
Mariaserena
A qualcuno, non certo a me sola, accade di sentirsi dire, e con una certa sufficienza, che si è dei brontoloni a cui non va bene nulla.
In realtà non è così, e si sa a priori che la giustifica, presentata d’ufficio, non sarà accolta se non con garbo apparentemente.
Ma se è vero che il dissidente è un noioso e, per qualcuno, insopportabile guastafeste, è anche vero che quella del consenso è una dimensione del privato e del pubblico che sgomenta, appiattisce, distoglie e assoggetta.
Sappiamo infatti quanto, oggi, la comunicazione appaia, sotto qualsiasi forma o immagine o formula verbale, una rappresentazione sovente artefatta e pilotata con abile astuzia verso il nostro cervello.
E possiamo facilmente costatare quanto i media ci circondino disposti e preparati, con sapientissime strategie,a determinare chi, come, quanto e quando dovremo essere colpiti.
Di qui il plausibile timore di essere manipolati, e dunque colpiti e affondati dal fragore mediatico, dal conformismo di una contestazione apparente, dalla gratificazione del coro, di sentirsi appartenenti e non esclusi.
Bene: in questa situazione il dissidente, a mio avviso, è un’utile risorsa proprio perché avverte, come direbbe qualche filosofo, la nota stonata della manipolazione e la segnala.
Può essere faticoso non appartenere, non conformarsi, non sentirsi circondati da un ambiente sociale conveniente in cui la si pensa nello stesso modo e può essere non meno fastidioso sopportare il dissidente.
Eppure chi provasse a togliersi gli occhiali rosa del consenso oppure le lenti monocromatiche del gruppo di similmente pensanti potrebbe ritrovarsi, perfino, esser grato a chi l’abbia avvertito che ci sono altre prospettive, altre interpretazioni, altre chiavi di lettura. Insomma che la libertà di pensiero è un’utile pratica da coltivare ancora.
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