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Vecchia politica e vecchie stregonerie sputano sul nuovo

120Comunque vada questa Italia  appare sempre più vecchia ed invecchiata male, e fa un po’ compassione. Comunque vada ci si abbarbica al passato, alle certezze, alle fregature collaudate.

Si affonda l’ancora alla fonda di vetusti porti in disarmo mentre si temono e ostracizzano rotte o progetti realmente nuovi e che ci sono invece necessari.
Si parla di rinnovamento e riforme, m non di cambiamento: infatti rinnovare significa solo modificare un vecchio cappotto rivoltandone la stoffa e non progettare e inventare, significa ri-fare e non costruire il nuovo daccapo.
Il mondo è cambiato? Ma l’Italia no.
Tutto questo è stramaledettamente borghese nel senso peggiore del termine.
Si vuol fare come quando un vecchio divano diventa scomodo e ha una zampa rotta e, invece di acquistarne uno nuovo lo si rappezza e riveste con spesa maggiore, ma tanta inspiegabile nostalgia e il divano zoppica sempre.
Eppure la nostalgia è dolce e può essere nobile quando si riferisca alla saggezza di insegnamenti alti, quando ci ricordi, casomai, che siamo nati per seguire virtute e conoscenza, quando ci richiama alla Costituzione di un’Italia fondata sul lavoro, non quando ci attira verso cose di stantio sapore nocivo come i consolidati poteri, le certezze dei vecchi riferimenti, il familismo, la corruzione (magari quella contenuta e sciccosa, senza esagerare), le compromissioni ma condotte solo fino a un certo punto, di tradizionali cordate affidabili.
E mentre di ostracizza il nuovo si pretende di affidare il rinnovamento di un paese profondamente tarlato dal vecchio sistema con le stesse procedure con cui si affida un programma tv a qualche vecchio presentatore, pronto uso e pronto effetto e che, pur con tinture e parrucchini accesi e fatti orridi, ma iridescenti dalle luci di studio, blatera e sorride abbracciando la soubrette scosciata.
E c’è tutto un piro-piro, un biascicare, un riadattar dentiere, look e discorsi a pseudointellettuali di riporto, figli di figli, nipoti di zii, cocchi di case editrici pronto-effetto. E cognomi che ritornano, come rigurgiti di vecchie cipolle mal digeribili e che si ripropongono imperterrite.
I media, i giornaloni, i politici vecchio stile, gli intellettuali consolidati da molteplici regimi e potentati economici che stanno già tessendo uno squallido arazzo per coprir magagne e instillare nostalgie di un mondo che invece non dovremmo mai rimpiangere. Si moltiplicano appelli, si invita a mediare con la vecchia politica, si insinua che c’è in giro gente inesperta, ignorante, pericolosa come se quella che fino ad oggi ci ha afflitto, spesso esperta in malaffare, non fosse colta sì, ma in coltivar gli affari suoi e certamente poco benefica alla sorte del paese. Però solida, consolidata, navigata. Ah che bellezza.
E i trentenni, i quarantenni secondo lorsignori inesperti? E le persone fino ad ora fuori dal giro? Restassero a mugugnare.
Riavvolgiamo allora il nastro fino in fondo, e ricominciamo a dire che la terra è piatta e il sole le gira intorno, che le Americhe sono le Indie e saremo tutti felici. A proposito: di sabato notte non uscite,  girano le streghe.  

“Voto utile”, il mio no – di Mariaserena Peterlin

Immagine elezioniBersani, Monti, Berlusconi e i loro fervorosi coristi conducono, come ognuno può costatare, una campagna elettorale in affanno e non priva di vistose svirgolate di stile, ma che vuole apparire razionale e ragionevole facendo appello a un voto utile alla governabilità responsabile e affidabile.
Voteremo tra pochi giorni secondo le regole di una legge elettorale che conosciamo e che i suddetti, per varie ragioni, hanno omesso di modificare durante la legislatura appena scorsa pur parlandone continuamente.
Dunque la questione appare cornuta o, se si preferisce, biforcuta.
Da un lato il porcellum, dall’altro come ottenere la conseguente utilità del voto. In realtà dovremmo dire che la questione è triforcuta perché c’è un ulteriore condizionamento esibito autorevolmente dai suddetti. È il risultato dei sondaggi fino a ieri l’altro sbandierati, come direbbe un romano un po’ burino, da tutti i pizzi e che vedrebbe salire minacciosamente e di volta in volta la rimonta, il calo, lo stallo, il grillismo e così via.
In realtà questa sorta di tridente intimidatorio non basta a esaurire le nostre preoccupazioni perché anche l’informazione mediatica gioca il suo ruolo.
Il campo dove si svolge la contesa è infatti, quasi esclusivamente, la televisione dove giornaliste e giornalisti sono interlocutori, conduttori o moderatori spronati da evidenti compulsioni ad apparire e fare audience tanto che spesso sembrano dare la precedenza a quella invece che allo stringere sull’analisi degli argomenti messi in campo della propaganda elettorale.
Al cittadino elettore-telespettatore, e non solo, infatti, appare chiaro che di questo si tratta: un susseguirsi di meri show di propaganda dispiegata a botte di slogan, effetti speciali e scontri ultra vivaci o grossolani e non di divulgazione e spiegazione ragionata sul confronto di programmi. Anche perché i programmi sono tutti genericamente simili e si potrebbe dire, parafrasando ed invertendo il solito Manzoni, che il romanzo che stiamo, ahimè forzatamente leggendo, abbia l’utile-voto per scopo, le balle per oggetto e la noia per mezzo. E potremmo facilmente dimostrarlo prendendo a prestito poche perle a caso da un lessico sempre assertivo e mai argomentativo dei leader: bersani “vi potete fidare solo di noi” ecc, monti “vi ho salvati dal baratro”, o berlusconi “aboliremo, restituiremo”.
Tutto tecnico insomma, tutto razionale, tutto esente da dimostrazioni logiche, tutto piattamente condizionato dall’imbarazzante tridente  porcellum-sondaggi-utilità mediaticamente espressi.
E così la passione civile va a farsi seppellire insieme alle idee, agli ideali, alle convinzioni, alla nostra tradizione culturale e, perché no, a quelle che ci presentano come obsolete cariatidi ideologiche: la destra e la sinistra.
Si vogliono disinnescare ed esorcizzare destra e sinistra che invece non sono finite e antistoriche, tanto è vero che la prima fa ancora oggi pesanti danni e compie violenze più o meno mistificate e la seconda esprime ancora un insieme di diritti fondamentali che danno fastidio ai signori del tridente.
La sinistra vuole esistere ed esprimersi anche con persone e soggetti politici impegnati a difendere principi base, come la distribuzione equa della ricchezza, la giustizia sociale, l’eguaglianza e il diritto reale al lavoro senza i quali proseguirà l’infame corsa alla svendita di persone, cultura e anima di questo paese.
Ecco perché trovo irritante ed offensivo l’invito al voto utile.
Il concetto di voto utile o di scelta tecnica sono una sorta di spot pubblicitario che impone, appunto, una scelta unica, o così o pomì, e vuole imporre di accettare ciò che è già stato pensato al posto nostro.
Molti di noi non riescono ad accettare un invito a far calcoli in base a sondaggi, peraltro autoreferenziali, la cui attendibilità è legata anche al momento in cui vengono effettuati e dai quali, per di più, risulta oltre un 40% di incerti o astenuti.
Il voto, invece, non è un tango figurato; è anche una scelta personale, una indicazione di pensiero, una possibilità di esprimere consenso (e allora che sia coerente almeno con la coscienza di chi lo esprime) o dissenso.
Di dissenso ce n’è tanto da esprimere anche perché in prima fila a resistere siamo in tanti, ma ancora avanti alla prima fila vi sono quelli che resistono alla disperazione, quelli che portano avanti la loro vita anche nel nome di chi se l’è tolta (e di cui ci si accorge solo per farne retorica da palco) proprio perché credevano nella dignità data da un lavoro negato dalla realtà ma garantito invano dalla disattesa Costituzione.
Non cediamo, perciò, ad una paura del disordine che deve intimorire solo chi lo causa. Se ci vogliono assoggettare o comprare rispondiamo chiedendo un progetto che restituisca i diritti costituzionali, la giustizia sociale e quella uguaglianza a cui sono evidentemente allergici. L’utilità può essere solo quella di una scelta coerente con un progetto di soluzione dei problemi e di risposta agli interessi del cittadino. E se per farlo capire dobbiamo votare formazioni diverse dai soliti noti lo faremo senza problemi e a testa alta. 

Nell’ultima ora dell’elettore sarà Scheda Bianca?

I sondaggi? saranno attendibili, ma poi ci sono anche le nostre percezioni…

(voto, non voto…)
 La scena è fosca
la stampa è muta
e la politica
a sua insaputa
mangia e sgavazza
in allegria
che ti succede
Italia mia?
All’orizzonte
si scruta invano
se c’è un votabile
o un italiano
che rappresenti
democrazia.
Che ti succede
Italia mia?
Berlusca torna
e Monti sale
pure la Lega
sta non c’è male
il Grillo strilla
promette guai
e in Lombardia?
non si sa mai.
Ma Ingroia s’infuria
Bersani manca…
e l’urna rischia
la scheda bianca

Bersani ad Agorà; le perle del mattino

Pierluigi appare, forse anche per il suo collaudato completo marrone, quello delle primarie, come uno stanco ospite alloggiato su una scomoda poltrona. Le domande a cui risponde sono sempre le solite, dunque noiose; e le sue risposte sono, forse anche per questo motivo, sempre più scontate. A latere non possiamo, infatti, non prender atto che i giornaliste e le giornaliste presenti in tivvù appaiono sempre più pensionanti, a quindicina, di un harem da cortometraggio piuttosto che gli arrembanti corsari dell’informazione di cui l’Italia avrebbe bisogno.
E non fa piacere dover ammettere che Pierluigi sorbisce le quiete domande, ma non appare all’altezza di questa pur mediocre campagna elettorale.
Ci si sente talmente a disagio da chiedersi se il PD non avrebbe fatto meglio, senza ascoltare l’enfant rottamatore de noantri Renzi, a riciclare la forse anziana ma energica Rosy, sanguigna e pia, ma almeno reattiva. Perché se questo passa il convento, almeno sia un convento accreditato…
Invece ci hanno proposto Pierluigi, talmente assorto nel suo meriggiare scialbo, da dimenticarsi di rispondere al cellulare ad Antonio Ingroia, l’uomo dalla faccia malinconica, che ha dichiarato, finalmente sorridendo di essere stato ignorato quando lo ha chiamato, reduce dal Guatemala.
La trasmissione scivola via inerte, invano il conduttore si agita come un mammifero da delfinario: nulla brilla, le perle bersaniane rotolano sul velluto acrilico, e si candidano ad un eventuale festival de la metafora nella lingua malcontenta:
  
“Quando governi son tutti figli tuoi”
“il sindacato è un pezzo di paesaggio”
“C’è un paese si chiama Italia”
“CGIL conservativa rispetto aspetti contrattuali”
“l’agenda è un’agenda, preferisco le lenzuolate”
“Il governo vuol bene a tutti, ma deve sapere dove vuole andare”
“sono di sinistra”
“le formazioni intermedie possono invilupparti”
“nel caso bisogna che parliamo con Monti”
“chi è che compra lo spartineve?”
 ( da “Piccola antologia  incommentabile”)