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liberi da diritti e doveri

lavoro-nero90Lavoro no e allora chi paga?
A furia di imporre il lavoro temporaneo, il precariato, il voucher eccetera, si moltiplica quello che comunemente è definito il lavoro in nero. Lo sappiamo: ogni volta che si chiede una prestazione a un artigiano invece di vedersi fare un preventivo ci si sente chiedere : ma lei vuole fattura? Questo accade forse più nel piccolo che nel grande, ma la sostanza è quella dell’evasione sia del Falegname sia dell’Architetto.
Ho sentito recentemente un muratore che diceva: mi prendo il sussidio di disoccupazione, poi arrotondo.
Già e chi lo paga il suo sussidio e come arrotonda un lavoratore costretto al precariato o a un lavoro non regolarizzato? Ma come pretendere che chi a perso il posto per le tante ragioni che conosciamo, si apra una partita iva o accetti prestazioni temporanee con voucher quando la sua è stata una marginalizzazione che lo umilia e lo esclude, di fatto, dal mondo in cui aveva prestato la sua opera, dalle garanzie per le quali aveva visto prelevare soldi dalla sua busta paga, dai servizi che sono stati tagliati, da un futuro pensionistico al quale, anche quando sarà  vecchio, deve praticamente rinunciare?
Non me la prendo coi cittadini che si arrangiano vivendo sui margini di una realtà in cui crescono i desideri e i bisogni di consumo indotti e spesso non necessari, ma divenuti socialmente indispensabili.
Me la prendo con l’ottusa miopia di chi ci governa e ci ha governato falciando non solo l’articolo 18, ma spazzando via quel diritto al lavoro (NON al “posto” sottolineo) che dà dignità e, nel contempo, consente di esigere doveri (tra cui contribuire) e di farsi riconosce anche i diritti di una Costituzione che, vedi caso, si va a tumulare come cosa morta.
E dunque non certezze, non lavoro, non diritti ma anche meno contributi dei cittadini al bene comune.
Più bella cosa non c’è per i signori del liberismo.

Ricostruire, da fuori

Provo a pensare che la fase che siamo vivendo possa essere non peggiore di altre e che anche in altri tempi, vicini o non, ci sono stati motivi di scontento, di delusione o addirittura di disperazione, e probabilmente è davvero così. E poi disperazione, delusione e scontento non si addicono a persone che comunque mantengano e coltivino un progetto di vita e una visione proiettata nel tempo, anche se, forse, in un tempo lontano.
No, non bisogna cedere; ma resistere non significa ostinarsi a vedere il bello e il buono dove non ci sia. Non significa nemmeno costruire un castello mentale di labili carte illusorie. Dobbiamo resistere e non cedere perché è proprio la nostra resa che, come tutto lascia pensare e sta a dimostrare, stanno aspettando.
Probabilmente siamo di fronte a un disegno sommessamente violento che ha previsto per noi solo un ruolo passivo e subalterno, ma più ci rannicchiamo e chiudiamo più la subalternità potrebbe crescere.
Vedo tuttavia incombere un’ulteriore più sottile violenza: la fallace tentazione del consenso e della partecipazione per cambiare da dentro una delle facce di questo sistema nato da tanti padri ma che una madre maligna si è adattata a comporre mostruosamente.
Siamo arrivati a dire che le ideologie non servono, che sono storicamente superate, che i partiti sono vecchi carrozzoni, che le nuove guide delle nostre scelte sono il mercato e quindi la competitività. Tutto si compra e tutto si vende: dalla nascita alla morte, dalla vita alla sopravvivenza, tutto ha un costo e tutti siamo chiamati a pagarlo.
Non è semplice sintetizzare e proporre: tuttavia ci provo. Io credo e spero nell’utilità di contribuire ad un pensiero diverso da costruire non da dentro, ma proprio da fuori. Potrebbe essere necessario ricominciare riconoscendosi in persone che tornano alla vecchia Costituzione e ai nostri tradizionali valori: lavoro, consorzio umano, famiglia, giustizia sociale, solidarietà, dignità, rispetto e diritti dell’individuo nella reciproca libertà. Credo che la giustizia possa rinascere solo fuori dallo schema, fuori dal sistema e dal linguaggio convenzionale, lontano dalla deferenza al media e dalla soggezione a chi rappresenta le istituzioni, ma le corrompe.
Ci sono ormai troppi contagi nella corruzione, troppe pestilenze morali, troppe compromissioni per poter interagire con quello che c’è e si sta trionfalmente sbriciolando, ma trattiene il potere tra gli artigli.
Solo ritornando a una totale libertà di pensiero possiamo ritrovare il filo sociale e tesserlo, se fosse impossibile trovare sodali è necessario farlo anche da soli, ma i risultati sarebbero minimi, molto meglio farlo insieme agli altri, ai nostri simili.

Pensiero forte VS poteri forti

Con le mani

Appartengo a una generazione, che non ha avuto paura dei temi forti anche se, probabilmente, non li abbiamo affrontati come si deve.
Oggi no, non c’è nulla di forte; oggi tutto è mediato, stemperato, politicamente corretto e acquiescente a questa mediocre realtà che ci viene ammannita come “dura ma necessaria”.
Ma non riusciranno a farmi pensare che il duro e necessario sia anche utile.
Utile è ciò che cresce progettando, non ciò che spegne altri arricchendo se stesso.
E loro arricchiscono.
É dunque loro la vittoria?
Solo se l’accettiamo. Ma possiamo non accettarla e pensare diversamente e vivere diversamente per trovare il tempo per leggere, scrivere e continuare a pensare che c’è un altro futuro possibile, senza di loro.
Come? Anche dicendo no, anche rifiutando di tapparsi il naso.
E’ stato allora, quando ci siamo, per la prima volta, tappati il naso, abbiamo chiuso anche gli occhi e le orecchie ed abbiamo rinunciato all’etica, alla solidarietà e messo il cervello nel Domopak, in frigo depositando un voto, estorto dal compromesso, nell’urna
E’ proprio da quando ci siamo accontentati del meno peggio che il pessimo maleodorante e la volgarità furba ma ignorante hanno cominciato a impacchettarci e a metterci sottovuoto.
No, ripeto, non riusciranno a farmi pensare che sia duro ma necessario ed utile rinunciare alla dignità del lavoro, alla giustizia sociale, all’uguaglianza, ai diritti fondamentali che ci erano stati garantiti perchè conquistati dai nostri padri.

L’incubo deve finire.
Dovessimo pure ricucirle, le nostre bandiere devono tornare al loro posto.

Manipolare il popolo e l'opinione, nulla di nuovo – di Mariaserena Peterlin

 

"Il popolo è mio, l'ho qui in pugno…"

"Il popolo quando sente le parole difficili, si affeziona….
 

… e non a caso di parole ce ne dicono tante, fiduciosi che noi, popolo di cittadini, non possiamo, non riusciremo a capire.
 Ma sarebbe bene cercare di capire.
Non dobbiamo rinunciare, rassegnarci e pensare che stia accadendo qualcosa di talmente  nuovo che non possiamo scegliere.
Ogni volta che pensiamo di essere  troppo impreparati per capire abbiamo davanti almeno due soluzioni:
a) dedicare tempo e attenzione allo studio dei problemi che ci sono proposti come troppo difficili
b) alzare la voce, ed esigere spiegazioni comprensibili.
Quelli che si propongono come classe dirigente (politica e non) o lo sono già non possono limitarsi a dire “lasciateci lavorare, voi non sapete farlo e lo facciamo noi!”
Chi vuole occupare posizioni di potere deve accettare le regole democratiche e deve essere in grado di render conto al popolo che gli dà mandato sia se governa già sia se si propone di governare nel nome del popolo.
Il video del geniale Ettore Petrolini riprende un discorso che percorre tutta la nostra storia, dal mondo antico (qui reso in satira) al Machiavelli ai giorni nostri.
E’ assolutamente necessario, quando il potere si fa maschera incantatrice e suggestiva, andare oltre la maschera.
Ricordiamoci che i diritti fondamentali sono (almeno) libertà, giustizia e lavoro.
Non possiamo sostituire  la “libertà” con la “promozione di sé”, la “giustizia” con la “meritocrazia” e il “lavoro” con le “opportunità”. Non possiamo perché così facendo ci consegneremmo nelle mani di chi ci inganna.
Attenzione alle chimere, ai sogni, alle illusioni, alle bufale. Torniamo invece ai fondamentali. La maschera di Nerone-Petrolini è su di noi, oggi come ieri ad ammonire.
La satira castigat ridendo mores , apriamo dunque bene gli occhi.
La libertà, la giustizia e il lavoro non ci saranno mai regalati. I punti deboli del popolo sono sempre gli stessi e chi vuole e può sa come lusingare e affascinare, confondere e sottomettere l’unica vera avversaria che teme davvero: l’idea.
La castrazione del pensiero è il vero pericolo.
L’idea grande, figlia di un pensiero forte, libero e democratico può suscitare ancora la passione civile e sociale di cui il nostro tempo ha perso memoria e che è necessario riaccendere.  
 Non dobbiamo dunque pensare di essere troppo poco preparati perché possiamo impegnarci, possiamo capire, possiamo almeno dire di no.
I nostri punti deboli, quelli su cui veniamo colpiti, sono ancora la soggezione indotta da una presunta superiorità parolaia e che vuol farci credere che stiamo giocando anche noi come i miliardari in calzettoni e parastinchi, troppo preziosi per essere solidali con il popolo, perché loro popolo non sono.
E’ ora di uscire da questa soggezione.