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La Luna e l’Abete

I poeti si sono chiesti dove fosse la luna, hanno provato a interrogarla, se ne sono lasciati ammaliare, hanno immaginato di raggiungerla volando, hanno immaginato il “mal di luna” come una superstizione o ne hanno fatto dominatrice di sabba o sogno di amanti, l’hanno sempre desiderata quasi immergendosi nella sua luce indefinibile e magica. Per non parlare dei musicisti.
Nessuno può guardare la luna rimanendo indifferente, specie a Natale.
E se d’estate la luna sorge quasi offuscata dalla lunga luce di giorni interminabili, d’inverno invece appare amica e guida tempestiva di sere e notti che appaiono troppo lunghe quando aspettiamo, insonni, la luce del giorno.
In questi mesi di guerra, di popoli senza più luce né calore io immagino le notti di persone disperate e tremanti, immagino piccole luci fumose sotterranee e maleolenti.
Ma penso anche: dov’è la luna per loro? Immagino che quella luce della luna, seppure avvelenata da esplosioni che angosciano, uccidono e ammorbano anche i cieli delle campagne e delle pianure, sia una loro amica silenziosa, forse l’unica.
Di notte, quando la luce chiama i semi a germogliare, le piante a crescere, le rugiade a condensarsi in gocce dissetanti le zolle e le foglie, di notte le creature umane, animali, vegetali e perfino i solchi di terre violate cercano, io penso, la luna e si protendono verso di lei.
Anche oggi, come ieri e come sempre.
Dov’è la luna? Lei sta al suo posto nel movimento cosmico infinito e silenzioso.
Ho una vecchia foto di un abete che con i suoi rami si tende verso la luna quasi a sfiorarla mentre lei ride nel cielo.
Spero che quel sorriso illumini la conversione dalla guerra alla pace, dalla ferocia agli affetti.
Lei aspetta.

La festa è Natale

Profumo di ginepro a Natale

Natale : venivano i nonni e papà si procurava un grande ramo di ginepro che diventava l’albero da decorare con palle colorate di vetro e piccoli oggetti di cioccolato rivestiti di carta stagnola che si potevano mangiare solo quando si disfaceva l’albero.
Qualche giorno prima di Natale, a volte, si partiva in treno per andare alla Upim di via Nazionale, a Roma, ad acquistare qualche filo d’argento e d’oro o le luci e altri decori in più per rinnovare l’addobbo dell’albero che sceglievamo fosse il ginepro anche perché profumava la casa con le sue resine che, accendendo il caminetto, odoravano di bosco ancora di più.
Era questo il Natale.
A Natale si pranzava coi nonni, si cucinava in casa tutti insieme: tortellini in brodo, faraona e strudel di mele erano obbligatori.
C’era anche una bellissima insalata russa, fatta con tante verdure tagliate a dadini tutti uguali, senza le stupide patate che la rendono farinosa e con i sottaceto parsimoniosamente distribuiti, era ovviamente amalgamata con la maionese. Anche la maionese era fatta in casa montando i tuorli delle uova, delle nostre galline, e facendo cadere a filo l’olio. L’insalata russa era di rigore. (Adesso qualche chef snob considera l’insalata russa roba passatista e magari ti ammannisce ceci e aringa 🙁 , che disgusto, ma si vede che non sa farla come si deve).
A Natale succedevano le solite cose: la carta stellata per il presepio, l’attesa, la letterina sotto il piatto di papà, la poesia mandata a memoria con l’aiuto di mamma. Ma soprattutto l’attesa che ci faceva sognare i regali.
Beh dico che sono stata fortunata.
Nessuno mi trascinava nei centri commerciali, nessuno mi ha imposto gli sci, nessuno mi ha obbligato a credere in quel panzone di babbo natale.
Scrivevamo cartoline di auguri, lo zio Sisto mandava un panettone da Milano e la festa era Natale e basta.
Le festività? I viaggi? Boh.
A Capodanno erano lasagne (verdi, fatte in casa, alla bolognese) e spumante. Avevo 5 anni quando ne rubai una coppa piena di nascosto e finii a letto prima di mezzanotte protestando disperata e mezza brilla: voglio ancora spumante.
Sono stata davvero fortunata.
Ho avuto feste normali, feste per cui bastava un paio di calzettoni nuovi, di solito con disegni scozzesi, come porta fortuna per inaugurare l’Anno Nuovo.
E dopo tutti a nanna.

No(t)te di Natale

Se cerchiamo un senso al Natale, oggi,

se lo cerchiamo ancora,
dopo aver vissuto quest’anno ad occhi aperti,
se pensiamo che dovremmo frugare
tra tradizioni e novità
per vestire di luce quel giorno,
allora forse potremmo rinunciare
o sarebbe meglio essere bambini
per attendere che qualcuno
allestisca un natale per noi:
inconsapevoli o bramosi dei doni
da sbattere sul pavimento alla prima occasione.

Non elenchiamo,
scorrendo mese per mese,
quello che è accaduto:
le tracce ci sono, i segni sono tutti al loro posto
come le ferite, le parole,
anche troppe, sono state dette
e ripetute fino a farne violenza.

Luce e messaggio del Natale, oggi,
è lasciare che la speranza
non ci sfugga dalle dita del cuore.
Il messaggio lo abbiamo e possiamo ascoltarlo,
ma non siamo obbligati, (per fortuna) no?

E tolte le vesti, gli addobbi ed i cibi in eccesso;
tolte le corse, le prenotazioni,
le isterie alle file inevitabili
potrebbe essere ancora Natale.

Altrimenti è meglio fare come tanti,
(e fanno bene, ma sì):
il solito viaggio low cost
sul mar Rosso, da pagare a rate.
Ma sì, un altro debito
no, non può cambiare la situazione.
E per gli squali, sì
sarà ancora festa, almeno per loro.

Il Natale, a volerlo, viene.

Nipotame story : il presepio può attendere, la neve no

Bene: mi accorgo finalmente che siamo nell’imminenza del Natale e che in casa non c’è traccia di decorazioni, albero e presepio. Convoco pertanto i nipotini e ci mettiamo all’opera pre-istruendo la più grande di dare spazio al quattrenne.
Tutto pronto: allestisco il cielo stellato e la carta marrone per sfondo e base e lascio lavorare il nipotame. Come si fa per la neve?
presepio Giovanni dicembre 2014 032Quest’anno no farina, mi dico giudiziosamente, proveremo col bicarbonato di sodio. E’ bianco, è leggero e facilmente eliminabile; anzi, borbotto tra me e me, quando lo toglieremo non farà pappette rivoltanti e collose e fungerà da detersivo.
Maria prova ad istruire il furoreggiante fratellino che impugna di volta in volta capanna e pastori, percorelle, ochette e angioli vari coinvolgendoli in una danza sfrenata e, finalmente… nevica!
Un passino preso in cucina aiuta a sparare una generosa tormenta che manco il gatto delle nevi. Nipotuccio Giovanni non risparmia, esaurita la prima fornitura chiede imperioso: vuole un’altra scatola? (egli parla di se stesso come Giulio Cesare nel de bello gallico)
No, niente seconda scatola.
Allora comincia a ravanare nella “neve” già sparsa annaffiandone libri e libreria, scaffali e televisore, pavimento e arredi vari. Quindi, per non farsi mancare una nota di dinamico realismo, prova a mandare in scena, tra gli inermi pastori e pecorelle, le sue macchinine, un pezzo di trenino e una piccola moto (piccola si fa per dire… parliamo di presepio, no?) . Giubilante per le strisce che le ruote della moto lasciano sulla… neve, atterra senza pietà angeli e santi, e pure i soliti pastori.
Indi si posa.
Il giorno dopo torna. Va a caccia di una sua riserva di bicarbonato che aveva nascosto (piccolo ma pestifero) nella scatola di latta a forma di Saetta McQueen e ricomincia la tormenta: neve sparsa ovunque mentre i suoi due bulldozer-giocattolo arano tutto il poco che ancora era rimasto in piedi.
Sfiniti i pastori cedono, io nonna pure e, quando il minuscolo titano afferra il cielo stellato e lo trasforma in un’esplosione atomica, decido che, anche se siamo solo al anti dell’anti vigilia per me può bastare. Il Natale quando arriva arriva, il presepio può attendere l’anno prossimo, ma le moto e la neve no.
Piccolo Giovanni, sei la mia gioia, comunque sia. E le tradizioni non valgono un attimo solo del tuo sorriso.