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Ascoltare una storia, ascoltare la Storia

Luglio 1942, Campagna di Russia. Ragazzi ventenni in tradotta; venti giorni di viaggio verso il fronte russo. Papà è il secondo da sinistra, in piedi accanto alla tradotta.

Può accadere che siano le cose a parlarci: ad esempio riordini un cassetto e trovi non solo le vecchie foto (che sono sempre chiacchierone) ma anche uno scontrino, dei fogli, una antica relazione sul programma svolto durante l’anno scolastico, o il quaderno di scuola di un figlio.

Io ho trovato un foglio che riguarda il mio papà; questo foglio dice tanto. È intestato:

DISTRETTO MILITARE DI VICENZA

Ufficio Reclutamento e Matricola

La data è 29/11/77.

Nel ’77 papà aveva già 58 anni; la comunicazione gli chiede (trascrivo) “con cortese urgenza” di “compilare una dettagliata relazione relativa al servizio militare da Lei prestato dal 1941 (Chiamata alle armi) al luglio 1942 (partenza per la Russia)”. Gli chiedono anche di allegare “documenti probatori” di quanto lui deve dichiarare nella relazione.

Ricordo molto bene che a papà quella richiesta non fece piacere, così come non gli è mai piaciuto parlare del tempo della guerra.

A distanza di tanto tempo, e adesso che lui se ne è andato, non posso non lasciar parlare quelle date ed ascoltarle.

1941: chiamata alle armi. E lui aveva solo 22 anni

1342: partenza per la Russia. E ne aveva 23

Come non ascoltare il confronto tra un ventiduenne d’oggi e lui?

Tra quelle carte c’è anche la sua fedele e irreprensibile relazione, con tutte le date, i luoghi, i trasferimenti specificati uno per uno.

Ad esempio una nota dice tanto:

“Partito da Verona in tradotta coi complementi C.S.I.R. per la Russia 8 luglio 1942”. Giunto in zona si operazioni (fronte Russo) il 28 luglio 1942.”

Venti giorni di viaggio in tradotta.

 E in fondo al foglio un’altra nota conclusiva.

Non ho documenti da allegare in quanto tutto mi è stato sottratto il giorno 8 settembre 1943”.

Tutto. Le carte parlano.

Forse siamo noi che dovremmo parlare un po’ meno.

Narrare per vivere – Diario in meno di 100 parole – n.5

simbolo

Una rosa è una rosa, le parole sono rose.

A volte stanchezza, fatica quotidiana, pressione degli avvenimenti, delle persone, dell’imprevisto prevalgono. Allora le palpebre si chiudono, il sonno incombe.

Rispondi a quel richiamo ma il sonno dilegua: inizia una notte estranea che cerca riposo ma trova pensieri insostenibili. Proprio allora può aprirsi una via di fuga: le parole. Parole da scegliere, riallineare, stendere, accostare per creare rappresentazioni di significati, per ricostruire immagini e soluzioni, per lasciare che il vento della fiducia allarghi di nuovo le tue vele. Sono parole per parlare. Narrando a se stessi. Ascoltati.

La notte, la pioggia, la vita, il tempo della semina – di Mariaserena Peterlin

Ci svegliamo di notte, anche in questa notte appena trascorsa e che ora cede alle nuvole di un grigio più chiaro del mattino, e sentiamo piovere. Passano attraverso le finestre chiuse i barbagli dei lampi che annunciano scrosci più forti. Alla mia mamma piaceva tanto sentire la pioggia battere sul tetto mentre riposava, e mi ha trasmesso questa sensazione di nido, di protezione, di attesa senza tempo e senza fretta.
Forse in molti abbiamo perso il senso dell’attesa: la pioggia ne è un simbolo.
Sospendiamo tutto: piove. Fermati, piove. Non uscire, aspetta che smetta di piovere. Ma non è solo questo. La pioggia feconda la terra ed è un rito dei lavori dei campi. Nonostante le tecniche moderne la pioggia è ancora fondamentale. La pioggia fa germogliare i semi, dunque la sua acqua può essere vita. La sua acqua non chiede nulla, solo di scorrere naturalmente e senza incontrare opere dissennate che la trasformano in fango rovinoso.
Ma ora mi piace pensare al rito, a quello eterno della terra lavorata, che accoglie i semi e dopo, appunto, attende. La vita rinasce ogni volta che il seme, ed in particolare il seme del grano, sacro all’uomo e a Dio, germoglia di nuovo nel silenzio del grembo oscuro e mite della madre terra.
 
LA NOTTE (Giovanni Pascoli, Primi Poemetti) 

Ipioggia 047 
Nella notte scrosciò, venne dirotta
la pioggia, a striscie stridule infinite;
e il tuono rotolò da grotta a grotta.
Egli, il capoccio, avvolto nel suo mite
tacito sonno, non udiva. Udiva
nascere l'erba. Vide le pipite
verdi. Il grano sfronzò, quindi accestiva.
Nevicava, in suo sogno, a fiocco a fiocco:
candido il monte, candida la riva.
No: quel bianco era fiori d'albicocco
e di susino, e l'ape uscìa dal bugno
ronzando, e il grano già facea lo stocco:
Anzi graniva; ch'era già di giugno.
La cicala friniva su gli ornelli.
Egli l'udiva, con la falce in pugno.
L'acqua veniva stridula a ruscelli.

Tra cielo e mare

Brume nel cielo di pagine bianche    TINTE DEL MARE
calcano grigie orme di pensiero
e se quest’aria accogliesse una vela,
tra cielo e mare, non sarebbe mistero
 
Invece scivola lento nell’acqua
il flusso opaco d’un moto nascosto,
vita e non vita di regni, o risacca:
creature inerti od un granchio scomposto.
 
Sale e ritorna, la luna lo chiama,
il mare e lascia detriti e conchiglie;
scende e risale nel tempo la vita
gira la carta, la storia è infinita.
 
Storia di storie, dettagli e bisbigli
trovi te stesso, anche senza consigli.