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non giudicare

c’è solo un posto, il mio

Il nostro tempo, la nostra società italiana sono malati di opinionismo. Dobbiamo sempre dire qualcosa su tutti e tutto.
(Non mi esento, lo ammetto).
Siamo sempre pronti a sentenziare, e se abbiamo combattuto (ma chissà?) contro il vecchio “principio di autorità“, contro l’ “Ipse dixit” ci comportiamo, probabilmente, come se lo avessimo fatto non solo per detronizzare un principe tiranno ma anche per sostituirlo con il nostro Io.
Di contro vige un altro principio quello del relativista che provo a sintetizzare con il noto assunto: “tutti colpevoli nessun colpevole”.
Ecco, lo ammetto: mi danno disagio sia l’opinionismo che il relativismo.
Mi sento estranea e mi dà ansia che non si sia disposti a condividere pochi essenziali orientamenti come quello di cercare il buono anche dove non lo vediamo, forse a causa di una nostra miopia, e di guardare all’altro, chiunque sia, come un uguale.
Si fa presto a dire “siamo tutti sotto lo stesso cielo”: ma il posticino migliore? A chi spetta?

C’è crisi culturale, ma non lo sapevamo già?

Sto frugando nel mio pc per rimettere insieme certe  cianfrusaglie scritte e vedere se sono da tenere o cancellare. E’ sotto i nostri occhi una società sbrindellata, individualista, egoista e disincantata fino al cinismo, ma anche fortemente spaventata e preoccupata per il futuro nero che sembra incombere su di noi. Purtroppo non siamo di fronte a qualcosa di nuovo, inatteso, imprevisto; anzi.
Bene o male anche io, come molti, avevamo già da tempo capito che la crisi non è soltanto economica e finanziaria, ma è soprattutto culturale.
Infatti lo sapevamo già, e dal mio modesto punto di osservazione posso dire che lo avevamo anche scritto. Ecco, a riprova, alcuni miei pensieri annotati oltre quattro anni fa. Senza pretese, da una qualunque.

Pensamenti in libertà
Alcuni dei mali principali della nostra società italiana ruotano attorno a:

1)  La visione meschina della vita il cui valore si misura ormai solo in base al profitto economico di pochi e non più in base al suo ineguagliabile valore individuale.
2) La concezione utilitaristica della possibile convenienza traibile dall’assenso e dal consenso ottenuto in qualsiasi modo. Per cui azioni, comportamenti e pensieri non possiedono più valore intrinseco, ma sono considerati validi solo in seguito ad un possibile apprezzamento mediatico o sociale.

3) L’incapacità di pensare e concepire idee autonomamente, non omologate e non rispondenti a schemi pre-costituiti

4) L’eredità di vecchi schieramenti ideologici svuotati di significato, inadeguati, incapaci di fornire nuove interpretazioni della realtà e nuovi progetti per il futuro.

5) La perdita di valore di tradizionali principi e di categorie politiche dovuta, si badi bene, non allo svuotamento del loro significato intrinseco, ma piuttosto alla perdita di valore culturale per l’improprio delle stesse.

6) Vuoto culturale delle istituzioni educative

7) Perdita (colpevole) di prestigio delle figure istituzionali
(e scusate se è poco)

Il fedele pc mi dice che il testo fu scritto l’11 luglio 2008 h. 17.50.50 e mi pare che, dopo di allora, si sia andati solo peggio. E non diamo la colpa all’antipolitica, categoria stracotta, decotta, spappolata a cui non crede più nemmeno Casini.