline non “fetavano” ossia niente uova. Non volemmo cedere, tuttavia durante le assenze forzate l’esperto aggiungeva, a suo arbitrio, la famosa miscella e qualche ovetto sbucava da dove doveva.
MA in breve tempo le galline e i polli cominciarono ad ammalarsi, a perdere penne e perfino a tossire. Ed allora l’esperto locale, veterinario, prescrisse l’antibiotico per non ricordo quale diavoleria di diagnosi avesse fatto. Scocciatissimi e delusi accettammo tentando di salvare il piccolo investimento ovicolo irrorandolo di medicine , ma dopo ogni ciclo di antibiotici, peraltro costosi, le pennute spennate e gli spelacchiati pollastri ricominciavano a tossire emettendo via via sempre più lugubri versi di soffocamento. Il veterinario no. Lui prosperava.
A questo punto sgomenti ci interrogammo: dovremmo sostituire uova e polli del supermercato con le uova e i polli impregnati di antibiotici ciclicamente ripetuti? Decidemmo dunque per una soluzione alla svizzera: eutanasia del pollaio.
Eppure una inquietante domanda rimase a turbare la nostra vita agreste: come mai il pollaio di papà, anni ’50 invece prosperava spensierato e senza veleni? La faccenda m’è ritornata in mente a proposito di contagi. La vita collettiva va benissimo ed è inevitabile, ma la compressione di persone in spazi inadeguati no. Le aule scolastiche, nonostante le misurazioni solerti dei mesi estive, sono spesso collocate in edifici inadeguati, con soffitti da appartamento, non da locali per le scuole. Affidare il ricambio dell’aria alle finestre aperte, pretendendo che insegnanti e ragazzi si sventolino alla temperatura media di 10° novembrini (dove va bene) è una pretesa da igienisti stregoni improvvisati che può apparir valida solo a chi si sprofonda nelle poltrone ministeriali.
Siamo seri. Le classi pollaio non si trasformano in aule sane ed adatte ad apprendere in due mesi. Non sarà meglio prenderne atto?
A margine dei margini : quante sono, oggi, le aule in cui esistono per lo meno tre o quattro grandi finestroni e le aperture a vasistas? Non polemizzo sulle rotelle dei banchi, ma su quelle dei cervelli un ragionamento lo farei.

la mia oca, Cori

Ma davvero schola mortua est?

imagesdx8o6tqmMi par di sentire i talebani della didattica in presenza che gemono sulla scuola, variando un poco come Catullo sull’infelice passerotto (che twitter ha ben riciclato)
«Lugete, o Veneres Cupidinesque
Et quantum est hominum venustiorum!
schola mortua est meorun puellorum”

Invece di fare dar luogo a isteriche esternazioni e scrivere sfoghi lunatici sui poveri giovani e bambini, a cui sarebbe negata la socializzazione eccetera, gli esausti talebani della didattica in presenza potrebbero riflettere sul fatto che la pandemia deve finire per lo meno con  il vaccino e certo finirà prima se si seguitasse sulla razionale linea della prevenzione. Dopo di che le classi ritornerebbero dove sono sempre più o meno state. Anche se tutti desideriamo che finalmente si metta mano alle strutture tutte della scuola.
Ma soprattutto i cultori di queste speciali passioni tristi dovrebbero essere ammirati dalla  dedizione con cui tantissimi docenti si son fatti carico della situazione drammatica in cui viviamo e si sono dedicati con passione a mantener viva una scuola autentica e i rapporti con i loro studenti. Sono loro, infatti, e non certo le varie circolari, il centro della vita dei docenti, i bambini e i giovani ai quali i bravi insegnanti tengono perché sono parte essenziale della loro vita professionale e del loro lavoro quotidiano. Quei docenti hanno immaginato qualcosa che non esisteva, e lo hanno fatto sperimentando e verificando passo dopo passo. Non è da tutti.

Tuttavia questa è solo una considerazione iniziale: ciò che mi sembra da mettere in chiaro che fino a ieri molti adulti mettevano il tablet o lo smarphone in mano ai pupi per poter “stare un po’ in pace” e tenerli imbambolati, perfino scarrozzandoli, sul passeggino per strada dove si potevano vedere anche piccini assorti e pallidini mentre l’adulto/a parlava al cellulare o faceva shopping o mentre al restaurant pasteggiavano con amici.

Attualmente una didattica a distanza (necessaria) o da remoto può dare una utile scossa e, per dirla semplice, far capire che usare il tablet o il PC ecc solo per i videogiochi significa passivizzare e omologare, mentre sfruttarli per apprendere è intelligente e può diventare creativo. Non perdiamoci in fantasie pessimiste.