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Ma #Franti non avrebbe picchiato la prof

cuore

Abbiamo letto e sofferto per la notizia che in un Istituto Scolastico, uno studente del primo anno delle superiori ha prima provocato una rissa, sedata dai Carabinieri, e poi, innervosito da un richiamo della professoressa, ha sferrato un cazzotto alla medesima che è stata soccorsa, svenuta, in ospedale dove è stata accompagnata, così leggo, sempre dai Carabinieri.
Che dire? Tutto: sgomento, dispiacere, solidarietà, paura.
Ma anche, ahimè, non molta sorpresa.
Pensiamo davvero che, varcato il cancello della scuola, tutto cambi? Che questi giovani diventino da famigerati teppisti (di cui ci parla ogni giorno l’informazione) capaci di sfottere un portatore di handicap, di rapinare del cellulare un passante, dar fuoco a qualche vecchio o violentare una coetanea o un coetaneo, diventino compìti studenti pronti ad adeguarsi alle regole?
Il problema è anche, a mio modesto parere, che la scuola non solo non può fare miracoli, ma nemmeno ha strumenti atti a sostenere questo tipo di sfida.
I docenti hanno ragione a chiamare in causa le famiglie e non solo loro, hanno ragione anche quando imputano alla Buona Scuola i danni che ha causato. Non so, invece, se hanno ragione quando, chiamando in causa la tipologia del lavoro, dicono che non è una missione, non è un apostolato. D’accordo, non è, non può esserlo, ma non bisognerà dire, allora, cos’è?
Sappiamo che “missione” non ha solo significato religioso, ma significa anche impegno da portare a termine o meglio, se vogliamo citare i dizionari: “incarico a esercitare un ufficio, o ad adempiere un compito la cui importanza risulti sottolineata dal suggello dell’ufficialità o del segreto”. Nel caso dell’insegnamento il “segreto” non è chiamato in causa che raramente, ma l’ufficialità esiste.
Sicuramente non si dirà mai a sufficienza che nessuna ragione giustifica un pugno a un insegnante che fa il suo lavoro. Questo è un punto fermo.
Temo che, purtroppo, quando occorre chiamare ad intervenire, presso una realtà educativa come la Scuola, le forze dell’ordine ci siano già molti fallimenti in atto da individuare, ma anche molti danni provocati da questa società del consumo, dell’immagine, del liberismo e della morte di qualsiasi etica.
#Franti , sempre lui! non avrebbe picchiato la maestra, eppure fu accusato di essere un possibile colpevole della morte di crepacuore per sua madre. Franti apparteneva a un altro mondo, facciamocene una ragione, invece quel giovane delinquente non ha picchiata la prof perché era un’insegnante, avrebbe picchiato chiunque si fosse “permesso” di dirgli un “no”.
Oggi il nostro tempo non ha bisogno di eroi, ma di strumenti efficaci sì. La scuola spesso è sola. Vorremmo tutti che i genitori le dessero una mano di buona volontà, invece lo Stato ne ha l’obbligo.

Merito e utilità del far scuola

Se è vero che sbagliato dire solo no e rifugiarsi nel passato è anche vero che innovare dovrebbe significare (provo a definire) fare ricerca per confutare, dove ci siano, gli errori e proporre nuove soluzioni, strade ed idee.
Nell’ambito educativo e dell’istruzione scolastica non possiamo dire solo no al merito e alla meritocrazia, ma dobbiamo pur riconoscere che una selezione di tipo meritocratico non è, di per sé, né innovativa, né uno strumento per insegnare/imparare meglio, né per educare; al massimo potrebbe esser considerato uno strumento per vagliare e selezionare in base ad un solo criterio; quello, appunto del merito.
E tuttavia dicendo così parliamo ancora in modo molto generico.
Infatti se non definiamo cosa sia merito e  (non meno importante)cosa il demerito stiamo già affondando nella palude delle parole dette a vuoto: prima di disegnare figure esatte occorre squadrare il foglio ossia, in questo caso, dare un senso alle parole.
Ad esempio:
1) uno studente è meritevole in quanto portatore di un patrimonio di qualità? E quali?
2) chi è meritevole riesce ad esserlo in ogni tipo di scuola, in ogni disciplina e con ogni insegnante del suo corso di studi?
3) il merito coincide con il successo scolastico?
4) dove individuiamo il merito nel processo educativo che prevede almeno due attori o, se vogliamo, due funzioni: quella di insegnare e trasmettere (dunque attrarre attenzione/interesse) e quella di apprendere ossia ricevere (e rielaborare)? Può esistere da una parte sola? Come e quando è diversificabile?
Questo breve elenco è imperfetto, abbozzato e parziale. 

Sono tante le variabili che potremmo osservare.Ma poi esiste la pratica. Molti bravi insegnanti (1) si muovono, di solito, con la prudenza ma anche con l’audacia di bravi esploratori che sanno quale sia la meta, rileggono e tarano giorno per giorno gli strumenti, ne inventano di nuovi, si confrontano con la realtà, raccolgono esperienze.Una base di una ricerca volta a confutare gli errori del passato e a cercare nuove e migliori strade per il futuro dovrebbe tener conto degli ultimi quattro secoli di ricerche ed esperienze pedagogiche. Ma non volendo essere pedanti possiamo almeno desiderare che chi si proponga con responsabilità direttive in questo ambito evitati scivoloni o errori di stile e contenuto tenendo presente almeno gli studi dal positivismo pedagogico ad oggi, poco più di centocinquant’anni, fondamentali.

E il merito allora? Certamente; quello della medaglia di primo della classe ci commuove ancora, perché no?
Tuttavia non sono quelle le sole lacrime che la scuola può far versare.
Il merito ci piacerebbe, ci piace: come insegnante anche a me sarebbe piaciuto esser considerata meritevole, ne avevo anche qualche titoluccio, e la vanità fa il suo lavoro. Ammettiamo tuttavia che non si insegna per sentirsi bravi, caso mai per sentirsi utili. Lo stesso desiderio di utilità non ci piacerebbe anche tra le doti ed i meriti di bravi ministri miur?
——–
(1) Sull’argomento può esser utile il resoconto di una discussione svoltasi nell’ambito del network La scuola che funziona fondata da Giovanni Marconato: “Il bravo prof

TRAME VIRTUOSE ed EDUCAZIONE: Atena ed Aracne

E fu ancora notte e ancora mattina,
e fu ancora sole
e fu ancora nuvole e pioggia.
Nulla si ferma, tranne l’uomo che si lascia vivere.
Tranne chi, prima ancora di iniziare dice che sa già come andrà a finire.

Questo atteggiamento è frequente, sciaguratamente frequente anche nel rapporto tra adulti e giovani. Non è la scuola ad essere malata, né la famiglia.
La malattia è nel conformismo che si adegua, è nella pigrizia di chi ripete ripete ripete, è nella paura di chi non rompe lo schema né cambia strategia.
La malattia è la sisifea ottusità: o non si è passivi o si replica, e non chi non riesce a spezzare la spira avvolgente della rassicurazione vive la situazione dell’insetto, preda del ragno. Irretito, paralizzato e messo vivo in dispensa per la ragnacea discendenza.

Possiamo continuare a mantenere viva l’aracnide a spese nostre?
Ci sono forme del presente che ci sprofondano nel passato, mentre ci sono miti che ci proiettano nel futuro.
Possiamo dimenticare che quella di Aracne fu una condanna di una Atena irritata contro la bellezza dell’invenzione meravigliosa di una tessitrice?
Sarebbe davvero firmare una resa, e senza condizioni.
E gli adulti, se tali sono, non possono insegnare ad arrendersi.

***
Riprendilo in mano il telaio
riprendi con forza il tuo filo
e pensa già tutto il disegno;
lasciando che il cuore lavori
tu tessi, scegliendo i colori.

Riprendi quel filo, quel pettine
e passa la trama vivace
veloce con l’agile ordito
che chiede soltanto la luce.

Riprendi il lavoro al telaio
e immagina, a liberi voli.
Non spezza quel filo il coraggio
di nuovi disegni, né voli
ronzanti d’insetto
che vola nell’aria dorata
per fare al pedante un dispetto.

Roma, Alemanno: Nevica (e la scuola fa di peggio)

Non sarà troppo freddo? E se nevica? E se nevica tantissimo? E se gela?

Una buona occasione per dare della scuola e dei docenti un esempio di Italia che non funziona?

Anche sì.

 L’evento è eccezionale e le situazioni sono tante.

(Brutta cosa averne viste un po’ di più.)

E così è accaduto che Alemanno, sindaco di Roma, con una botta di genio puro, è riuscito a combinare quello che né la neve (che non si vede se non in alcuni quartieri) né il maltempo (che c’è e si vede) sarebbero mai riusciti a fare: ulteriori caos e disagi per tutti: si chiude la didattica, ma si va a scuola, ovvero non si va, ma ci si deve essere.

Perfetto: Alemanno è sindaco, mica insegnante.

Spiace molto, invece, sentire le opinioni degli insegnanti romani che sono stati chiamati ad essere presenti a scuola non per “fare didattica” ma per assicurare che la scuola accogliesse i ragazzi i cui genitori non avrebbero saputo come, in caso di chiusura, come provvedere ai figli. Ed ecco qua gli sfoghi più frequenti (anche se c’è da augurarsi rappresentino la minoranza).

 “Io a scuola vado per lavorare, se non c’è didattica cosa ci vado a fare?”

“Ci considerano baby-sitter!”,

“Io per non sbagliare, siccome l’ordinanza non è chiara approfitto e resto a casa. Se mi attribuiscono un’assenza chiedo ferie”

E potrei continuare, ma meglio sorvolare.

Nel frattempo cerco invano di allontanare dalla memoria i miei tempi belli di insegnante a Reggio nell’Emilia, ah l’Emilia felix!, in cui con la temperatura a -12° (quell’anno si sono frantumate le bottiglie di acqua minerale chiuse in cantina… il lambrusco per fortuna no….)  e mezzo metro di neve non solo ho potuto portare le figlie alla scuola materna ed elementare, ma fare le mie regolari ore di lezione con l’accortezza di uscire di casa mezz’ora prima.

 Preferisco pensare con affetto ai lavoratori precari che sono tenuti comunque a tener fede ai loro turni, agli insegnanti delle private (sì, proprio a loro) che oggi hanno rispettato l’orario, e a chi non si annoia perché il posto statale a stipendio fisso non ce l’ha e quindi non può portare la giustifica di Alemanno visto che la pagnotta non gliela passa il convento.

Un insegnante si sente babysitterato solo perché, per un giorno o due, non può “andare avanti col programma” ? Che tristezza. No comment.

Accogliere i ragazzi a scuola non è lavoro degno? Invece, casomai, bocciarne il 40% sì. Singolare ma vero.

“… l’ordinanza non è chiara approfitto e resto a casa. Se mi attribuiscono un’assenza chiedo ferie” : ma che nobile mente! Ci sono persone che lavorano con contratti atipici (bell’eufemismo) e non fanno un’ora di ferie da anni! E certo non possono inventarsi le ferie causa “non era chiara l’ordinanza” anche perché la normativa sulle ferie dei docenti prescrive che si possa usufruirne solo compatibilmente con le esigenze di servizio e facendo domanda al DS con congruo anticipo ….

 Francamente sono più trasparenti i miei ragazzi, con uno dei quali (ex-alunno) oggi ho avuto questo dialogo su fb:

“noi prof…facevamo sega stando in classe…ihihih!!!bei tempi :)”

“E quando aprivate le finestre per poter dire che il riscaldamento non funzionava? (a parte il fatto che ci avevano messo nell’aula ex cesso e ci si gelava davvero…)”

“spettacolo..XD”

Meglio, no?