Ora i media dicono che chi è sconfitto non aveva saputo parlare a una parte del paese; altri dicono che l’establishment era intervenuto invano e non ha saputo convincere, altri alncora che montano estremismi storici e populismo dejà vu. D’altronde quando, in passato, un altro miliardario sconfisse la sinistra si disse che era merito delle sue tante ricchezze e televisioni e colpa dell’inadeguatezza di altre reti e vecchie concezioni e vecchi politici che non avevano saputo essere rassicuranti, affabulanti, affascinanti, efficaci, quando non addirittura glamour nel comunicare.
E allora giù a imitare il vincitore di turno.
E difatti tutta la comunicazione, compresa quella politica è ben presto passata dal dignitoso, anche se sussiegoso, spazio dedicato, a quello del format dello spettacolo, dello spot, dell’immagine ammiccante, della canizza berciante ed ha contribuito a degradare ruolo e immagine della politica medesima a vantaggio della superficialità lasciando inoltre credere che chiunque potesse rivestire il ruolo di commentatore, di opinionista, di esperto di questioni complesse trasformate in semplicistica materia da bar sport o da fila allo sportello.
Si è fatto credere che tutto potesse essere semplificato e banalizzato epperciò poi gridato ad alta voce quando non urlato come un coro da curva.
Ma man mano che la politica diventava grossolano spettacolo, le questioni sociali passavano in secondo o terzo piano, abbandonate a materia per uccellacci del malaugurio, mentre la disuguaglianza negli ex diritti, la marginalizzazione dei bisogni primari o l’esclusione si facevano normalità. Nel contempo ci si affaccendava a sbriciolare rapporti sociali e a rendere avversarie le generazioni: figli contro padri e nipoti contro tutti.
A molti di noi, ma non lo diceva nessuno, diventava via via sempre più insopportabile sia l’imposizione di un modello di società nella quale gli spazi per crescere e migliorare diventavano sempre più stretti ed escludenti, sia la mancanza di prospettiva per il futuro per le generazioni nuove e non solo. Abbiamo visto imporre una presunta meritocrazia laddove, invece, continuavano a prosperare malaffare e percorsi privilegiati tanto per citare solo gli esempi evidenti.
E in politica? Elementare: ci hanno prima esortato a votare turandoci il naso, poi hanno lanciato i media sempre più accalorati e concitati alla generalizzazione. Tanto sono tutti uguali, tutti sospetti, tutti complici, tutti rubano, tutti sotto avviso di garanzia; il che ha autorizzato il sistema, questa volta, a riaprirci il naso per piazzarci sotto liste precotte e preconfezionate sulle quali si poteva solo mettere una crocetta menopeggista o tantopeggista; a piacere, tanto sennò che fai? voti populista? voti destra? voti qualunquista? Eh no, mica siamo tutti babbioni; abbiamo perfino la possibilità di spararle dal profondo postando su fb, su twitter o qualsivoglia chat.
E allora i cosiddetti populismi, se proprio vogliamo chiamarli tali, si sono organizzati, e, la storia è nota, hanno raccolto le ragioni di tanta frustrazione e scontento che più nessun maquillage poteva mimetizzare; populismi che danno eco o voce, ma ancora non sappiamo se daranno soluzioni o, peggio, se sono così nudi e puri come ce la raccontano.
Ci hanno detto che questa era l’antipolitica. Ma come si fa a parlare con disprezzo e a classificare altri come antipolitica quando era stata proprio quella degenerata politica medesima a rinnegare se stessa e la sua missione disertando le aule del parlamento, immischiandosi o contaminandosi col malaffare, dimenticando i diritti degli elettori e comparendo, sempre più cafona, ignorante ma imbellettatata, h 24, in televisione, in radio, sui social?
Ci sono in giro tentativi di salvezza; qualcuno tenta di far funzionare una ciambella di salvataggio andando a lavorare a l’estero o, se può permetterselo, facendo studiare i figli in ambienti formativi costosi, esclusivi e selezionati, sperando o illudendosi di dar loro una possibilità, ma sappiamo bene che la povertà inesorabilmente cresce, e probabilmente attanaglierà anche per loro.
Ma ci sono quelli che ciambelle non ne hanno e allora anche se alcuni di loro hanno storto il naso, sono stati molti di più quelli hanno cominciato a pensare che, se non ci si voleva definitivamente astenere delegando ai peggiori mai visti, non rimaneva che una possibilità: il voto contro. Comunque contro.
Inevitabile, a questo punto, constatare che il disagio non è solo nostro, ma è il globale risultato di una globalizzazione liberista ragion per cui, ad esempio, potremmo dire che il famigerato e recente #voto contro non è stato causato soltanto da errori della comunicazione politica o mediatica, e nemmeno dalla nausea verso il cosiddetto establishment autoreferenziale, ma principalmente determinato da ingiustizie, disuguaglianze e frustrazioni imposte dal liberismo contro i nostri figli, contro noi. E noi siamo contro loro.
Se non piace pazienza, se non fa fico amen; ma loro non si votano più.
Nè in Italia nè altrove; e se quelli-della-politica hanno un minimo residuo di rispetto verso le ragioni vere della politica si dovrebbero dare una regolata e non continuare a lucidare gli stivaloni del liberismo sicuri di goderne, almeno, il riflesso.
Mariaserena