Archivi categoria: diritto alla vita

Essere seminatori di giustizia

Il seminatore – Vincent van Gogh

A chi ci esorta a muoverci, ad impegnarci, a svegliarci e mobilitarci “per venirne fuori, per una mobilitazione vera di tutto il paese, una presa di coscienza personale e sociale” (F.Centofanti) si risponde sovente dubitando che gli italiani siano in grado di farlo tutti d’accordo oppure che  la coscienza è compromessa, offuscata e soffocata, che non tutti sono giusti e che prevale la coscienza degli ingiusti narcotizzata dall’egoismo e dai discorsi di convenienza.
Purtroppo i dubbi sono legittimi.
Sappiamo tuttavia la quantità dei giusti non è determinante, sappiamo che il lievito che si mette nella farina è una piccola quantità e sappiamo che un granello di senape diventa un albero altissimo. Insomma sappiamo anche che la massa spesso delira innamorandosi, incosciente ma consenziente, di un dittatore (anche il più bieco), sappiamo che il grido di condanna si leva dalla folla. Perché dunque pensiamo sia indispensabile essere tutti o tantissimi? Sappiamo anche che la luce, pure la piccola luce di una fiaccola, si deve collocare in evidenza e non in un luogo nascosto. Insomma uno prova e inizia, due o più si impegnano insieme, e poi si semina: il raccolto arriverà.
Già, se solo avessimo fede.
Ma possibile che si sia diventati tutti diventati conservatori, pessimisti, conformisti? Che auto-tradimento è questo?

Soffione (taraxacum officinale)

Un soffione, in pompa magna
tutto aperto, esposto al vento.
sia in città come in campagna
spesso prende il sopravvento -

Pensiero forte VS poteri forti

Con le mani

Appartengo a una generazione, che non ha avuto paura dei temi forti anche se, probabilmente, non li abbiamo affrontati come si deve.
Oggi no, non c’è nulla di forte; oggi tutto è mediato, stemperato, politicamente corretto e acquiescente a questa mediocre realtà che ci viene ammannita come “dura ma necessaria”.
Ma non riusciranno a farmi pensare che il duro e necessario sia anche utile.
Utile è ciò che cresce progettando, non ciò che spegne altri arricchendo se stesso.
E loro arricchiscono.
É dunque loro la vittoria?
Solo se l’accettiamo. Ma possiamo non accettarla e pensare diversamente e vivere diversamente per trovare il tempo per leggere, scrivere e continuare a pensare che c’è un altro futuro possibile, senza di loro.
Come? Anche dicendo no, anche rifiutando di tapparsi il naso.
E’ stato allora, quando ci siamo, per la prima volta, tappati il naso, abbiamo chiuso anche gli occhi e le orecchie ed abbiamo rinunciato all’etica, alla solidarietà e messo il cervello nel Domopak, in frigo depositando un voto, estorto dal compromesso, nell’urna
E’ proprio da quando ci siamo accontentati del meno peggio che il pessimo maleodorante e la volgarità furba ma ignorante hanno cominciato a impacchettarci e a metterci sottovuoto.
No, ripeto, non riusciranno a farmi pensare che sia duro ma necessario ed utile rinunciare alla dignità del lavoro, alla giustizia sociale, all’uguaglianza, ai diritti fondamentali che ci erano stati garantiti perchè conquistati dai nostri padri.

L’incubo deve finire.
Dovessimo pure ricucirle, le nostre bandiere devono tornare al loro posto.

Perchè DIFENDO LA VITA – di Mariaserena Peterlin

 

disegno mari b 0064

Perché difendo la vita?
Si attraversano fasi della vita, o anche solo attimi, in cui ci si rende conto che la nostra presunzione di conoscenza, la nostra propensione a sentenziare sono davvero fuori luogo e che sarebbe importante risalire all’essenziale, a ciò che è davvero indispensabile, a quello che conta e che ci accomuna.
A me è recentemente accaduto di cogliere queste sensazioni, in un attimo, e mi è di nuovo accaduto riflettendo su una lunga fase di vita
In un attimo ho assistito ad una scena   che mi ha violentemente colpito: una giovane mamma, accompagnata da tre bambini, si trovava in fila alla cassa di un supermercato. Tre bambini: due maschi uno piccolo infilato nel carrello della spesa, uno di 8-9 anni e una bambina che avrà avuto cinque-sei anni: bellissima, bionda e con i capelli raccolti in una lunga coda di cavallo. La mia attenzione di un attimo si è fermata sul gesto della mamma che, innervosita da qualcosa che la bimba aveva fatto, l’ha strattonata brutalmente afferrandola per la coda di cavallo. La testa della bambina si è piegata violentemente all’indietro, gli occhi si sono riempiti di lacrime ma la bimba non ha gridato né pianto, né ha reagito. Ha chinato la testa. Contemporaneamente il ragazzino grande, indisturbato, simulava di prendere a cazzotti il piccolino nel carrello, e qualche botta arrivava, ma anche il piccolino rimaneva muto, immobile e chinava la testa senza reagire. Mi sono sentita male; e, come se una lastra di pietra mi avesse colpito improvvisamente nel cuore, non sono riuscita nemmeno, per molti giorni, a raccontare quello che avevo visto. La “mamma” subito dopo la violenza inflitta alla piccola si è messa a cercare solidarietà (e non le è mancata) da una vecchia signora in fila accanto a lei lamentando : “non hai un momento di pace, tutto il giorno così”; e la vecchia, odiosa, ha rincalzato: “Solo chi non lo prova non lo capisce”. Io invece penso di aver capito: entrambe odiavano la vita.
Proprio qualche giorno dopo questo episodio è accaduto che mio padre, molto anziano e sofferente da anni ma dalla famiglia amato e seguito, è stato accompagnato al pronto soccorso per un malore che, anche al medico curante, è apparso subito gravissimo. Al pronto soccorso: ore di attesa, esami sommari (il cui esito risulta dal referto anche contraddittorio) e l’intimazione di portarlo a casa: “Lei si vuole liberare di suo padre” è stata l’accusa del medico a chi si è completamente dedicato per anni e anni alla cura dei genitori. Mio padre è tornato a casa in gravi condizioni, respirando a fatica, impossibilitato a qualsiasi movimento; ma chiudo qui la descrizione penosa. Dopo pochissimi giorni, ricoverato nuovamente d’urgenza, è morto. No, non ci volevamo liberare di lui e nemmeno speravamo che potesse vivere a lungo; ma che gli fosse risparmiata sofferenza e fosse assistito adeguatamente sì.
Ecco perché difendo la vita. La vita dei piccoli e quella degli anziani è simile a quella delle persone, per vario motivo, inabili o impossibilitate a prendersi cura consapevole di se stessi. Ma quella vita è pur sempre un dono, e non può essere delegata alla valutazione della bilancia delle opportunità, delle utilità, degli interessi personali e, diciamolo pure, dell’arbitrio (ragionato o non, equilibrato o isterico, razionale o pregiudiziale) di nessuno.
La vita appartiene alla persona. Quella particolare persona (vecchia o piccola che sia) può darci gioia o preoccupazioni, ma non è cosa nostra né cosa di un medico di guardia o di una vecchia signora in fila al supermercato o di una mamma instabile e nervosa.
Difendo quella vita. La difendo perché in vario modo è minacciata, è fragile, è incompresa; perché ci rappresenta tutti, perché è un diritto.
La difendo perché se noi non rispettiamo una vita (di un bimbo, di una persona fragile o debole, o di un vecchio) spezziamo qualcosa di importante che tutti ci lega e manchiamo di rispetto a tutta la vita, che ci è stata gratuitamente donata e di cui non possiamo pensare di fare quello che ci pare, specialmente quando non è la “nostra”.