
Pablo Picasso : Guernica
Sulle definizioni dell’Arte si sono affaticati critici e filosofi, autori di opere e fruitori delle medesime. Non è mai stato possibile pervenire ad una definizione conclusiva anche perché, probabilmente, questo segnerebbe anche la fine della libertà e quindi della creatività connaturata al fenomeno artistico stesso.
Non si vuole qui negare dunque la libertà di intendere il fenomeno artistico come produzione autonoma del suo creatore.
Si vorrebbe tuttavia proporre una diversa riflessione. Dopo il periodo del noto ventennio non mancarono critiche per quegli intellettuali ed artisti che non si erano posti un problema di contenuto nelle loro opere.
Si parlò dunque, e a lungo, di impegno per l’intellettuale e per l’Arte.
Quel messaggio aveva fondati motivi. Mentre il pianeta era stato trascinato in una guerra mondiale, mentre si era celebrato il più orribile degli olocausti, mentre le libertà erano state fatte cadere ad una ad una immolate sull’altare delle dittature, del razzismo elevato a filosofia, delle teorie perverse che tutti conosciamo, mentre alcuni (pochi) artisti ed intellettuali venivano imprigionati fino a morire in galera altri continuavano a seguire le loro danzanti suggestioni artistiche o, addirittura, mettevano la loro arte e il loro talento al servizio della bestia trionfante.
Conclusa la guerra, e sconfitta la bestia, si fece sentire la voce di chi condannava l’ignavia e il servilismo e richiamava ad un impegno sociale, politico e civile.
Fu un grande periodo: ricordiamo, per l’Italia, almeno i frutti del Neorealismo che fu motore di idee e di produzioni di grandissimo spessore nel cinema ma non solo.
Oggi viviamo tempi diversi. Ma non viviamo tempi belli.
Non ci sentiamo sull’orlo di una guerra, ma non siamo in pace.
Non tutti vivono nel bisogno, ma il tenore di vita scende, accade che un bambino muoia di freddo il giorno della Befana, e ci sono vivaci e sanguinosi bagliori di ribellione per mancanza di lavoro.
Non avvertiamo la mancanza di libertà, ma si vive come incollati alle quinte di una scena in cui la regia ha tutto predisposto e, quel che è peggio, si crede di pensare, ma non si ragiona.
Un esempio: cittadini che fanno la spesa al mercato di Torino, oggi intervistati in tv sulla vicenda Fiom-Marchionne si esprimono dicendo: “Se c’è la crisi tutti dobbiamo accettare i sacrifici”. Ossia ripetono passivamente quanto detto e ridetto da chi ha interesse a che quei sacrifici siano accettati. Dunque i cittadini, questa è la mia ipotesi, credono di avere un’opinione ma non riflettono.
E non riflettono perché non hanno strumenti.
In compenso hanno paura. E la loro paura è legittima e giustificata.
Infatti non è colpa del semplice cittadino se le sue informazioni lo portano a pensare così.
La responsabilità è, invece, di tutti quelli che, potendo attingere a informazioni non bassamente mediate o possedendo strumenti di analisi più raffinate o anche di una cultura specialistica non la mettono a disposizione di chi sa meno di loro, ma si incartano e portano a casa (mettendoli accuratamente sotto chiave) i privilegi che già hanno ottenuto o che sperano di ottenere.
E qui il cerchio si chiude.
No, non dobbiamo chiedere a questi signori (intellettuali, artisti, poeti, scrittori, pensatori, filosofi, economisti ecc ecc) la parola che squadri da ogni lato l’animo loro informe.
Non chiediamo nemmeno di cantare col piede di Marchionne sopra il cuore.
Però chiediamo che almeno non facciano danno.
Il pensiero e l’arte, l’intellettuale e lo scrittore o l’artista potrebbero e dovrebbero svestire il vestito narcisista e dare un senso e un messaggio alle loro opere.
Invece parlano solo di se stessi: sono in pieno regime autoreferenziale, e sono contenti di esserlo.
I giornalisti parlano dei politici e la politica parla dei e sui media.
Gli intellettuali, o presunti tali, parlano di gossip e sono attori del gossip.
I sindacalisti parlano di crisi e la crisi si occupa di disinnescare le armi della rivendicazione dei lavoratori.
Il valore del lavoro sta scivolando verso le quotazioni indiane e cinesi (un dollaro l’ora) ma ci lamentiamo degli immigrati e non di questo neocolonialismo dislocante che abbatte i costi grazie a una forma di sfruttamento della schiavitù consenziente.
Siamo tutti sotto scacco.
E l’intellettuale che fa?
Pensa solo a guadagnare, se può, scrivendo-parlando di legalità, di vizi privati, di questione di costume o peggio ancora, solo di se stesso.
E l’artista, lo scrittore, il poeta?
Si dedica ai vampiri? Sogna sulle potenzialità realtà virtuale? Distilla la composizione elitaria e le elucubrazioni fantascientifiche?
Chiediamo, allora, che tutti costoro almeno non alzino inni contro la laboriosità, contro la famiglia, contro i sentimenti che legano tra loro le persone e i soggetti sociali.
Che non calpestino almeno i principi base della nostra civiltà: uguaglianza, fraternità, libertà. Valori borghesi? Certo.
Ma sui quali si potrebbe ancora costruire un avvenire di uomini e non di cyborg.
Perché se è vero che l’arte non è furore divino, non è nemmeno narcisismo estetizzante.