
“La luna – disse Nuto – bisogna crederci per forza.”
Provo a dirlo brevemente. Rileggo La luna e i falò. Un libro che cambia man mano che la vita ci cambia. La prosa: meraviglia di un ritmo spoglio, arcaico, intarsiato di prestiti e costrutti dalla parlata regionale. Catartico il racconto che non risolve, non conclude, non spiega eppure, eppure sì è un magma simbolico senza tempo. Universale, eppure chiede silenzio.
Tali sono i grandi miti, e Pavese qui è mito.
E poi, in me modesta lettrice, dolore profondo contro chi, invece, vilmente parla di un Pavese “suicida per amore”.
Cito a memoria, che ora sono talmente travolta dalla voglia di dirlo senza far lezioni a nessuno: “non ci si uccide per amore di una donna, ci si uccide perché ogni amore, qualunque amore, rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla.”
E mi vien voglia di dire : somari.
Ma perché, scusate, quelli come me studiano per anni e leggono e cercano, sentendosi insufficiente sempre, di conoscere gli autori nelle loro pieghe più affascinanti e difficili a dirsi e poi rinunciamo: lo sai, hai letto tanto, ma non ti sembra ancora abbastanza.
E invece esce dalla sua palude un qualche rinoceronte trionfante, circondato da uccellacci gracchianti, che calpesta e si pavoneggia come un ballerino ubriaco ma sì, ma lui sa, lui dice, lui dichiara di sapere tutto perfino che Pavese si è ucciso per amore, un depresso che magari alzava il gomito.
Somari.
Ignoranti.
Vergogna.
Rispetto no, vero?
Rispetto almeno per un suicidio lungo come una vita, no?
Istituire il reato di crassa ignoranza non servirà. Ma se c’è un dio dei Poeti, e certamente c’è , troverà il modo di punirvi.
E quei falò che generano vita bruceranno sempre nelle notti di tutti di luna.
“La luna – disse Nuto – bisogna crederci per forza.“