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In caso di pioggia la rivoluzione si terrà al coperto (*)

 Se è vero , ed è vero, che le competenze specialistiche di ambito economico o scientifico forniscono esatti strumenti e preziose conoscenze tecniche è anche vero, e spesso lo si può rilevare, che una formazione umanistica e storica ci dota di una possibilità di interpretare ciò che accade da un punto di vista prospettico che comprende la possibilità di dedurre e confrontare.

Per questo spesso dissento non dalle analisi, ma dalle conclusioni di chi parla di crisi, denuncia il fallimento della mia generazione e l’esclusione dei giovani e si lamenta dell’incapacità di sindacati e politici di leggere i cambiamenti e fronteggiarli.  Su questi argomenti c’è, ad esempio, un recente articolo che titola: Perché è giusto abolire l’articolo 18 (naturalmente l’affermazione è provocatoria) che penso meriti di esser letto.
Nel merito di alcune affermazioni risponderei così.

a) Contesto che : “ nessuno, dalla politica ai sindacati, è stato in grado di leggere i cambiamenti in atto e di affrontarli nel giusto modo. “

Non è vero, secondo me: i fatti dimostrano come politica e sindacati abbiano letto benissimo i cambiamenti; e qualcuno di noi “vecchi” ha anche provato a denunciarli sia con la propria vita, sia con le proprie parole. In realtà quei cambiamenti sono stati voluti, cercati, approvati anche dai sindacati. Non a caso i nostri sindacalisti, lustri e sorridenti, abbaiano come cani da pagliaio, ma siedono in posti di potere e  alla stessa mensa del potere. Quanto alla politica, che ce lo diciamo a fare? Sono proprio i politici che hanno continuato ad ingrassare vivendo alle nostre spalle e continuando a tassarci e tagliare; per quale motivo avrebbero dovuto volere qualcosa di diverso quando per loro, e solo per loro, cambiava sì, ma solo in meglio?

b) L’articolo dice: ” Se credete che questo [abolizione art 18] serva a rilanciare l’economia, dunque se lo facciamo per i nostri figli, facciamolo”. Facciamo cosa? Nessuno ha potuto dimostrare che l’abolizione serva a rilanciare l’economia. I nostri confindustriali lo chiedono per togliere non per dare lavoro.  Anzi, come hanno detto recentemente illustri studiosi l’economia è collassata, in Italia, per altri motivi tra i quali quelli evidentissimi ossia la corruzione, le mafie, l’incapacità stessa di innovare e fare ricerca, l’inedia di molti imprenditori che ereditano e sperperano imperi economici, le misure sciagurate che hanno incentivato la delocalizzazione

c) L’atteggiamento di chi dice: “andiamocene da dall’Italia” è ben comprensibile, giustificato e ragionevole e lo consiglierei anche io: ma, attenzione, consideriamone le conseguenze.
Non è così che si cambia o riforma un sistema iniquo, sfruttatore, corrotto. Andando via si scappa. Ripeto, è anche giusto scappare, ma allora non ci lamentiamo di generazioni precedenti o diverse. Ognuno si tenga il suo coraggio o il suo non essere eroi.

d) La mia generazione, ad esempio, avrebbe voluto cambiare il mondo e molto abbiamo cambiato in meglio, molto  lo abbiamo fallito. Abbiamo cambiato in meglio molte cose fondamentali e, da donna, dico che tante conquiste le abbiamo ottenute. Non abbiamo potuto fronteggiare nemici sovrastanti che hanno fatto leva su poteri sottovalutati, i soliti mostruosi media. Sono proprio i messaggi dei media che fanno paura e fanno dire: “andiamocene”. Attenzione dunque, il vecchio proverbio dice: nemico che fugge, ponti d’oro. E c’è un evidente perché.

e) Non vorrei sembrare patetica, ma non me ne importerebbe più di tanto: i nostri padri (in senso esteso) hanno dovuto affrontare qualcosa di più di una crisi economica. Hanno subìto due guerre mondiali, hanno vissuto in un mondo in cui il lavoratore era ancora uno schiavo che lavorava senza regole né alcuna garanzia dall’alba al tramonto, hanno lottato con coraggio, si sono esposti e si sono ispirati a principi di mutua solidarietà. Non si sono pianti addosso. I nostri padri hanno anche fatto la fame quando gli scioperi erano reati, per i quali si andava in galera. Hanno subìto discriminazioni per razza, religione, cultura, origini economico-sociali diverse. E quando dico “i nostri padri” parlo del popolo, dei cittadini comuni, non dei potenti al potere che avevano ancora la mentalità del Marchese del Grillo. Quelli che si andava a guardare mentre passavano con le berline lussuose o mangiavano il gelato in piazza.
Oggi cosa si fa? Si riordina la cabina armadio e poi protesta con urla o si sbraita sui social forum. Ma non basta purtroppo.
Oppure si manifestano fieri propositi, poi va al voto e, con la scusa del meno peggio, si vota una lista bloccata. Concludo, e chiedo scusa per il lungo discorso, con un accorato appello: cari giovani è vero questo mondo fa schifo; i vostri genitori mettono zeppe dove possono e soffrono per un fallimento che è anche sulla loro pelle, sui loro progetti, sulle loro costruzioni di vita. E’ vero, questa società escludente è odiosa, ma non potete attribuire la colpa solo agli altri, qualcosa noi lo abbiamo fatto e anche se non abbiamo ottenuto un mondo giusto e solidale non si può chiedere alla mia generazione di fare una rivoluzione in conto terzi. La storia vi potrebbe raccontare tanto altro e vi aiuterebbe a parlare del passato lontano e recente con maggior cognizione, la letteratura vi potrebbe offrire rappresentazioni dell’animo e della natura umana: l’uomo senza educazione è anche senza qualità. Spesso poeti e scrittori hanno visto, previsto e rappresentato quello che accade o ri-accade: conoscerlo è interessante, fidatevi.

Per finire: oltre ai sacrifici abbiamo conosciuto l’ironia e, grazie ad essa, una volta dicevamo sfottendo: in caso di maltempo la rivoluzione si terrà al coperto. Adesso la tengono sotto chiave, all’ospizio dei vecchi. Anche se abitano su colline o colli arieggiati.

(*)Raccolgo qui di seguito, e rielaboro, qualche riflessione che ho sparso in fB. 

Famiglia all’italiana, ma quale?

A Montecitorio si tiene una mostra fotografica che documenta i cambiamenti della famiglia italiana attraverso le immagini del nostro cinema; titolo “Famiglia all’italiana”. Pubblicità a manetta su giornali e media televisivi tramite anche interviste a soliti noti, i monsignori, i politici (Lupi) e altri. Un investimento in fase di piena fase di crisi e aumento delle tasse, una delle solite iniziative per mettersi in evidenza e rilanciare un’immagine affaticata della famiglia? In parte sì; ma niente da dire su una documentazione di immagine cinematografiche, a patto, però di ricordare che la realtà è sempre stata un’altra, che l’immagine rappresenta un altrove (mi vien da dire ben_altrove), e che la famiglia nelle immagini del cinema non è mai stata, tranne rare eccezioni e al contrario di quanto si afferma nelle presentazioni dell’evento, quella vera con il suo vero vissuto.
La pubblicità ci dice che “da ‘Assunta Spina’ a ‘Piccolo mondo antico’, dal ‘Cuore grande delle ragazze’ ad ‘Anche libero va bene’, il cinema italiano rende omaggio alla famiglia per quel che è” ; ma è proprio questo il punto: i problemi, edulcorati o inaspriti, non sono i veri problemi e l’immagine è altro rispetto al vero.
Tuttavia è noto che far passare una visione razionale non è agevole, a meno di non accettare il compromesso che il vero non sia altro che una mediazione tra tante visioni personali.

Pensiero forte VS poteri forti

Con le mani

Appartengo a una generazione, che non ha avuto paura dei temi forti anche se, probabilmente, non li abbiamo affrontati come si deve.
Oggi no, non c’è nulla di forte; oggi tutto è mediato, stemperato, politicamente corretto e acquiescente a questa mediocre realtà che ci viene ammannita come “dura ma necessaria”.
Ma non riusciranno a farmi pensare che il duro e necessario sia anche utile.
Utile è ciò che cresce progettando, non ciò che spegne altri arricchendo se stesso.
E loro arricchiscono.
É dunque loro la vittoria?
Solo se l’accettiamo. Ma possiamo non accettarla e pensare diversamente e vivere diversamente per trovare il tempo per leggere, scrivere e continuare a pensare che c’è un altro futuro possibile, senza di loro.
Come? Anche dicendo no, anche rifiutando di tapparsi il naso.
E’ stato allora, quando ci siamo, per la prima volta, tappati il naso, abbiamo chiuso anche gli occhi e le orecchie ed abbiamo rinunciato all’etica, alla solidarietà e messo il cervello nel Domopak, in frigo depositando un voto, estorto dal compromesso, nell’urna
E’ proprio da quando ci siamo accontentati del meno peggio che il pessimo maleodorante e la volgarità furba ma ignorante hanno cominciato a impacchettarci e a metterci sottovuoto.
No, ripeto, non riusciranno a farmi pensare che sia duro ma necessario ed utile rinunciare alla dignità del lavoro, alla giustizia sociale, all’uguaglianza, ai diritti fondamentali che ci erano stati garantiti perchè conquistati dai nostri padri.

L’incubo deve finire.
Dovessimo pure ricucirle, le nostre bandiere devono tornare al loro posto.

Manipolare il popolo e l'opinione, nulla di nuovo – di Mariaserena Peterlin

 

"Il popolo è mio, l'ho qui in pugno…"

"Il popolo quando sente le parole difficili, si affeziona….
 

… e non a caso di parole ce ne dicono tante, fiduciosi che noi, popolo di cittadini, non possiamo, non riusciremo a capire.
 Ma sarebbe bene cercare di capire.
Non dobbiamo rinunciare, rassegnarci e pensare che stia accadendo qualcosa di talmente  nuovo che non possiamo scegliere.
Ogni volta che pensiamo di essere  troppo impreparati per capire abbiamo davanti almeno due soluzioni:
a) dedicare tempo e attenzione allo studio dei problemi che ci sono proposti come troppo difficili
b) alzare la voce, ed esigere spiegazioni comprensibili.
Quelli che si propongono come classe dirigente (politica e non) o lo sono già non possono limitarsi a dire “lasciateci lavorare, voi non sapete farlo e lo facciamo noi!”
Chi vuole occupare posizioni di potere deve accettare le regole democratiche e deve essere in grado di render conto al popolo che gli dà mandato sia se governa già sia se si propone di governare nel nome del popolo.
Il video del geniale Ettore Petrolini riprende un discorso che percorre tutta la nostra storia, dal mondo antico (qui reso in satira) al Machiavelli ai giorni nostri.
E’ assolutamente necessario, quando il potere si fa maschera incantatrice e suggestiva, andare oltre la maschera.
Ricordiamoci che i diritti fondamentali sono (almeno) libertà, giustizia e lavoro.
Non possiamo sostituire  la “libertà” con la “promozione di sé”, la “giustizia” con la “meritocrazia” e il “lavoro” con le “opportunità”. Non possiamo perché così facendo ci consegneremmo nelle mani di chi ci inganna.
Attenzione alle chimere, ai sogni, alle illusioni, alle bufale. Torniamo invece ai fondamentali. La maschera di Nerone-Petrolini è su di noi, oggi come ieri ad ammonire.
La satira castigat ridendo mores , apriamo dunque bene gli occhi.
La libertà, la giustizia e il lavoro non ci saranno mai regalati. I punti deboli del popolo sono sempre gli stessi e chi vuole e può sa come lusingare e affascinare, confondere e sottomettere l’unica vera avversaria che teme davvero: l’idea.
La castrazione del pensiero è il vero pericolo.
L’idea grande, figlia di un pensiero forte, libero e democratico può suscitare ancora la passione civile e sociale di cui il nostro tempo ha perso memoria e che è necessario riaccendere.  
 Non dobbiamo dunque pensare di essere troppo poco preparati perché possiamo impegnarci, possiamo capire, possiamo almeno dire di no.
I nostri punti deboli, quelli su cui veniamo colpiti, sono ancora la soggezione indotta da una presunta superiorità parolaia e che vuol farci credere che stiamo giocando anche noi come i miliardari in calzettoni e parastinchi, troppo preziosi per essere solidali con il popolo, perché loro popolo non sono.
E’ ora di uscire da questa soggezione.