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Guerra o pace sociale? la filosofia della gallina.

depositphotos_94386388-stock-video-during-the-day-a-personMi dicevo in questi giorni quanto fosse, tutto sommato, più allestire (si fa per dire) una Rivoluzione con la maiuscola quando era evidente il tiranno, lo zar, il re o anche un partito, nel quale identificare un nemico sociale; quando chi ti metteva le mani in tasca, chi ti levava la casa o ti impediva di andare per legna, sfamare la famiglia, curare i malati e seppellire i morti senza pagare balzelli pesanti aveva una precisa identità.
Era più semplice quando imbavagliavano gli oppositori, quando mettevano semplicemente in galera a pane e acqua chi protestava o quando spedivano in colonie, al confino, o nelle galere a remare fino alla morte, o quando, risalendo risalendo, ti buttavano nel circo a sfamare leoni e gladiatori sanguinari.
Invece adesso tutto è represso, ma tutto è assorbito, spento, riciclato e mistificato: adesso, ed è peggio, ci guardiamo tutti in cagnesco e i poveri non possono nemmeno stendere la mano. Se lo facessero, e qualcuno spericolatamente lo fa ancora, si può sentir dire che se l’è cercato, meritato e ben gli sta.
Infatti, solo per fare uno stupido esempio, adesso girano poveri veri o presunti che fanno finta di spazzare il marciapiede per “meritarsi” l’elemosina, ma sempre elemosina è.
E in questo rancore circolare (altro che economia circolare!) perdiamo di vista il fratello, l’amico, il compagno; insomma il prossimo con cui, caso mai arrivasse un baffone adeguato, sviluppare un’azione energica, forte e anche contro le norme, ma efficace sul piano politico e sociale. Chi possieda un  piccolo pollaio domestico sa bene che se vuole inserire delle galline in una gabbia o un recinto in cui esista già una popolazione di pennute rischia di vedere sgozzare le nuove venute a furia di assalti con gli artigli (ce l’hanno anche i polli) o colpi di becco. Le apparentemente miti e sciocche galline domestiche, quelle che ti regalano l’ovetto buono e sano, si difendono dalle galline migranti, immigrate, inserite nella loro società gallinacea semplicemente spacciando presunti nemici anche se il cibo non cala: ma diminuisce, secondo loro (sono galline, signora mia!) lo spazio “vitale”. C’è da imparare dalla gallina.
Allora oggi, come galline? siamo tutti contro tutti, dalle contrapposizioni generazionali alle lotte per il tetto e via col tango. Amaro ma sempre fascinoso tango della morte, perché non dirlo? quello che ballano addobbati con piume e volants, quello dell’immagine e del modello prevalente ossi la violenza che attira, affascina, soggioga ma trascina in un vortice stupido, volgare, nevrastenico.
Far pace col cervello? Ovvero cervelli sfrattati come scrive oggi Anna Lombroso nel Simplicissimus.
E a proposito: ma avete visto il look della Raggi (povera, a me fa addirittura simpatia) l’hanno conciata vestita da gallina o da impianto di irrigazione alla prima del Rigoletto. Pace col cervello? coccodè, casomai.

Politica: gli sono ET tra noi (che non siamo figli delle stelle)

da un post di Fabrizio Centofanti su fB

da un post di Fabrizio Centofanti su fB

Saturati da un lato da grida e azioni scomposte che noi non useremmo mai e dall’altro da sorprendenti invocazioni al rispetto e da accigliate ammonizioni alla tolleranza zero, ci chiediamo se nelle istituzioni non siano atterrati, inattesi, extraterrestri che reagiscono con meravigliata sorpresa e con irritato fastidio da ciò che accade nella nostra incivile e popolare realtà quotidiana.
E ci chiediamo da dove provengano questi nuovi ET diversi, in verità, e poco amabili rispetto all’originale: alcuni dicono dal pianeta di Insaputa, altri dalla galassia lontanissima di Intoccabile, altri ancora dalla costellazione, che pare sia piuttosto affollata, di Privilegilandia.
A differenza degli ET suddetti, noi terrestri di lungo corso, figli e nipoti non delle stelle, ma di terrestri di molto più di sette generazioni, non siamo particolarmente sorpresi da quello che accade.
L’hanno chiamata in tanti modi: antipolitica, disaffezione dalle istituzioni, indignazione verso la corruzione, sfiducia nei politici, collera verso gli stipendi “stellari” dei supermanager: ma la avrebbero potuto chiamare anche povertà, esclusione, ingiustizia sociale, privazione: in una parola Italia degli anni duemila.
Per queste ragioni noi comuni terrestri italiani non ci stupiamo se sentiamo invettive, improperi, parole disperate quando andiamo al distributore di carburante, al mercato, al ricevimento dei docenti, in coda agli sportelli, in fila dal medico o in farmacia, o peggio a trovar malati negli ospedali.
No, non ci sorprendiamo, ormai quello è il linguaggio che la gente normale usa e quelli sono i suoi stati d’animo o meglio di malanimo.
Quella è l’amarezza per lo sbriciolamento sistematico di ciò che le nostre speranze e il nostro lavoro potevano costruire. Se è vero che ci sono tra noi quote di piccoli o medi evasori o furbi (di chi la colpa tra l’altro?) è anche vero che il degrado morale e culturale avrebbe dovuto essere un problema da risolvere e non una scusa.
Ma tornando ai nostri Extra Terrestri che gli diciamo? “Noi Tarzan, voi Jane?”
No, più bassamente diciamo: “Ma dove eravate? Siete sbarcati dall’astronave per viaggiare sotto scorta e ora siete attoniti e non capite?”
Invece, signori ET è tutto piuttosto chiaro, pensateci e lo diciamo senza parole alate e con tanta pazienza: tira tira la corda si spezza.
Se è vero che le parolacce volgari sono sbagliate, brutte, fastidiose e cafone è anche vero che la democrazia non è messa a rischio dalle parole, ma dai fatti e i fatti li fanno quelli che decidono e comandano. Siete sbarcati per comandare? Beh non è così semplice in un paese di gente innervosita e disamorata.
C’è anche un’altra evidenza, e ve la ricordiamo solo perché voi provenienti da un altro pianeta vivete ovviamente altre dimensioni storiche: la storia, qui da noi, non si ripete mai, non da sola. Invece sono i comportamenti e le decisioni che si possono ripetersi e voi, Extra Terrestri Itoccabili o di Insaputa o di Privilegilandia,  state riportandoci indietro nel tempo. No, non per vostra colpa! Come potevate saperlo da lontani anni luce?
State tornando al nostro Medioevo, quello feudale delle immunità, delle ordalie, degli schiavi.
Eh sì: scherzi dovuto ai salti nell’iperspazio: può accadere, sapete? È già stato scritto.

Aiutatemi a dirlo: È EVERSIONE?

Se e quando, come in questi giorni accade, si chiama in causa l’eversione i casi sono due.
O non si sa di che si parla e quindi non si hanno idee chiare  (può essere ma è difficile quando se ne parli da alti ruoli) e non si ha né memoria storica né si sono studiate le vicende italiane del Novecento oppure lo si sa.
Se lo sai o sei un intellettuale come Pasolini, ad esempio, allora denunci l’eversione dandone anche una mappa critica e interpretativa. Se lo sai e la declami come autodifesa o come difesa da eventi che hai contribuito a determinare allora, forse, non si stai ballando da sola/o; unica giustificazione? avere idee confuse. Ma qui si torna al primo punto.Infatti, invece, l’eversione vuole sì (come ci raccontano i dizionari) rovesciare l’ordine o l’equilibrio dello stato , ma (come ci racconta la storia) per attuarla sono necessari diversi livelli di interventi ed eventi che possono essere sia la gazzarra, sia eventi peggiori (fino alle stragi) che distolgano violentemente l’attenzione, sia talponi/e (in numero vario) che dirigano una trama raffinata di largo effetto verso l’opinione pubblica. Questa è l’eversione che abbiamo conosciuto e sappiamo  che è in grado di pilotare l’emotività, le paure, le attenzioni spostando anche masse di voti.Presi da soli lo schiamazzo, la gazzarra, l’insulto (e perfino una sberla o uno spintone) sono solo segni di imbecillità, maleducazione, canagliume facili da fronteggiare e che si ritorcono contro chi li pratica.Tutto il resto è roba di cui preoccuparsi.Aiutatemi a dirlo meglio e in modo più completo. Sarebbe utile.
Era il 14 Novembre 1974: Pasolini pubblicò uno storico editoriale che lessi con emozione ed ho conservato ritagliandolo dal quotidiano ed ho linkato qui sopra. Attuale? Forse, ma comunque lacerante e in grado di stracciare i veli delle ipocrisie che sempre e poi ancora ci perseguitano.
Certo, è quasi un sacrilegio accostare questo mediocre presente da sette in condotta e cartellino rosso con il periodo in cui Pasolini scriveva.
Ma siccome ci sono quelli che hanno perso il pudore e usano la parola “vergogna”, “eversione”, “colpo di stato” come se fossero il ketchup sul panino, allora dobbiamo pur ricordare che noi abbiamo visto morire gente, e il sangue non si dimentica come si può fare, invece, con un post imbecille sul web o una parolaccia da sanzionare per le vie brevi, lunghe o legali. È urgente: ripigliamoci il cervello.

Ballottaggio a Roma: che politica è questa?

Le mie valutazioni sui due candidati a Sindaco di Roma non riguardano le persone, ma i politici e le formazioni politiche che esprimono.
Le persone, infatti, possono piacere anche per ragioni irrazionali di simpatia o antipatie impulsive che le nostre tele conduttrici definirebbero gaiamente a pelle.
Per inciso, la deputata cinquestelle Roberta Lombardi è antipatica a tantissima gente e lo dimostra il fatto che ogni volta che giornalisti o politici vogliono citare un esempio di persona sgradita nei modi nominano lei. Invece a me la suddetta, proprio come persona, risulta simpatica per la sua durezza che ricorda vagamente un niet da veterosovietica, per la spigolosità delle risposte, per l’esercizio di un’ironia un po’ insolente (ricordiamo tutti la sua battuta sull’incontro con il vinto Bersani: ho creduto di essere a Ballarò). Penso infatti che all’ironia, alla schiettezza arrogante bisogna saper resistere anche perché il politicamente corretto mi spiace da molto prima che il papa lo condannasse.
Ma tornando ai due galletti vallespluga (quanto sono acida!) che si contendono il Campidoglio confermo che un cittadino ha diritto a non votare il meno peggio, a non doversi turare il naso, a non subire il ricattuccio che pare proprio costruito ad arte. (Che malalingua!)
Aggiungo però una personale riflessione per me conclusiva.
I due galletti attualmente sono a cova dalla stessa chioccia, sono espressione di due forze politiche apparentate da un matrimonio di convenienza, narrano perciò, ambedue, la stessa leggenda con parole differenti.
Invece votare significa anche riconoscere un senso di appartenenza e di consenso alla politica. Allora mi chiedo: che politica è questa? Non stiamo forse assistendo ad un lugubre corteo con tanto di officiante e campane a morto della democrazia? No? E cosa mi potrebbe consolare del contrario?
Quando appaiono, e ci mancavano pure i 35 commissari liquidatori della nostra amata Costituzione, a me viene in mente una terzina dantesca:
“Suo cimitero da questa parte hanno
con Epicuro tutti suoi seguaci,
che l’anima col corpo morta fanno.”
Dove basta sostituire “con Epicuro” con “col presidente”, uno a caso tanto ormai i “presidenti” non si contano più, e l’anima sarebbe la passione civile morta o morente e sostituita dal mercato agonizzante.
Credo inoltre che sentirsi cittadini significhi avere stabilito un patto sociale, alla pari, con lo stato a cui accettiamo di appartenere e al quale diamo un grande contributo, certo non solo in denaro
Sentirsi cittadini, e non sudditi, ci assegna dignità e responsabilità. La mia responsabilità civica, in questo caso, consiste nel rispettare l’azione di votare liberamente, di astenermi, o votare bianco.
I miei nonni, il voto allora era solo maschile, furono costretti a votare scortati in cabina dalla milizia fascista, e sotto minaccia votarono obbedendo. Non potevano farsi ammazzare: uno aveva dodici figli e l’altro sei.
Ma anche i miei nonni, e i loro figli, hanno poi partecipato alla liberazione dalla dittatura, hanno conquistato il voto libero pure per le donne e quel voto è una cosa seria.
Oggi il sentirsi cittadini significa non dire semplicemente “no”, ma anche affermare attivamente che questo corteo lugubre non ha saputo proporre, nel ballottaggio, persone esenti da parentela col matrimonio di convenienza che unisce pd e pdl con i loro alleatini.
Non sono in ballo, a mio avviso, persone lontane dalle larghe intese della maggioranza che ci governa a cui dare un libero voto e piena stima e allora rivendico il diritto di non votarle.
Ci ho pensato e riflettuto, ma non sono riuscita a trovare una sola ragione che mi convinca a votare uno dei due candidati al ballottaggio per il Campidoglio.
Credo infatti fermamente che non si viva di illusioni, ma non sia nemmeno possibile sopravvivere senza di esse.
E non voglio convincere nessuno perché il primo rispetto si deve a se stessi.