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La #rete oggi è una giungla

ragnatelaLa #rete, e non penso solo ai social, ci aveva dato possibilità nuove per comunicare. Per un certo tempo abbiamo pensato in molti che fare rete fosse un’opportunità positiva per intrecciare non solo idee e opinioni, ma anche proposte costruttive. E molti di noi si sono sentiti agili ragni architetti che contribuivano ad estendere la costruzione. Era anche, mi azzardo a dire, una forma di felicità speranzosa. In questa fase la rete e le frasi scritte sui social erano state tuttavia considerate con snobismo e distacco sia dai media tradizionali sia dagli addetti alle comunicazioni politiche e istituzionali. Insomma noi blogger e scrivani di social eravamo le cenerentole che sbirciavano nel mondo della comunicazione, ma non ne facevano parte e potevano solo immaginare, ma spesso non lo desideravamo, l’ingresso al gran ballo a corte a cui le sorelle grandi erano invitate.
Invece poi proprio loro, le Anastasie e Genoveffe, sorellone-sorellastre, precedentemente impegnate a sbatterci sul naso casato e ruolo, e che si erano prima prima infastidite, poi si sono incuriosite ed infine hanno messo il piedone pesante in un mondo che sono andate ad occupare da padrone, mentre prima ci era apparso libero e tonico.
Se prima noi cenerentole ci aggiravamo e sbattendo, un po’ incredule, gli occhi in una rete, lieve e senza presunzione, libera e a volte impertinente o ironica,  esente da sussiego e timori reverenziali, adesso ci sentiamo, in un certo senso, spiate e osservate, scalzate dai nostri fili prima ondeggianti e veloci.
La rete e i social sono oggi invasi dai profili dei cosiddetti vip di ogni categoria, di ministri che sembra non abbiano più né un ufficio stampa né una segreteria, di premier che tengono le relazioni internazionali e nazionali twittando o scrivendo su fB.
E la nostra rete? E il nostro, il mio spazio?
Finito. Niente di nostro e tanto meno di mio. Ogni nostra parola può essere sospettosamente vagliata e confrontata, da nugoli di ottusi Pierini zelanti, con quelle di numerosi grandi fratelli; ogni nostra immagine usata, ogni nostro pensiero giudicato e, perché no, anche scopiazzato.
Recentemente siamo all’invasione di vigili ranger da tastiera che perlustrano i nostri spazi e, dove occorrono, lanciano esche di troll pronti a inquinare una vivace o pacata discussione con provocazioni rissose e aggressive.
Era bella la rete in cui ci sentivamo fauna libera in progressiva esplorazione.
Era interessante la rete che appariva, per quanto mi riguarda, come una dinamica strada, pur non scevra da qualche possibile fastidio, ed incuriosiva per i suoi infiniti crocevia e opportunità di incontri e dialoghi;  era una piazza da teatro, ma poteva essere anche un luogo di nascondigli e binocoli non troppo maliziosi.
In questi mesi, invece, mi sembra assomigliare di più a una giungla faticosa e vischiosa; me ne infastidiscono non soltanto le Anastasie e le Genoveffe che calpestano coi turpi piedoni le piccole fioriture spontanee e democratiche di teste pensanti e nemmeno quella sorte di piante carnivore che ingurgitano e malamente digeriscono parole e sangue altrui. No, questi sono i rischi di ogni gioco. Quello che spiace di più è la persecuzione, anche istituzionale, contro le voci libere che non si esita a definire in molti modi e di cui ci si vuole sbarazzare come fossero vecchi elefanti morenti e contro quali si lanciano ranger infidi e prezzolati.
Ma si sa, ogni duca Valentino ha il suo sicario Micheletto; sicario digitale s’intende.
E se la rete da luminosa altalena di ragni diventa, come pare, un groviglio di pugnali sarà meglio saperlo.

Foto_vedere: giocando con la corrente di Mariaserena Peterlin

Guardare attraverso una fotocamera (e un grosso cavo elettrico)

se vuoi leggi il testo in 

NOTECELLULARI – ottovolante: Foto-vedere giocando con la corrente

Il Veneto distingue: Non siamo napoletani

La notizia: "Confturismo Veneto ha progettato una campagna pubblicitaria sui maggiori giornali tedeschi per dire che in Veneto la spazzatura non inonda le strade e che Venezia, Verona e le altre città della regione non sono Napoli."
La risposta di MARIASERENA (diversamente Napoletana) mariaser1 news 07
 
Signori del Veneto, ma come vi permettete?
Sono figlia di veneti, nipote e pronipote di veneti, io. E il mio bisnonno paterno (peterlin…) aveva ricostruito le diramazioni della famiglia individuandone tracce fino in Dalmazia. Roba da contaminazioni veneziane, ungheresi, asburgiche, turche perfino: niente a che fare coi napoletani e Napoli.
Però il mio ricordo infantile più bello e lontano è quello del cielo di Napoli.
Arrivai a Napoli nel 1948 e avevo un anno; ma ricordo bene sensazioni e impressioni visive e non solo. Ricordo che arrivammo di notte, scesi dal treno in braccio al mio papà, ricordo l’aria tiepida e un grande cielo sereno, un blu che ora definirei blu oriente (non so perché); ricordo che su quel cielo si stagliavano grandi foglie di palme, ricordo la dolcezza e il senso di irragionevole sicurezza che quell’aria serena e le braccia di mio padre mi trasmettevano.  piccola_infanziaCuriosamente noi, gente del nord, andavamo a Sud per lavoro. Poi ricordo un palazzo altissimo (per me) e assolato, e che dalle finestre vedevamo arrivare mia zia Gina coi cuginetti Piero e Bruno: le voci gridate da sotto (si usava così, non c’era rumore di traffico che coprisse le voci). Scendevo con mamma e mia sorella. E si andava alla villa Floridiana che per tutta la vita (siamo rimasti a Napoli solo pochi anni) mia madre ha evocato e raccontato.
A casa mia ho sempre sentito parlare di Napoli: il Vesuvio che fumava ancora, la funicolare, la mozzarella di Giovannino, il pesce fresco, le voci e i modi di dire che mi ripetevano divertiti i miei. Hanno sempre parlato di Napoli con un po’ di nostalgia: loro avevano 27 e 28 anni, papà scampato alla campagna di Russia, mamma una ragazza con tanti sogni in testa, ma che era sposata e messa a casa perché si usava così: per loro Napoli era ricominciare a vivere, a costruire a crescere anche.
Ricordo un’altra cosa: la ribellione indignata di mia mamma quando qualcuno divulgava la nomea del napoletano approfittatore, furbo, ladro.
Quando sentiva queste cose raccontava sempre questo episodio: era andata a fare la spesa: due bambine, carrozzine, la borsa, i pesi e… aveva perso il portafoglio. (Nel dopoguerra nessuno aveva il conto corrente, il bancomat e simili agiatezze; perdere il portafoglio era tragedia).
Il fruttivendolo l’ha raccolto e glielo ha riportato a casa:  affannato e preoccupato della sua possibile disperazione. Mamma non si era nemmeno ancora accorta di averlo smarrito e già lui (che l’aveva inseguita di corsa) la raggiungeva a casa: “Non vi preoccupate signora, ecco qua”.
Se mi metto a pensare, o se oggi andando a trovarla le chiedo di raccontarmi altri ricordi, sono sicura che darei vita a un fiume dolce e inarrestabile di parole ormai un po’ meno vivaci, ma vive.
Per cui io, Mariaserena: figlia, discendente di veneti, ma cooptata in un allegro e affettuoso rapporto con Napoli mi dichiaro indignata, offesa  e addolorata nei confronti della idiota campagna pubblicitaria della regione Veneto. peterlin domenicoQuesto quadro, dipinto dal mio antenato Domenico Peterlin esaltava il risorgimento e i suoi valori; possiamo giustamente ridiscutere tutto.
Però chiedo ai signori della regione Veneto, tanto preoccupati di essere abbastanza distanti da Napoli: "Ma come vi permettete signori miei? Altra figuraccia, stupidità e violenza verbale."
 
MARIASERENA (diversamente NAPOLETANA)