Il cittadino si aggira tra informazioni digitali o cartacee e coglie sempre più frequenti ed allarmati messaggi sul presente e sulla crisi globale.
È costretto a destreggiarsi, con mediocre fortuna, tra il bilancio personale e gli aumenti dei prezzi o, peggio, subisce il precariato e s’affanna a cercare un irraggiungibile lavoro. In altri casi soggiace a provvedimenti frustranti quali esodi forzati, cassa o meglio dir sarebbe scassa integrazione, mobilità, accorpamenti, riduzioni e tagli ed altre vessazioni.
Ma non cede, riordina i suoi pensieri tristi, scruta il presente cogliendovi tuttavia altri segnali premonitori di ulteriori restrizioni al suo magro tenore di vita.
Non basta: i media, cartacei o digitali, martellano che perfino le alte cariche, ma non solo loro, sono afflitte per i danni dell’antipolitica, per la crisi della politica e la politica in affanno ed ammoniscono sull’urgenza di rigenerare e di recuperare fiducia nella politica superando questa fase e via discorrendo. Politica, politica, politica.
Il problema dunque è serio, pensa il cittadino: ma cos’è questa fase di antipolitica?
Allora fruga nella memoria ed avverte che politica non gli suona parola mostruosa ed estranea: a scuola gli spiegavano che la politica è l’arte del governare e che simboli e rappresentanti ne erano le dignitose istituzioni imbandierate di tricolori come il parlamento, il governo eccetera.
E lui, ragazzino allora, tutto sommato ci aveva creduto; quel tricolore stava bene dov’era, era giusto che sventolasse sui pennoni più alti e lo rappresentasse insieme alle istituzioni.
Però.
Già però. Nel frattempo erano passati anni, forse troppi, nel corso dei quali la politica era rimasta concettualmente tale, ma quelli che si mettevano in politica o facevano politica non gli erano più sembrati persone con un messaggio che potesse interessarlo o coinvolgerlo; tantomeno dimostravano di avere a cuore i suoi interessi, il progresso sociale e il bene comune. Se ne ricordavano solo nelle promesse delle campagne elettorali. Invece non solo nei giornali di gossip, ma quotidianamente anche in autorevoli testate cartacee e televisive, c’erano le notizie che tutti sappiamo, e si moltiplicavano le parole che finivano in –opoli (da tangentopoli a … laure-opoli albanese più o meno).
Sugli scanni sedevano parrucchini e tinture, lifting e coscielunghe applicate anche a tablet e smartphone; le immagini di quelli che faceva politica erano di tizi intenti a pranzi o cene, o anche spalmati tra chiappe/tette-al-vento-in-barca, o alle prese con appartamenti regalati (a dritta come a manca) il tutto in un volteggiare di a-mia-insaputopoli.
Con costoro, il cittadino poteva solo prender atto di non aver nulla a che vedere.
Cos’era dunque diventata la politica ? Finiti i tempi pensosi era diventata una galassia con un lato in ombra, dove si contavano e distribuivano denari&poteri, e un lato alla luce degli studi televisivi dove si sciorinavano l’ultima pashmina o l’ultima cravatta mentre si chiedevano, anche sussiegosamente, sacrifici al paese proclamandosi onesti.
Era stato dunque a queste evidenze che il comune cittadino aveva deciso che quella politica non era più roba per lui, che quell’apparato non era degno di passioni o partecipazione e che, se non lo capiva, più di qualche dignitoso e anziano signore forse aveva perso il filo del discorso.
E infatti la politica, da un pezzo a questa parte, non appare più come l’arte del governare per mezzo di dignitose istituzioni imbandierate di tricolori, ma come l’arte di accumulare in-saputamente fastosi finanziamenti non disdegnabili neanche da un eventuale emiro di paesi petroliferi.
E non può chiamarsi politica quella che taglia e toglie ai cittadini mantenendo i propri privilegi e super-finanziamenti e moltiplicando i seggi del suo potere.
Queste prassi, ahimè consuete nel paese di insaputopoli e finanziopoli , si chiamano arroganza e corruttopoli e basta. Per queste buone ragioni il cittadino normale non si riconosce più e non potrebbe mai riconoscersi in un sistema-apparato che gli taglia la vita e il lavoro riducendolo a dover scegliere tra pagare la bolletta della luce o le cure mediche.
E poichè l’elenco dei ladri quotidiani si allunga, allora la patetica ricerca di una rigenerazione o di recupero di fiducia in questa politica sono addirittura controproducenti.
Non siamo noi cittadini delusi e ormai diffidenti, care istituzioni, l’antipolitica; e personalmente posso anche aggiungere che un Grillo non è il mio candidato possibile.
Ma è anche vero che troppi di quelli che hanno creato l’antipolitica e siedono ancor oggi e senza vergogna in Parlamento, nelle istituzioni, negli scranni del potere contro di noi e non per noi.
Viva invece la politica perché, se la usassimo bene, sarebbe l’unica leva che li scalzerebbe salvando noi e facendo cadere “loro” molto, ma molto in basso.