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La banalità nociva spegnerà tutto: anche il diritto al lavoro

e8ccf-emoticonLa banalità non è innocua come io stessa preferirei pensare; l’ho costatato infliggendomi le trasmissioni tv e le interviste dei politici oggi in auge. Tutti: sia quelli dell’attuale indefinibile maggioranza, sia quelli che si definiscono opposizione, sia i loro accreditati intervistatori sfoderano, ahimè, le banalità più smaccate e chiassose e lo fanno come se stessero distillando saggezza pensosa e preziosa.
Qualche esempio, tra mille, sono le dichiarazioni sui “giovani che non hanno accesso al lavoro”, sulle “famiglie che non arrivano alla terza settimana”, su “i cinquantenni licenziati e che non trovano più lavoro perché sono troppo vecchi per essere assunti, ma troppo giovani per la pensione”.
Non mancano altri banali e non meno nocivi refrain: “oggi il mondo è cambiato”, “oggi l’Italia deve riscoprire il suo valore: la bellezza”, “oggi bisogna imparare a riciclarsi”.
Già facile dire banalità, peraltro contraddittorie, e lavarsi mani e coscienza.
Ancor più facile spacciare l’idea che “oggi bisogna dimenticarsi del posto fisso per tutta la vita” e spacciarla senza che troppi, ma troppi davvero, si bevano la menzogna.
Ormai bisogna aspettarsi che tra le varie modifiche della Costituzione, che viene manipolata con cinica spudoratezza da gente che forse non l’ha nemmeno letta e tanto meno ne conosce la storia, si proceda ad abolire qualche comma dell’articolo 1.
L’Italia una repubblica? e democratica? e fondata sul lavoro?
Perché? Roba vecchia, roba da professoroni, mummie, roba da maxima virgo pronta ai sacrifici sull’ara degli dei. E così, sciorinando facili ma insultanti definizioni da baraccone,  si va a tritare e spappolare in cibo per bestiole inoffensive perfino tutto ciò che davvero rappresenterebbe un’idea etica della bellezza: la nostra vera cultura.
Il fatto è che dovremmo avere nella testa idee chiare e nel cuore virtù civili.
Il fatto è che “fondata sul lavoro” non ha mai voluto dire “fondata sul posto fisso”, bensì sulla garanzia di un diritto al lavoro che lo Stato, costosamente mantenuto in vita, si propone di realizzare con idee e progetti di sviluppo e non svendendo e andando in caccia di affarucci semplici.
Nella sua vita mio padre ha cambiato almeno cinque volte città e posto di lavoro mantenendo la sua professione. Faccio riferimento a lui per risalire al periodo che va dal dopoguerra alla fine degli anni 80 e di cui è stato detto tutto il male possibile: già ci vogliamo chiedere perché?
Adesso ci vogliono ammannire il pasto goloso del risparmio presunto: si tagli il Senato, a fettine sottili però.
Quanto abbocconi siamo per credere che l’indegnità di una generazione di politici e le malversazioni di alcuni di loro giustifichi che tutto si risolva tagliando le ali alla gallina che non fa più le uova d’oro?
Invece va così; troppi ci credono, e ci credono perché il concetto è facile, è volgare, è banale : proprio per questo il ragionamento populista piace.
Ma facciamo attenzione: non tutto ciò che vien definito populista e populismo lo è; a volte è  esattamente il contrario: se riscopriamo il gusto della saggezza popolare ci accorgiamo che possiamo elaborare idee e concetti evidenti attivando il nostro senso critico e civico; il populismo è invece proprio nella volgare banalità nociva della semplificazione.
Si chiama anche demagogia, anzi è il suo vero nome.

Crollano cariatidi: alla ricerca della sinistra perduta

Sileno

Sia risparmiato a chi perde, il disonore di essere sbeffeggiato a patto che rifletta e si metta a disposizione del futuro evitando protagonismi e vittimismi.
Ma ne sarebbe capace?
Chi ha assistito, o peggio, ha partecipato all’errore acconsentendo vuoi per piaggeria, vuoi per comodità o per quieto vivere oggi dovrebbe abbassare il livello del rancore e della rabbia e mettersi a ragionare senza sbiancare dalla paura, pur giustificata.
Ma esiste ancora la virtù del dubbio?
Il dubbio dovrebbe suggerire di non perseverare nell’errore.
A chi infatti giova prendersela con un 25% di presunti traditori che nel PD di Bersani rifiutano cariatidi di eccellenza, prima Marini e poi Prodi, umiliando quest’ultimo con  eloquenti numeri da rubamazzo?
E poi perché definir traditore chi non obbedisce e probabilmente ha dato segnali ignorati da vecchie prassi autoritarie?
Ma traditori di chi, di che?
Se tracima questo irrazionalismo bilioso tra un altro po’ di dirà: ecco cosa succede a mettere troppe donne in lista o troppi giovani o troppi che non vengono dalla politica. E non saremmo allora alla completa cecità dell’arroganza politica?
Sembra invece molto più probabile che si siano fatti una serie ostinata di errori di valutazione prendendo, una dopo l’alta, decisioni fallimentari e si sia immaginato che bastasse accordarsi tra vertici e caporali, mentre oggi le basi contano molto, specie se contrarie e incazzate.
Come non pensare che chi vive il quotidiano, o proviene dalle basi, o deve render ragione ai propri elettori, spesso conosciuti o che ti rintracciano in rete tramite twitter, blog, fB, non avrebbe potuto votare il professore svolazzante tra un incarico e una prebenda o il rudere vecchio sindacalista (con quello che hanno lasciato passare i sindacalisti sulla pelle non del 25% ma di tutti i lavoratori, specialmente i giovani)?

Forse sarebbe meglio smettere di cercare colpevoli da demonizzare. E’ il momento invece progettare e costruire, anche valorizzando l’intelligenza collettiva, il patrimonio che si è voluto dimenticare e l’energia di nuove generazioni. Occorre puntare, con passione, su idee ed ideali guardando alle persone.
Altrimenti si perde la rotta e prevarranno i berluschini, ma passeranno anche loro, come i lanzi del Wallenstein faranno altri danni, ma passeranno.

Dialoghi dal COLLE


– Presidente!
– Che c’è?
– Presidente il popolo vorrebbe un Governo
– E chi sono io? Babbo Natale?