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Una finestra sul Bene Comune

finestra sulla SalariaSi parla così spesso e tanto del Bene Comune che questa espressione è diventata quasi un refrain che, come spesso accade per gli slogan, si va svuotando di significato. Più che al Bene Comune  sembra che per ora si tenda ad avere a cuore e si sponsorizzi il vantaggio personale di prevalere sugli altri; del resto questa è una mentalità diffusa e promossa da un lato dalla meritocrazia e dall’individualismo dall’altro. Forse i tempi e le tendenze potranno, gradualmente, cambiare, ma
nella stretta contingenza del presente, invece, se consideriamo con disincanto, come si muovano e cosa esprimano i post e i commenti sui social del dopo-elezioni, possiamo notare come solitamente manchino di rispetto verso scelte o preferenze diverse dalle proprie.
Queste ultime, invece di essere rispettate sia dai politici che ne devono trarre le conseguenze, sia anche dagli altri cittadini che hanno creduto di far bene orientandosi in modo opposto, contrario o comunque differente sono dileggiate mentre si inacidiscono i giudizi e si stigmatizza il prossimo.
Il nostro osservatorio di gente è, però, la vita, è la relazione con gli altri, è la quotidianità di esperienze, di ricerche, di bisogni comuni; per queste ragioni noi non offendiamo e non sfottiamo coloro che esprimono pensiero o voto elettorale divergente dal nostro.
Il “nemico” comune, per usare un’espressione forse troppo facile ma chiara, non è l’altro, bensì  proprio la divisione sovente fomentata persino dai dissennati politici che danno pessimi esempi.
In realtà in tanti vorremmo che il nostro orizzonte, quello su cui valga la pena di finalmente spalancare le imposte,  fosse il Bene Comune per tutti noi e che riguarda aspetti vitali come la pace, le opportunità per tutti, i diritti umani e civili tra i quali la salute, il lavoro e l’istruzione, la libertà e l’eguaglianza.

Ma allora se siamo d’accordo che così tante sono le cose in comune allora anche il progetto per la costruzione futuro potrebbe essere condiviso e comune.

Il patto sociale, altra espressione a noi cara, ma che si ricorda poco, indica la necessità del confrontarsi e dell’esser liberi tutti di esprimere un’idea e una scelta.
La mia opinione, come quella di molti blogger, è personale frutto di elaborazione critica autonoma, tuttavia siamo consapevoli come le nostre voci, benché pubblicamente diffuse, non possano aggiudicarsi un significativo peso o riscontro mediatico salvo poi essere scopiazzate ed esibite da coloro che invece hanno  riscontri e vantaggi ben oltre i loro meriti.
È un modo di fare che scimmiotta la peggiore politica, quella che tanto ci ha deluso e continua a deluderci. E a proposito di pessimi esempi annoterei a margine come molti politici usano spesso metafore e linguaggio da stadio di calcio.

Ma noi non vogliamo imitarli e non andiamo ad uno scontro tra tifoserie esaltate. Del resto, se ci riflettiamo un attimo, le tifoserie sono costituite anche da gente che pur vivendo ai margini,  venera idoli miliardari con cui nulla hanno in comune.
Quel tanto che noi abbiamo, invece, in comune non dovremmo disperderlo, ma dovremmo riconoscerlo e perseguirlo.
Non branco né curva, ma gente, persone e cives che si parlano e per farlo volentieri riaprono e spalancano le porte e le finestre.

Soffione (taraxacum officinale)

Un soffione, in pompa magna
tutto aperto, esposto al vento.
sia in città come in campagna
spesso prende il sopravvento -

OPPORTUNITÀ DIVERSE E GENERAZIONI A CONFRONTO – di Mariaserena

maniAccanto a me che scrivo tempestando la tastiera c’è il lettino del mio secondo nipotino che dorme. Guardo il suo sonno meraviglioso (quale altro aggettivo potrei usare, e vorrei anche mettere la M maiuscola) e non posso non chiedermi se anche lui finirà nel trita cervelli in cui tanti, troppi giovani e meno giovani sono dolcemente finiti.

Spero di no, spero che l’anima umana rimanga almeno per i bambini, spero che arrivi una svolta e si torni ad alzare la schiena, a togliere gli occhi da troppi display, per levare gli occhi alle stelle.

Ma se anche non arrivasse, e non la spero a breve, mi chiamo responsabile di quello che accadrà in futuro e mi chiedo guardando la culla: cosa sono i bambini? Mattoni da inserire in un muro in mezzo ad altri mattoni uguali o da livellare, scalfire, limare perché si adattino al singolo spazio che gli è destinato?

No, non sono mattoni. Ma lo diventeranno. Dipende da ciascuno di noi.

 

Quello che è successo negli ultimi quarant’anni è dipeso dall’attuazione di un progetto di demolizione che ha colpito sia la cultura sia l’istruzione, sia, e soprattutto, la trasmissione del sapere pragmatico e sociale insieme ai valori fondanti ogni singola nostra famiglia, comunità, paese e città.

Quello che è successo è sotto gli occhi, ma si distoglie lo sguardo e si reagisce dicendo “che possiamo fare?”.

Si può fare pochissimo se vogliamo farlo comodamente, ossia senza spostare nulla nello schema rassicurante, confortevole pur se miserabile in cui siamo precipitati.

Si può fare quello che hanno fatto i nostri predecessori (dai nonni in su, risalendo all’indietro) se fossimo capaci di dare anche vita e sangue per le nostre libertà e le nostre dignità. Ma già, le parole vita e sangue disgustano a meno che non se ne parli in un rassicurante approfondimento da talk-show in cui la sigla incornicia chiude ogni storia tra saccenti e scosciate di turno.

Perché questo mio amaro scontento?

Perché è facile dire alle generazioni precedenti: “voi avete avuto opportunità che noi non abbiamo”.  Questo si dice, ancora una volta, parlando da schiavi col cervello tritato; questo è il ritornello che i media e i politici insieme alla più titolata finanza mettono in bocca ad una gran parte di nostri presunti giovani tra i 25 e i 40.

Queste sono sciocchezze. Ma sciocchezze criminali.

I vostri vecchi e i loro figli, e ancora ce ne sono e vi dà a volte impiccio vederveli intorno, se la sono vista con un regime totalitario orribile che però è stato liquidato in vent’anni.

Hanno avuto la guerra con migliaia di giovani al fronte e la guerra in casa, anzi casa per casa: violenze, stupri, fuciliazioni, rastrellamenti e l’hanno risolta in meno di cinque anni.

Hanno ricostruito, anzi hanno costruito dalle fondamenta, un’Italia in cui non solo non c’era lo stato sociale, ma non c’era nemmeno la casa e il pane, l’acqua corrente e le medicine.

E voi pensate che le “opportunità” che voi non avete e che noi avremmo avuto siano arrivate con la cicogna?

Ebbene io vi dico che molti di voi, con questa mentalità, non avrebbero sopportato non solo il regime, la guerra, la resistenza, l’occupazione tedesca, la fame, la morte dei cari e le violenze del dopoguerra, ma nemmeno la mia maestra di terza elementare (l’aguzzina suor Livia), nemmeno le mie professoresse di latino o matematica delle medie.

Sarebbero scappati tra i leggins della mamma e lei, appena tornata  di fretta dai suoi impegni, avrebbe telefonato all’avvocato per far causa alla scuola.

Per questo vi dico: io mi chiamo responsabile anche di mio nipote, pur sapendo bene che i primi e più importanti per lui sono mamma e papà. Lo dico perché chi si chiama responsabile per una vita intera non si tira indietro mai.

E voi allora che fate?

Continuate a prendervela con le mancate opportunità ripetendo gli slogan del signor Draghi?

Allora accettate pure quest’ultima esca e la demolizione che frantuma l’ultimo legame sociale ormai labile, ma che comunque infastidiva ancora il potere mediatico-plutocratico (ossia dell’informazione al guinzaglio della finanza internazionale) e continuate pure a pensare che una volta spacciato l’uomo di Arcore tutto sarà più bello e splendente che prima. Magari!

E soprattutto continuate a contrapporre l’io al tu, il voi al noi.

E qualcuno  trionferà.

Tarderà molto a nascere, se nasce, una generazione nuova.

A chi, come me, si chiama e si chiamerà sempre responsabile toccherà una nuova sconfitta, ma statene pur certi, non ci sentiremo vinti.

Il cielo stellato delle virtù civili e dei valori morali indicherà sempre la strada, e qualcuno, prima o poi, alzerà di nuovo gli occhi al cielo tenendo bene i piedi in terra e le mani pronte al lavoro, ma la schiena dritta.

Foto_vedere: giocando con la corrente di Mariaserena Peterlin

Guardare attraverso una fotocamera (e un grosso cavo elettrico)

se vuoi leggi il testo in 

NOTECELLULARI – ottovolante: Foto-vedere giocando con la corrente