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Scuola e Famiglia: meno arroccamenti e più bene comune

Non so se dipenda dal fatto che mi imbatto sempre su dialoghi intorno alla scuola, ai bambini, e ai ragazzi ma mi sembra che meno ci si occupa di loro affettivamente e meno tempo si dedica a star loro accanto e più ci si arrampica a classificarli e a cercare schemi in cui situarli.
Non so se scandalizzo qualcuno, ma forse sarebbe preferibile non occuparsi così tanto di dare definizioni o di cercare analisi generali e di tornare invece ad essere semplicemente persone umane che stanno accanto a cuccioli umani e trasmettono la loro esperienza narrando e mettendosi in gioco.
Se sbagliamo da umani facciamo errori umani, se sbagliamo da esperti o presunti tali temo che si facciano errori sperimentali e danni proporzionati alla nostra presunzione: insomma un pericoloso salto nel buio.
Io tornerei al buon senso e penso che dobbiamo restituire a ciascuno il suo proprio ruolo.
Una famiglia attualmente può essere definita come una entità complicata, ma se quella tradizionale, o esaltata da un’agiografia non sempre attendibile, non esiste quasi più il conto non sia presentato ai piccoli.
I ragazzi preferirebbero sempre avere alle spalle una struttura famigliare dove i rapporti sono stabili e definiti; ma siccome spesso non è così gli adulti che si occupano sanno, o devono sapere, di avere comunque la responsabilità di dare vita ad un luogo di affetti, di protezione e di guida che trasmetta sicurezza.
E’ importante che un bambino o un ragazzo sentano attorno a sé questo confine protettivo, percepiscano messaggi chiari, avvertano che il dialogo con l’adulto è trasmissione di valori di riferimento e di esperienze.
Man mano cresceranno quel confine diventerà un muretto da scavalcare, un recinto da varcare; ma porteranno con sé un bagaglio necessario ed essenziale ad orientarsi all’esterno.
Proteggere i figli significa far sentire che abbiamo affetto da dare senza condizioni, parole da dire senza stancarci e una pazienza infinita nell’ascolto, significa essere disposti a rispettare i loro tempi e chiedere che loro siano rispettosi dei nostri. Significa creare un senso di appartenenza che dia al piccolo il coraggio e l’equilibrio per confrontarsi con l’esterno. Se questo accade il bambino probabilmente non aspetterà la prima occasione per cercare un’altra tribù a cui associarsi, ma saprà sempre dove è il suo porto. E se, come giustamente deve avvenire, lascerà il recinto o il porto per inoltrarsi verso le sue esperienze non si lascerà alle spalle risentimento, senso di rivalsa, desiderio di dimenticare e frustrazioni; ma una sapienza su cui costruire il nuovo, ossia il suo futuro.
Parlare di famiglia, oggi, è quasi una sfida. Ma anche i coniugi separati, o i genitori che si trovassero nella condizione di single possono essere famiglia e spesso lo sono quando non cercano di scaricare reciproche responsabilità.
Anche la scuola è una realtà educativa e formativa fondamentale a patto, però, che non svolga ed esaurisca il suo compito con lo svolgimento del programma delle singole materie e tanto  meno se quel programma diventa una misura dei risultati del bambino o del ragazzo e  il programma diventa un letto di Procuste.
La scuola riceve ed accoglie una realtà giovanile su cui deve investire la sua missione; i nostri giovani a scuola si relazionano tra loro. In quel contesto le famiglie smettono (devono smettere!) di svolgere il ruolo-guida prevalente, che era loro prerogativa nell’ambiente casa&affetti, a scuola l’ago della bilancia diventano gli insegnanti.
Quello che succede nell’ambiente scolastico deve essere osservato dai docenti-educatori con cura e a lungo; il benessere dei bambini e dei ragazzi, il fatto che riescano a intrattenere relazioni amichevoli e costruttive è responsabilità degli insegnanti. I genitori devo fare molta attenzione ad intervenire in questo processo in cui i giovanissimi stanno già diventando cittadini che rispondono ad una autorità “altra” rispetto a quella famigliare.
I genitori quando hanno legittime perplessità o valutazioni negative, o frustrazioni, o addirittura incontrano  difficoltà a relazionarsi con la scuola dovrebbero poter usufruire di strumenti che non invadano il campo dei rapporti tra ragazzi o tra ragazzi e scuola; un rischio non raro, ma da evitare, è anche quello che una famiglia esprima giudizi sulle famiglie altrui. Ma questi strumenti esistono?

La scuola, dal canto suo, deve evitare di valutare i ragazzi usando notizie che riguardano le famiglie, la loro cultura e le situazioni di cui venissero a conoscenza; questa prassi nella vecchia scuola era quasi usuale.
Insomma ad ognuno il suo ruolo, ma i ruoli hanno bisogno di comunicare per evitare le triangolazioni, le chiacchiere da cortile scolastico, gli schematismi, le alleanze.
Evitiamo tutto ciò che trasformerebbe inevitabilmente il gruppo in branco e il singolo in capro espiatorio.

Evitiamo gli arroccamenti sulle sue posizioni da cui poi si alzano steccati.
Uno steccato può anche essere virtuoso: alla condizione che al suo interno si coltivino valori e la trasmissione della convinzione della necessità di operare per il bene comune.
Altrimenti si alzano dannose barriere di diffidenza e bisogna fare molta ma molta attenzione perché un errore educativo può essere fatto anche solo da un gesto, da una frase, da una frustrazione o malumore personale che scarichiamo su un bambino o ragazzino che non può difendersi, ma immagazzina qualcosa di negativo che prima o poi germoglierà e si ritorcerà contro. Contro chi? Non è difficile rispondere: sia contro altri, sia contro chi lo ha provocato, sia contro se stesso.
Forse non sono ottimista, ma questi schemi io li vedo, e  mi sembra ci intristiscano tutti.

Se non ora, quando? – Questa è la mia contestazione di Mariaserena Peterlin

Ho letto e firmato per questa manifestazione perché sentivo che era giusto unire un segnale a tanti altri.
Ho subito però detto, in bacheca al gruppo promotore su faceBook, che il titolo era inopportuno.
 Scrivo questa riflessione solitaria per contestare con nettezza e decisione contro questo scippo che si è fatto del titolo di un grande libro di un Autore a cui dobbiamo tantissimo come donne, uomini, persone appartenenti all'unica razza: quella umana.
Non scriverò nulla su Primo Levi, perché tutti ma proprio tutti dovremmo aver già letto e pianto sui suoi libri e sulla sua grande testimonianza riguardante la Shoah, i campi di sterminio e una delle più turpi, abbiette e disperanti vergogne dell'umanità ossia le leggi razziali. Non farò tuttavia ulteriori polemiche con chi lo ha scelto e lo sbandiera su un drappo rosaceo. 
Però dico la mia: è' vero che si è a corto di idee, è vero che si legge superficialmente e si acchiappa la prima cosa che vien in mente. Ma strumentalizzare il titolo di un Autore che dovremmo tenere caro e sacro è inaccettabile. Paragonare questi anni di melma quotidiana, acquiescentemente subiti e accettati anche con il voto, alla immane funesta epoca del nazifascismo è altrettanto inaccettabile. A ciascuno il suo.
 Per questo io mi ribello ed affermo che è troppo facile protestare senza idee nuove. L'evidenza è sotto gli occhi di tutti, altrettanto evidente dovrebbe essere che non con questi strumenti si combatte un omino di burro che trasforma in somari chi lo segue in tanti modi, anche rifiutando di cambiare stile di vita.
 
Restituiamo al grande Primo Levi la sua opera.
E si combatta la melma con l'acqua pulita delle buone idee.
Altrimenti ci rimane solo la vergogna.
 
Il mio dissentire, lo ribadisco, riguardava dunque il titolo e tale posizione mantengo; oggi, dopo aver visto le immagini della manifestazione,riconosco il dovuto rispetto per i/le manifestanti ma, nello stesso tempo, affermo la mia convinzione che si sia svolta in bilico tra la buona causa e lo strumento inadeguato.
La mia modesta opinione, che propongo "senza rete" nè retoriche ed infischiandomene assai del politicamente corretto  è che queste strategie preparano, e forse, un avvicendamento e non lasciano intravedere, per lo meno non ancora e non di sicuro un cambiamento reale che migliori la nostra vita e quella dei nostri figli e nipoti.
Non che sia facile realizzarlo; si tratta, ad esempio, di ridiscutere prima di tutto i nostri stili di vita e le nostre modalità di relazione, di reinventare gli argomenti e lo stile della comunicazione e di riflettere alla ricerca di nuove soluzioni.  Se si cade nella logica (bella/disponibile – vecchio/viagroso – incarichi/lupanare) ci si spuntano immediatamente le armi della logica e della ragione (ripeto, sto proponendo un'opinione e non un proclama).
Se invece riflettiamo sulla situazione "altra", ossia la nostra, se analizziamo quello che non funziona nel mondo del lavoro, nel sociale, nei servizi, nella ricerca e nella scuola, nei diritti civili e umani, nella realizzazione di una vera società di liberi ed uguali, nelle aspettative tradite e deluse di chi ha studiato vent'anni per avere in mano meno di un pugno di mosche allora ci accorgeremmo che non abbiamo nemmeno più tempo per seguire i talk show o i "programmi di approfondimento" e che dobbiamo iniziare ad incontrarci tra persone che vogliono costruire qualcosa di nuovo e soprattutto cercare un PENSIERO NUOVO.
Oggi leggo sui giornali frasi che dimostrano come i giornalisti non abbiano capito quello che succede; e non comprendono perché non possono: un titolo dice: "che belle facce, come sull'autobus e sulla metropolitana" … Devo commentare?
Beh… chi scrive queste cose non sale da mai sull'autobus nè sulla metro, e le facce della gente che lavora, magari su turni non le conosce, ma va in taxi spesato.
E questo è un ulteriore segnale che la distanza aumenta, che non siamo una società di uguali. Mi dispiace ma l'evidenza è questa.