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Cosa fai stasera Matteo? Rottami l’Italia?

Molti di noi sono preoccupati: Renzi ha preso l’aire, stasera convincerà il PD a seguirlo nel suo abbraccio col caimano, mai così pericoloso come adesso che, tirando gli ultimi, colpisce con la coda avviluppandosi nel fango insieme a chi l’avvicina.
E d’altra parte nell’Italia, oggi sott’acqua e con tanti amici sfollati tramite i gommoni dalle loro case allagate, il fango più urgente forse non è quello mediatico-politico, ma quello che spazza via persone, case, cose, natura.
Tuttavia come non sentirsi angosciati da quello che sta accadendo: temiamo infatti che la nostra libertà possa essere seriamente compromessa come sta già accedendo ed accade in Europa e non solo. I nostri canali televisivi, i commentatori, i politici allineati e coperti, la gente per bene e di cultura, quella che, cantava Venditti, della vita non ha mai paura, sembra invece rassicurata e cavalca, ciascuno a suo modo, l’onda bigia della morta gora. Il Titanic-Italia affonda, ma si balla, ci si distrae, si brinda, si cercano consolazioni miserevoli e i violini suonano mentre l’acqua nera sale.
Penosa, ad esempio una per tuttte,  l’argomentazione: “sì però il Berlusconi è venuto nella nostra sede pd a parlare con #renzi, (#enricostaisereno !!) dunque riconosce la supremazia del pd e finalmente la politica ritorna nei suoi spazi: il confronto tra capi! ” che cito a memoria da ciò che  ha sostanzialmente detto un giulivo Fabrizio #Rondolino mi pare su rainews24 (non so più nemmeno io quale sia la trasmissione, i vari talk vanno in fotocopia).
Ma non basta:nel linguaggio renziano c’è una allarmante frequenza di termini e “concetti” (virgoletto perché si fa per dire concetti…) in cui c’è tanto azionismo e poco o nessun pensiero. Renzi usa continuamente termini come fare, agire, muoversi, rottamare, cambiare passo: sono ginnici sintomi di una pseudocultura calcistic-velleitaria molto molto sospettabile e destra : di mano e non solo.
Cosa vuol fare il novello Maramaldo dopo aver spacciato ex alleati che ora gli sono invisi ed abbracciato il caimano & gongolanti soci?  Vuol rottamare l’Italia?
Non sarà, temo, una gran fatica: sta già cadendo a pezzi e dunque davvero piove sul bagnato come scrive Anna Lombroso.

Radical chic è pure demodé: Bignardi sappilo

Ieri sera, mi sono punita con un po’ di tv. Daria Bignardi, in un clima goliardico, apparente forse, ma faceto, intervista il segretario Matteo Renzi. Lui tiene benissimo botta alle di lei punzecchiature: niente di più facile, infatti, che smontare la banalità dell’ovvio delle domande, con la semplificazione del ti conosco mascherina! e Renzi in questo è bravo. È bravo anche nello sciorinare tutto il repertorio delle lamentele da mercatino rionale, rispettabilissime, e di cui è fervoroso collezionista a quanto pare, elencando in questo modo tutti i motivi per cui si compiace (beato lui!) d’essere stato eletto da due dei tre milioni di speranzosi che han votato alle primarie.
Lei punzecchia? Lui replica ghignando solo un po’ e esibendo spavalderia sorridente.
Lei fa la civetta? E lui gigioneggia funambolico tra Calandrino e Frate Cipolla (cfr Decameron).
Ma poi si va sul pesante: ai numeri! ai programmi!
Qui Matteo chiede ed ottiene al volo un pc per buttar giù (come digita lui, nessuno mai…) tramite Excel un programma di lavoro realizzabile in breve. Oh meraviglia, non s’impiccia nemmeno un secondo, mica è Monti lui, e governa la tastiera meglio di capitan Findus la sua flotta di merluzzi panati.
Ora viene il bello: il segretario, ormai lanciatissimo, propone di iniziare col “problema economico”: parliamo di numeri, dunque di economia.
Bignardi, a sorpresa? rifiuta “non parliamo di economia, parliamo invece di diritti!”
La diva Daria sfoglia il suo calepino di appunti e originalmente propone: “unioni civili e ius soli
Ovviamente: argomento ricco ti ci ficco.
Ora qual è la mia perplessità? Una sola e spero breve.
Se il problema dell’economia è secondario agli altri allora Bignardi gioca solo al gioco dell’audience: lo capisce anche un cervello di canarino che senza una struttura economica, un piano, un progetto di sviluppo tutto il resto non si riesce nemmeno ad immaginare e non perché non ci stiano a cuore i diritti (che non devo difendere io come singola persona, ma sono di tutta la civiltà) ma perché sarebbe ed è davvero troppo ruffiano e facile sventolare diritti quando non ci fossero, e dicono che non ci sono, risorse economiche. È davvero troppa piacioneria chiamare in causa diritti quando non si parte denunciando che troppi diritti stanno venendo meno, falciati giorno per giorno, da questo sistema e che per primo è venuto meno il diritto al lavoro e del welfare a cui attengono tutti gli altri e senza quali non esiste dignità umana nè libertà visto che tutti gli altri che ne sono connessi.
Bignardi fa il suo solito pessimo uso della tv a cui tutto e tutti si piegano: arte, cultura, civiltà e “diritti”: ma ora smetto, c’è la pubblicità. (E allora che differenza c’è con la D’Urso e soci?)
Inutile negarlo: Renzi, vicino a lei, appare uno smagliante smargiasso, un furbo brillante, ma ben documentato, che se la cava evitando perfino la battutina idiota “incontra Berlusconi alle quattro del pomeriggio, ora di merenda…”. Ah che spirito davvero barbarico.
Dimenticavo: il radical chic è pure demodé: Bignardi sappilo.

Matteo Renzi (o l’eloquenza volgare)

Bei tempi quelli della canotta del senatùr? Anche no. Non è necessario rimpiangere la ruspante grossolanità padana per trovare pesantuccio Matteo Renzi. Matteo ha un look su cui si potrebbe eccepire, ma che appare meno sguaiato di quello esibito dall’Umberto prima maniera; del resto altrettanto cafone della canotta alla Pacciani può apparire anche un doppiopetto ostentato e impomatato, tirato a lucido e che vernicia la corruzione. Quella di Renzi è invece la vera nuova immagine tendente alla volgarità rampante, quella che si afferma e brilla contenta di sé. Matteo Renzi appare volgare (ossia scontato, scontato, popolar-ammiccante) nel suo proporsi, nel suo sorrisetto gnè-gnè, nel suo esprimere fastose certezze siderali su argomenti banali, nel suo applicare ovunque e con dovizia aggettivi come “bello”, “meraviglioso”, “naturale”, nel suo dire “chi ha coraggio, chi ha entusiasmo, chi ha voglia” riferendosi esclusivamente a se stesso, nello sciorinare i suoi “sinceramente”, “con sincerità”, “con chiarezza” quando sta shiftando di brutto su un concetto; nel dire che augura successo all’avversario mentre gli sega, e nemmeno silenziosamente, le gambe della sedia.

La sua piacioneria ad usum del volgo è nel plurale majestatis (non lo usa più nemmeno il romano pontefice) che gli fa dire “noi” quando intende “io”, nel parlare con enfasi del futuro dell’Italia senza esporre altro che se stesso oppure nell’ostinarsi a dividere ottusamente giusto e sbagliato in base a un criterio grottesco e solo generazionale fino ad arrivare a lodare strumentalmente le dimissioni del papa emerito Ratzinger; scrive infatti nel suo blog: “Ho chiesto ai miei figli di accendere la tv insieme e abbiamo guardato le immagini del vecchio Papa che lascia, che se ne va, che saluta prima delle dimissioni. Non avrei mai immaginato di assistere alla scena di un Papa che dice basta. Che lui non è più in grado di farcela. Che giura obbedienza al suo successore. “ (come lo vorrebbe per se stesso!)

Matteo Renzi però piace; ammettiamolo: sciaguratamente piace e questa è una dannazione del nostro tempo televisionaro, grossolano, sprecone, superficiale e di bocca buona. Respingo sempre le critiche (comprese quelle filorenziane) che attribuiscono alla generazione come la mia le colpe che riguardano il dissesto economico. Le respingo proprio perché vengono da ignoranti tirati a lucido e non sono argomentabili; se invece una colpa l’abbiamo è di non essere riusciti a educare i matteorenzi che ora ci infestano con le loro vanterie da cicisbeo, con i loro atteggiamenti da miles gloriosus appena attenuati, con la supponenza di un tartufino-berluschineggiante.

O forse no, gente come lui che chiama i collaboratori “il mio staff”, ma che chiama il suo partito o la politica “questa roba qua” non era educabile. Succede.