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Largo ai giovani, se …

valperga-caluso-2Sarebbe un bel traguardo, ed è quello desidero per me, sarebbe un sogno realizzato, ed è quello per cui ho lavorato per una vita intera, il poter dire serenamente largo ai giovani e farsi da parte in attesa di applaudire senza enfasi, ma con sincera e forte emozione, le nuove idee, i nuovi pensieri, il modo nuovo di costruire il domani. Sarebbe una magnifica e progressiva sorte quella di poter dire che la nostra eventuale eredità spirituale e culturale è stata non solo raccolta, ma fatta germogliare, accresciuta e moltiplicata facendone cosa nuova e migliore.
Non posso rinunciare a questa speranza, ma oggi non la vedo nemmeno all’orizzonte; tanto è vero che, ahimè, i presunti giovani non solo passano di buon grado attraverso le forche caudine delle vecchie prassi e pratiche, ma vi s’adeguano aggiungendo cariatidi che puntellino il loro progetto di alternanza, di diversità di novità.
E se è vero che senza basi antiche e solide non si costruisce il futuro è anche vero, a mio parere, che un mondo futuro e migliore non può e non deve replicare modelli, ma usarli, caso mai, come sostrato e non come semi e tanto meno come tutori a cui avvilupparsi.
E se è vero che l’acqua dei fiumi è movimento, energia e vita è anche vero che se un fiume si arena nelle vecchie e stagnanti paludi muore e nutre putridi miasmi.
Ma guardate anche le piante; quelle del tutto stagionali , dei petulanti piselli ad esempio; essi nascono in un sorprendente e brevissimo tempo, mettono germogli e viticci, fioriscono: ma se non sono sostenuti da canne o graticci o reti e così via si sparpagliano al suolo e difficilmente producono. Appunto. E durano comunque solo una breve stagione, quella del, forse solo mio? scontento.
E guardate invece le piante di vecchi alberi, stagionate, rugose: esse guardano crescere l’erba e stiracchiano nuovi rami. Su di loro si rifugiano uccelli stanziali o di passo. Su di loro si avvinghiano rampicanti che raramente sopravvivono. Ogni primavera li fa più belli e ogni autunno li fa splendere di un canto di foglie che si depositano ai loro piedi per rinvigorirli.
Potranno finalmente, un domani, quelle rugose e rassicuranti creature, vedere nascere nuovi alberi vigorosi e potranno lasciarsi togliere per essere finalmente accarezzati dalle fiamme di un fuoco buono che scaldi il cuore e la mente?
Questi sono i pensieri sparsi che mi vengono a cercare ogni volta che vedo giovani (giovini diceva un mio preside) politici che arrembano abbarbicati al vecchio di turno.
Per camminare verso l’alto, per stendere rami nuovi al sole, per farsi largo e ottenere di sorpassare il vecchio andamento dei rugosi è davvero impossibile imparare a camminare da soli?
E può scorrere un nuovo fiume di idee vive se si impaluda in un vecchio fosso?

 

 

 

Il tanto che abbiamo avuto

primo giorno scuola

in II Elementare

Quando sento parlare di “generazioni che hanno avuto tanto mentre oggi i giovani non hanno lo stesso benessere” mi sento quasi male, e vorrei ristabilire alcune verità, ma non di quelle basate su demagogie o reazioni sentimentali.
Solo storie vissute e fatti veri, cronache della mia infanzia.
Voglio parlare di casi veri reali, di persone vere come i miei coetanei e coetanee (ma potrei parlare, per qualche episodio, anche di me stessa) e poter dire cosa  fosse, se c’è, di quel “tanto” che avrebbero avuto, che avremmo avuto.
Oggi voglio ricordarmi solo di una compagnetta di scuola: Laura che era la più brava della classe, eccelleva su tutti.
Laura aveva i capelli neri che le scendevano sulle spalle in lunghi e neri boccoli; era una bambolina. Ma i suoi vestiti, sotto il grembiule bianco obbligatorio in quegli anni, sapevano sempre un po’ di selvatico.
Laura aveva la faccina sempre abbronzata, era figlia di contadini e veniva a scuola da sola, a piedi, dalla campagna.
Perché me ne sono ricordata?
Forse perché si dice che vivessimo nel benessere, ma io so che la nostra maestra aveva organizzato, spontaneamente, noi bambine, in modo che la piccola Laura (ovviamente metto questo nome di fantasia) fosse a turno invitata a pranzo a casa di qualcuna di noi.
Laura, che ci aiutava sempre nei compiti perché era la più brava e intelligente, non aveva abbastanza da mangiare; ma questo l’ho capito solo molto tempo dopo.
Ecco chi aveva tanto ieri, ecco cosa aveva.
E meno male che portavamo il grembiule che, almeno all’apparenza, ci rendeva tutte uguali.

#Festa dei Nonni?

Mi rivolgo a voi,
che avete falciato le nostre speranze
e quelle riposte nel futuro
voi che spargete menzogne e spegnete la conoscenza
voi che avete spezzato il destino dei nostri figli
e ipotecate quello dei loro stessi figli,
e ora li manipolate gli uni contro gli altri
e tutti contro di noi
voi
che avete deciso di renderci più poveri
materialmente e moralmente,
voi per i quali non spendo insulti
mentre vi vedo vestire i viscidi e luccicanti abiti
dell’ipocrisia e del ricatto violento

voi
proprio voi?
adesso ci festeggiate come “nonni”
come “risorsa”, come “portatori di welfare”,
come sostegno e soluzione ai problemi
della generazione che ci avete strappato
per stritolarla nel vostro tritacarne liberista?

Spero che arrivi il giorno in cui pagherete il conto
E quello, sì, proprio quello sarà
la mia festa dei nonni.