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Merito_crazia

Fortunello

Merito, meritevole, meritato? Meritocrazia.
Si sciacquano il cavo orale e si propongono come saggi riformatori, tra costoro tale Di Maio, alias un incrocio tra Gastone Paperone e Mister Bean (ma non simpatico), affermando al Meeting che “i giovani devono essere pagati per formazione e merito”.
Il problema, per la mia coscienza di persona democratica, è solo che questo “merito” di cui si parla e straparla, non è una unità di misura scientifica come il metro, il litro, il chilometro o i drammatici kilowattora sempre più minacciosi.
Il merito è infatti una misura che dipende da una valutazione di un superiore su un dipendente, che si vorrebbe far credere oggettivo, ma che varia in funzione e secondo l’opinione di quello che un “Superiore Giudicante”, pensa su qualcuno che dipende da lui.
Tutti siamo d’accordo che c’è chi lavora molto, chi si impegna meno, chi è più veloce nel risolvere un problema e così via.
Ma da questi elementi non discende direttamente e logicamente una verità. Dovrebbero invece discendere, ad esempio, riflessioni, strategie, opportunità, confronto con il giudicato.
Il valore di una persona, di un essere umano è di per sé sacro e garantito da diritti sociali nati con la civiltà e faticosamente riconosciuti. Quello stesso valore è tuttavia correlato, almeno, a tutta una serie di opportunità e condizioni in cui una persona si trova a nascere e vivere o da cui è formato.
Se tutti nascessimo (ma qui dico una cosa superflua) figli di casa reale e allevati conseguentemente non dovremmo dimostrare un bel niente. E ci sono illustri cretini che hanno governato nazioni.
Ma siccome la nascita non garantisce eguaglianza sembrerebbe lecito contestare questa idolatria del merito non in sé, ma come unica unità di misura di un essere umano che si inserisce o tenta di crescere nel mondo del lavoro.
Concludendo: Gastone paperone Giggino la finisca. Dovrebbe baciar per terra e dileguarsi pudicamente. E non da solo.

OPS! Forse abbiamo sbagliato

Hanno iniziato proclamando che il mondo era cambiato, che l’economia era globale, che in Italia negli anni passati si viveva al di sopra dei nostri mezzi.
Studi autorevoli profetizzavano che lo sviluppo dell’economia dell’INDIA avrebbe sorpassato, entro il 2020 quello della poderosissima CINA. Ed economisti di destra e non affermavano che in Italia le paghe erano troppo altre visto che in India un lavoratore poteva vivere con ben 5 dollari al giorno mentre in Italia la gente pretendeva il posto fisso per avere la sicurezza economica ma lavorando male, poco o affatto. Eravamo diventati il paese dei furbetti: dei furbacchioni nullafacenti ad ogni cantone.
Hanno affermato infatti che in Italia le famiglie erano soffocanti e protettive e i figli  erano tutti fannulloni o bamboccioni. 
E non dimentichiamoci della fama creata sui perfidi iniqui statali o con lavoratori nel pubblico impiego, a  tempo indeterminato: scandalosi mangiapane a ufo che mandavano in rovina tutto, ma proprio tutto il paese
Hanno detto anche che il tempo della scuola, e in special modo quello del Liceo era tempo sprecato e bisognava sostituire la scuola dell’imparare italiano e  studiare matematica e altre bazzecole con formativi corsi professionali da seguire in azienda, in fabbrica: insomma era ormai giunto il tempo di imparare a lavorare non a pensare.
Ed hanno proseguito dicendo che i vecchi erano un peso insopportabile e parassitario, le pensioni un furto alle spalle dei giovani e le tutele dei lavoratori un danno alla produzione.
Hanno anche costretto le donne a rinunciare alla maternità in cambio di un posto di lavoro, non un lavoro, si badi bene, ma solo un posto peraltro precario ed inferiore a quello di un uomo. Ma anche per gli uomini pochi scherzi! Solo contratti di settimane, giorni, a volte a ore. 

E tutti sempre zitti.

Hanno anche aggiunto che in Italia c’erano troppe tutele, che bisognava snellire, sburocratizzare e desindacalizzare.E hanno anche deciso che le aziende dove si produceva non erano convenienti: tanto noi eravamo il paese della Bellezza e del Turismo facile facile: entrano soldi e si lavora meno. 
Una nazione luna-park; un paese dei balocchi.
Dunque modernizzare!
Ottimo principio, non è forse vero?
Non importa, tanto si produce tutto, a meno, in India, anzi cediamogli proprio tutto, anche tutto il know-how che c’è. Abbiamo turismo, bellezza e ci rimane l’industria del lusso. Che altro serve?
E come si fa con il tessile, l’abbigliamento, gli oggetti di uso quotidiano? Dalle mollette per stendere i panni al frigorifero, dalle auto ai dvd, ai cellulari, ai pc? 
Semplice, si importa tutto: dalla Cina o dalla Turchia, dalla Corea o dalla Thailandia (sempre a meno), dalla solita India o da dovunque si possa sfruttare manodopera a basso costo.

E così forse ci sorprendiamo se in Italia gli agricoltori hanno messo su una pizzeria o un bar e non lavorano la terra? E se un operaio si mette a fare il fattorino di Amazon? Un’opportunità di crescita, signori miei!
Evvia, buttiamo le pastoie! Dai! Nei campi si guadagna di più usando immigrati: li paghi pochissimo e non si lamentano; non hanno casa, ma si contentano di baracche, gli fai un contratto finto ma ci guadagna il caporale. E poi c’è la prostituzione. Un fiume d’oro.

Scrupolo: ma se s’ammalano, se muoiono nell’incendio di una baracca o spargendo fitofarmaci velenosi? Ma scusa a casa sua morivano lo stesso! Sono abituati.
Evviva il paradiso dunque. 
OPS! Ma non abbiamo nemmeno una farmaceutica che produca in Italia vaccini : i dondamentali e autentici salvavita.
E nel frattempo, vedi un po’, l’India oggi muore di pandemia a 4000 persone al giorno (persone, non zanzare).
E sull’Africa? Chiudiamo gli occhi?
Evvia,  gli italiani hanno più incombenti pensieri: no, non l’abisso culturale di chi si contenta di ricordare  Dante con Benigni. Non il fatto che si è incapaci di trovare una motivazione sociale se si deve sopportare, per il bene di tutti, una
breve o lunga modifica delle abitudini.Niente affatto. 

Gli italiani si indignano per ben altro. 
Eh sì, roba grossa:  se gli si chiude il bar e gli contingenti la movida sono molti gli italiani che insorgono, si arrabbiano.
E dall’alto di profili intoccabili ecco la pronta risposta: ridiamogli movida e il tavolino al bar senza i quali la vita non è vita. Viva il paradiso!
Non è il solito paradiso? Be sempre meglio questo: virtuale? gastronomico? cazzaro? ma chi se ne importa.
Invece no: importa parecchio.

Abbiamo problemi grandi come il pianeta: disgregazione sociale, perdita di tessuto connettivo del paese,  abissi di ignoranza, baratri di invidia sociale, per tacere del clima, del mare che soffoca, delle specie in estinzione, dell’aria velenosa che uccide.
Ma ecco la soluzione: la movida, risolleva l’animo, la movida non si tocca. Tutto il resto può attendere.
Ricominciare da una consapevolezza storica è indispensabile, ecco perché è vitale il riconsiderare la linfa che proviene dalle radici, dalla nostra cultura e dal riscatto che solo il lavoro, quello vero, quello che rende liberi, ci fa raggiungere. 

Tra #ponti, stadi e #sfratti vince il liberismo

sciopero-610x350Per la mia ostinata incapacità di accettare per buone le verità rivelate, specialmente quelle correntemente diffuse, non riesco a impietosirmi né per le masse (che non voglio qualificare) che tifano per ‘o stadio de ‘a Roma, né, e so che scandalizzo molti se non tutti, per chi sia senza tetto non per reali problemi fisici o di mancanza di lavoro ma, in un certo senso, per sua scelta. Mi impietosisco per chi lascia la vita sotto le macerie ingrassate dal profitto, ma non mi commuovono per niente per le parole alate, secondo me velatamente arroganti, di Renzo Piano che costruisce modellini, ma poi delega agli Ingegneri la costruzione e tutte le responsabilità che ne conseguono.
I morti ci sono, ma nemmeno i preti li piangono, il cardinale di Genova, per dirne uno, ri-lancia lo slogan : “Genova risorgerà più bella e superba di prima…” Bravo, grazie, prego, scusi. Ma i morti non risorgono, e se risorgessero farebbero bene ad andarlo a cercare, possibilmente di notte disturbandone la digestione.
Ma tornando ai senza tetto allontanati dagli stabili abusivamente occupati, posso dire che ognuno valuta le cose anche in base alle proprie esperienze di vita.
Per questo mi sento di affermare che ho girovagato per Italia e dintorni fin dall’infanzia seguendo mio padre che cercava lavoro nel dopoguerra; e nel dopo anni 60 ho cominciato a girovagare per mio conto sempre “appresso” al lavoro. e che con quel lavoro pagavo affitti che si mangiavano quasi tutto lo stipendio. Meno male che si lavorava in due (pessimi esempi per gli attuali standard coniugali, no?)
Penso che le eventuali fatiche, se così vogliamo definirle, che abbiamo fatto noi, o io, qui di casa e famiglia, non siano tali da non poter essere sopportate da molti.
Dunque non mi piace che si reclami il “diritto alla casa” prima di un eventuale reclamo di “diritto allo studio”, “alla ricerca”, “alla fatica” o al “Lavoro”. Tutti diritti, quelli appena enunciati, che si realizzano anche patteggiando, rinunciando a qualcosa non sempre inutile o semplicemente dandosi da fare.
Ora se è corretto denunciare se si mettono i bambini per strada allora ammettiamo che sia anche per lo meno corretto denunciare chi li ha fatti vivere tra i topi.
Ci sono strade e itinerari di vita indubbiamente  faticosi a volte fino allo spasimo, ma prima o meglio prima di arrendersi all’abusivismo, all’arte di arrangiarsi, all’illegalità bisogna almeno tentare di percorrerle.
Ho apprezzato e voluto bene, anche se solo a distanza, ad una giovane donna sfrattata che diceva in una intervista tv: “non è che una non vorrebbe camminare con le sue gambe “(ecco il camminare, il percorrere di cui parlavo sopra) “ma se ti chiedono 600 o 800 euro per l’affitto non ce la fai.”
E allora questa è dunque, a mio parere, la dura verità, questa è la causa degli orribili modi di escludere: è stato abolito lo stato sociale, è stato tolto valore all’istruzione, si è lasciato che il liberismo peggiore abbia preso possesso (per dirne una) perfino della gestione degli affitti (ma potremmo parlare di sanità, di urbanizzazione, di strade e autostrade, di industrie). Ma abbiamo (hanno i sindacati in primis) accettato che si applicassero affitti liberi, in nero, esosi fino al parossismo. E non si ascoltano o appoggiano le lotte dei lavoratori a cui la cosiddetta sinistra è ridotta ha chiedere scuse tardive se non ridicole. 
Ci sono, d’altro canto, brave persone che non chiedono “la casa aggratisse”, che non dicono “dove vado se non occupo?”, ma chiedono giustizia sociale.
Tutto il testo, consentitemi la volgarità per una volta sola, mi fa pensare a un’applicazione demagogica del “rutto libero” fantozziano. Parole sudice che escono da pessima digestione.
E concludo.
Totti, vigoroso paladino del nuovo stadio della Roma, mi era simpatico, ora meno.
Il popolo lo amavo, ora quello da stadio non lo sopporto.
Le cose serie sono altre.

I lavoratori e il riscatto del lavoro

Purtroppo da alcuni anni, e (lo dico con amarezza e senza vanto) io l’ho più volte scritto: il gioco dei potenti è stato quello di contrapporre e creare divisioni nella società: prima tra generazioni, poi tra classi sociali adesso tra diversi tipi di lavoratori. Questo gioco infame fa vincere sempre il banco ma, se volessimo, potremmo contestarlo, contrastarlo e forse iniziare a vincere.
Invece grandissima parte degli italiani non si accorge, cade nel tranello, vota male e fa il gioco di Berlusconi, di Monti, di Renzi o di chi altri? Non sono qui a sciorinare verità e non penso di averle in tasca, mi pongo quindi anche io molti problemi e cerco di evitare di generalizzare. La mia riflessione, pur se espressa con semplicità, riguarda un aspetto che mi sta molto a cuore: anche se si vorrebbe far apparire che i lavoratori non sono importanti, anche se si tenta di metterli in una competizione suicida e utile solo al profitto, anche se si esaltano i vincenti o i “bravi” (vai a capire come individuati) che in realtà sono spesso utili servi, anche se… e si potrebbe continuare,  penso che i lavoratori abbiano il dovere/diritto di difendere la loro dignità tornando ad essere solidali, uniti e, soprattutto, consapevoli del loro ruolo che è fondamentale.
Lo so, sono o posso apparire antica, ma nel mio cuore e nella mia mente sono stampate vecchie parole a cui non rinuncio: “il riscatto del lavoro “.
Sta infatti anche al lavoratore ottenere e imporre (quando è in posizione cosiddetta garantita) che il lavoro non sia solo fatica, ma anche riscatto. Unirsi è fondamentale, è l’unica possibilità di uscire da questo tragica palude che spegne il pensiero e uccide il futuro; con o senza sindacati, ovviamente.
http://www.archiviodistatobologna.it/…/2-1894-%C2%ABil…