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Classi pollaio e storia di polli

Questa è una emblematica storia di polli (a proposito di #classi_pollaio a #scuola).
Decenni or sono la mia famiglia abitava una casa con un giardino, un po’ di orto e perfino un pollaio costruito dalle mani di papà.Un manipolo di gallinelle, qualche pollo e una volta abbiamo avuto perfino due meravigliose oche. Situazione idilliaca. Le galline producevano le uova, i polli qualche pranzo domenicale e le oche divennero cibo che rifiutai solennemente perché le adoravo vive. Tutte le creature suddette si nutrivano di granaglie e pastone di crusca cucinato in casa.
Tutto filava liscio. Ma questo è l’antefatto. Bei tempi.
Qualche anno fa Giuseppe, mio marito, ed io acquistammo una casa in campagna: travolti dall’entusiasmo ecologico per la vita rurale decidemmo perfino di allevare qualche gallina e faraona. Acquistati, perciò, bei sacchetti di granaglie adeguate pensavamo di aver risolto e di dover solo aspettare la produzione di uova. Invece no.
L’esperto contadino, consultato sulla bisogna, ci disse che senza la “miscela per ovaiole” (detta in vernacolo miscella) le galline non “fetavano” ossia niente uova. Non volemmo cedere, tuttavia durante le assenze forzate l’esperto aggiungeva, a suo arbitrio, la famosa miscella e qualche ovetto sbucava da dove doveva.
MA in breve tempo le galline e i polli cominciarono ad ammalarsi, a perdere penne e perfino a tossire. Ed allora l’esperto locale, veterinario, prescrisse l’antibiotico per non ricordo quale diavoleria di diagnosi avesse fatto. Scocciatissimi e delusi accettammo tentando di salvare il piccolo investimento ovicolo irrorandolo di medicine , ma dopo ogni ciclo di antibiotici, peraltro costosi, le pennute spennate e gli spelacchiati pollastri ricominciavano a tossire emettendo via via sempre più lugubri versi di soffocamento. Il veterinario no. Lui prosperava.
A questo punto sgomenti ci interrogammo: dovremmo sostituire uova e polli del supermercato con le uova e i polli impregnati di antibiotici ciclicamente ripetuti? Decidemmo dunque per una soluzione alla svizzera: eutanasia del pollaio.
Eppure una inquietante domanda rimase a turbare la nostra vita agreste: come mai il pollaio di papà, anni ’50 invece prosperava spensierato e senza veleni? La faccenda m’è ritornata in mente a proposito di contagi. La vita collettiva va benissimo ed è inevitabile, ma la compressione di persone in spazi inadeguati no. Le aule scolastiche, nonostante le misurazioni solerti dei mesi estive, sono spesso collocate in edifici inadeguati, con soffitti da appartamento, non da locali per le scuole. Affidare il ricambio dell’aria alle finestre aperte, pretendendo che insegnanti e ragazzi si sventolino alla temperatura media di 10° novembrini (dove va bene) è una pretesa da igienisti stregoni improvvisati che può apparir valida solo a chi si sprofonda nelle poltrone ministeriali.
Siamo seri. Le classi pollaio non si trasformano in aule sane ed adatte ad apprendere in due mesi. Non sarà meglio prenderne atto?
A margine dei margini : quante sono, oggi, le aule in cui esistono per lo meno tre o quattro grandi finestroni e le aperture a vasistas? Non polemizzo sulle rotelle dei banchi, ma su quelle dei cervelli un ragionamento lo farei.

la mia oca, Cori

C’è una Scuola da difendere

V A 2004 001

una mia classe agli Esami di Maturità

Leggo (ormai inizio spesso così) sulle bacheche di social post e commenti in cui si parla di fatti che accadono, in questo periodo, nelle scuole. Leggo commenti di studenti, di ex studenti, di genitori, di prof (di ogni ordine e grado).

Leggo di: – docenti scherniti e a volte picchiati da loro studenti – di docenti presi a botte da madri e padri allertati dal ragazzino per fatti irrisori (rimproveri) – di docenti filmati mentre sono sottoposti a sommosse costruite ad arte
ma anche
– di insegnanti che maltrattano con atti e parole piccoli al nido (!) o alla materna – di insegnanti che tranciano e trinciano giudizi come se stessero affettando un merluzzo surgelato – di docenti che seducono, plagiano e ottengono prestazioni sessuali dalle loro studentesse (ma non mancano nemmeno molestie ai maschi).
Di fronte a tutto questo alcuni generalizzano, altri tirano giù santi e beati, altri decidono che la scuola sia da buttare, a vantaggio delle private sulle quali, tuttavia, si abbattono i recenti scandali. Probabilmente accade perché è facile attirare l’attenzione su quello che non va, sulle violenze, sugli abusi; mentre poco interessa alla nostra valutazione, malata di sensazionalismi mediatici, parlare di quello che va bene. Poco si sa parlare di buone pratiche, di bravi docenti, di ragazzi che vanno a scuola con fatica (perché no) ma tutto sommato ben motivati Ci avevamo provato con La Scuola che funziona messa in rete da Gianni Marconato tempo fa, e di questo network il documento più significativo è, e rimane, Il Manifesto degli Insegnanti, una bella esperienza. Adesso di buona scuola si parla, ed è giusto e corretto lo si faccia (a patto che non diventi una vetrina per dire solo “sono innovatrice/ore: quanto sono brava/o); ma si dice poco se funzioni o meno, molti bravi docenti dicono di no e motivano; altri di sì. Non è questo il mio temino di oggi. Scrivo infatti tutto questo sollecitata sia da recenti denunce verso maestre picchiatrici, sia dagli attuali fatti di abusi sessuali di insegnanti (di scuole pubbliche, ma anche di illustri Istituti privati apparentemente insospettabili, ma va a capire). Non difenderei nemmeno per un miliardo di euro né con parole, né con azioni chi alza le mani, chi insulta, chi abusa di un minore. Sono “debolezze” che considero un vizio irresponsabile, violento, odioso. Non sosterrei mai, allo stesso modo, chi tenti ipocritamente di coprire vicende che coinvolgono bambine o bambini, ragazze o ragazzi e tanto meno quegli orribili docenti che, approfittando del ruolo, plagiano le persone che dovrebbero educare.

la mia cattedra, di Italiano

io prof in classe, con un mio studente, alla cattedra, gli altri nei banchi

Però difendo la scuola come istituzione, come corpo dei lavoratori docenti dei quali la quasi totalità è preparata, impegnata e in buona fede. Un corpo docente immerso nella realtà e che si confronta quotidianamente con una nuova dimensione giovanile complicatissima, distratta da tanti fattori che sappiamo, a volte priva di riferimenti famigliari importanti, sollecitata compulsivamente da mille esempi a volte fuorvianti. Non tiro in ballo liberismo, culto dell’immagine, perdita di valori e simili “catastrofi”; li conosciamo già. Però chiederei, se ne avessi autorità, ai bravi insegnanti di non coprire mai le scorrettezze, i sospetti, le violenze, le (lasciatemele chiamare così) turpitudini di quei pochi che sporcano la scuola e il lavoro onestamente svolto. Abbiamo bisogno, per i nostri bambini, ragazzi e giovani, di messaggi chiari e puliti. Se un docente sbagliasse perché si è dimenticato una data, una forma sintattica o una formula dobbiamo sapere che il primo a preoccuparsene e a rimediare sarebbe essere lui stesso, e non deve essere disprezzato per questo. Se invece un docente picchiasse un bambino, se si permettesse di avere comportamenti equivoci, se addirittura intrattenesse o richiedesse prestazioni sessuali a un minore non deve essere coperto e tanto meno giudicato con indulgenza perché non solo compie reato con effetti irreversibili, ma danneggia tutto un sistema di Istruzione che nonostante tutto funziona, che può funzionare meglio, ma che in ogni caso è essenziale funzioni per il futuro di tutti. Per questo difendo la scuola, la scuola pubblica soprattutto, dalla ipocrisia, dalla malevolenza, dalle calunnie ma anche dagli interessi di chi vuole metterci sopra le mani.

Insegnanti: la protesta sull’orario sia seria

18 ORE vs art 18?

La protesta sia seria, come questa.

La protesta contro gli effetti della legge di stabilità sull’orario dei docenti ha fondamenti troppo seri per non esser sostenuta, ma ha anche eventuali conseguenze e ricadute che colpirebbero soprattutto famiglie e studenti.
Non mancano, in rete come nei media, testimonianze e dichiarazioni motivate e del tutto condivisibili.
Ho trascorso una vita di studio e lavoro nella scuola, come studentessa prima, poi per qualche anno come ricercatrice e infine come insegnante, la conosco come le mie tasche, la amo e non vorrei né potrei non argomentare tutte le ragioni della rivolta in atto.
Non posso, tuttavia, nemmeno tacere il disagio che provo quando la mia categoria, esprime in questo modo il suo dissenso; e sono tentata di affermare che questa protesta non è seriamente espressa.
Si contesta, ad esempio, l’aumento di lavoro elencando le evidenti fatiche di una professione non facile, ma è anche vero che nessuno obbliga a svolgerla.
Si rileva che l’aumento delle ore è di fatto corrispondente ad una diminuzione dello stipendio, ed è vero. Ma ci accorgiamo solo adesso che il patto sociale è saltato o siamo i soliti cittadini di Insaputopoli?
No, non sto vestendo i panni di Elsa Fornero dalla quale mi separa un abisso di denaro e privilegi, vita di lavoro, di convinzioni etiche, politiche e culturali. Osservo le formule della protesta e leggo: “Al liceo Talete di Roma i docenti hanno annunciato una settimana di «sciopero bianco». In classe si farà solo «didattica essenziale». A Palermo due docenti si sono rifiutati di ricoprire l’incarico di coordinatori di classe. Un precario di Ferrara ha persino stampato una serie di magliette con frasi del tipo: “Pubblica (d)istruzione” (sic! vecchio quest’ultimo slogan, di almeno 20 anni…).

Va detto che ci sono insegnanti, ne cito una per tutti, Lorenza Bonino, che si esprimono in rete con articoli di forma e sostanza qualificatissime, a testimonianza che la categoria non manca di brillanti teste pensanti e critiche. Tuttavia io penso che verso un potere, come l’attuale, che dia alla cultura solo un peso marginale, tanto da affrettarsi a potarla brutalmente, ma sfiorando appena i veri sprechi, che si dovrebbe reagire diversamente. In realtà si sarebbe dovuto da molto tempo andare all’attacco, usando tutte le strade possibili dell’autonomia, e sarebbe oggi utile asciugare le lacrime e i fazzoletti e soprattutto non dimenticare che quando si chiede la solidarietà si deve anche proporre la reciprocità; il mondo del lavoro per chi non insegna non è sempre migliore, altre professioni non godono condizioni più garantite, anzi. Conosco, e conosciamo, lavoratori soggetti regolarmente a mobbing, lavoratrici e lavoratori che vivono in fabbriche inquinanti dove si muore, funzionari ed impiegati sottoposti a stress e angherie da capetti o capoccioni ignoranti ma prepotenti e potenti, giovani donne costrette a firmare dimissioni in bianco e tanti altri casi che ci riportano secoli indietro: per tacere dell’abolizione dell’Articolo 18, simbolo della privazione unilaterale di tutte le garanzie del lavoro nonché dell’abolizione progressiva dello stato sociale.
Ma mentre il mondo del lavoro peggiora di giorno in giorno i docenti  di ruolo, ad esempio, hanno ben poco sostenuto e difeso quella dei precari; quando, infatti, hanno scioperato massicciamente al loro fianco?
Guardando, inoltre, fuori dal  proprio orticello vediamo pochissime o rare iniziative per fronteggiare il pesante pedaggio delle famiglie costrette ad acquistare libri di testo in costante aumento  e pesanti in tutti i sensi sia per il bilancio di casa, sia per le spalle dei ragazzini, sia per la qualità.
E ancora: decine di migliaia di concittadini esodati, negozianti che chiudono,cassintegrati, in mobilità, licenziati, precarizzati a vita, artigiani senza più lavoro: perché non affiancarli?
Si continua a far lezione ai figli di queste persone, ma sappiamo che non possono più permettersi le spese per vacanze, le visite di studio, le attività extra.
Vero: la scuola non può farsi carico di tutto questo, ma può mandare più significativi forti messaggi di solidarietà, partecipare alle manifestazioni seriamente, la scuola deve evitare di imbozzolarsi nel proprio particulare per affacciarsi al presente solo quando si toccano le 18 ore.
No, la scuola non può risolvere i problemi che i politici mettono sulle nostre spalle e i sindacalisti alla Bonanni e soci shiftano in leggerezza; però può  seriamente chiedere la solidarietà sociale e far pagare, ancora una volta e in altro modo,  ragazzi e famiglie penalizzandoli con scioperi bianchi ed altre consimili misure che possono apparire corporative?
Si può  davvero vestire legittimamente l’abito delle vittime sacrificali lamentando le penalizzazioni che ci toccano e poi, magari, sospendere i ragazzi quando scioperano, tentano di occupare le scuole o manifestano, in altro modo, il loro profondo disagio di giovani senza futuro?
Tutto il paese, e non solo il nostro, è in recessione: solo l’unione può farci trovare risorse e motivazioni, strumenti e strategie politiche, economiche, sociali per uscirne. Se, al contrario, si affrontano i problemi particolari quando e perché ci toccano personalmente, ma quando toccano agli “altri” siamo distratti allora saremmo simili all’archetipo del contadino che ti spara una rosa di piombini nel sedere perché teme che gli rubi una gallina, ma guarda passare i cortei degli operai e con le loro bandiere, fa spallucce e si china sui cavoli propri a schiacciare le rughe o a scacchiolare i germogli soprannumerari…

E se ognuno pensa solo ai cavoli propri, cari prof, beh la partita è persa. E la scuola è davvero finita. La protesta sociale è una cosa seria.

Futurismo – Net.Futurismo

Ad Futurum POST

Futurismo – Net.Futurismo
"Ad Futurum POST. Futurismo – Net.Futurismo" è un evento creato da Net.Futurismo per la sesta mostra di arte moderna e contemporanea VITARTE (14-16 marzo 2009), con l’intenzione di onorare nel migliore dei modi il centenario della pubblicazione del primo manifesto futurista.

Logo Ad Futurum POST 

Logo NetFuturismo "Ad Futurum POST" :

riprende il titolo del periodico creato da Net.Futurismo, periodico che sarà distribuito in formato cartaceo in occasione dell’evento viterbese.L’evento è strutturato in 2 sezioni. La prima sarà intitolata “L’arte di far manifesti” e presenterà in esposizione i manifesti del Futurismo e quelli del Net.Futurismo.  Nella seconda sezione ci sarà spazio per le creazioni artistiche del movimento net.futurista, tra polimaterici, opere concettuali, istallazioni e net.art.I manifesti futuristi sono gentilmente concessi da Francesca Barbi Marinetti, nipote del fondatore del Futurismo. L’idea è quella di illustrare quell’”arte di far manifesti” di cui indubbiamente Filippo Tommaso Marinetti è stato il primo e più grande interprete. I manifesti futuristi interessarono le arti e gli argomenti più disparati e presentano ancora a distanza di un secolo un enorme interesse, dal punto di vista contenutistico e formale. Net.Futurismo ha prodotto in poco più di 3 anni decine di manifesti, nella convinzione che il genere “manifesto” abbia oggi permeato di sé, in varie forme, tutta la comunicazione (artistica ed extra-artistica). E così i manifesti net.futuristi si presentano nelle forme più diversificate: accanto ai manifesti testuali, eredi della tradizione futurista (ma oggi diffusi prevalentemente attraverso il web), troviamo manifesti grafici, manifesti polimaterici, manifesti sonori oppure ibridazioni di tutte queste forme. Il Net.Futurismo crede che oggi non sia possibile prescindere dal genere “manifesto” (in tutte le sue varianti, dal tipico manifesto programmatico fino allo slogan pubblicitario più sintetico) se si vuole essere efficaci a livello comunicativo.
La seconda sezione espositiva comprende opere che mostrano la grande versatilità creativa del movimento netfuturista: numerosi polimaterici stanno accanto ad opere di natura concettuale, postazioni interattive multimediali e sperimentazioni fotografiche. Centro dell’esposizione è un’istallazione totale costruita appositamente per Vitarte, istallazione che si configura come una summa della creatività net.futurista.
Parteciperanno all’evento anche Francesca Barbi Marinetti, che ha curato con Antonio Saccoccio la scelta dei manifesti futuristi in esposizione, l’attore e autore teatrale Edoardo Sylos Labini, interprete dello spettacolo futurista “Donne Velocità Pericolo”, l’artista viterbese Marco Zappa, autore di numerosi polimaterici esposti.

I net.futuristi: Antonio Saccoccio, Gianluigi Giorgetti, Marco Zappa, Klaus-Peter Schneegass, Paola Delfino, Giulio Morera, Simone Massafra, Gianluigi Ballarani, Elisabetta Mattia, Paolo Ciccioli, Francesco Giannetta, Maria Serena Peterlin, Gonzalo Jerez Sanchez, Mauro Piccinini, Claudio Giannetta, Stefano Balice.