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Poesia del tempo del grano

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Cantano le cicale nel tempo del grano
 
Se sordo è il canto, e la cicala assidua
assorbe l’aria mentre il sole sale
non chiederti il perché e non cercare
dove finisce il tempo quando passa.
 
Speravi avere tempo, e rimandavi
sicura che un tesoro accumulato
domani avresti certo ritrovato
e speso a mani aperte e illimitate.
 
Non è così, ma la cicala canta
e il tempo passa e sfugge dalle dita.
Ecco il presente, non lasciarlo andare
ma assaporalo piano come un frutto
 
e dopo, lento, leccati le dita.
Porti il tesoro dentro al cuore
tutto: ricordi, amore, vita, tempo perso
e lascia che vi penetri anche il sole.

 

Aforismi per la sopravvivenza ovvero gli antiveleni


E’ necessario prender atto di come le più vili aggressioni e le più amare delusioni e le più tristi manovre possano provenire da dove le nostre difese non sono fortificate e da coloro che noi consideravamo non solo interlocutori da stimare, ma addirittura amici leali.

Joseph Roth: Perlefter – Amare il povero – di Mariaserena Peterlin

Certe persone sembrano di valore soltanto perché povere, e a un morto di fame si è propensi ad attribuire una capacità creativa, che in realtà è pura miseria. La grande ingiustizia dell’ordine mondiale ci induce a conferire ai poveri anche dei meriti, mentre già da sola la povertà sarebbe motivo sufficiente per farci amare chi ne è colpito. (Jospeh Roth, Perlefter – Storia di un Borghese in Fragole, Adelphi, 2010)
 
Non sempre è corretto estrapolare una citazione da un libro. A volte tuttavia accade che uno scrittore ci proponga un’affermazione di carattere generale all’interno di un racconto complesso nel quale il quadro di riferimento e i personaggi sono complessi e ciascuno in sé delineato.
La frase di Joseph Roth è tratta da un romanzo, che secondo le intenzioni dell’autore doveva essere il più bello da lui mai scritto, ma che rimase inedito ed è stato recentemente pubblicato da Adelphi.
La riflessione sulla povertà, e su come questa è percepita da chi non è o non si sente povero, è potente e mostra una verità che potremmo spesso osservare anche intorno a noi. Noi tendiamo a voler bene a un povero “che se lo merita” o al quale possiamo attribuire un talento, una qualità particolare. Questo accade non solo per la povertà dovuta a mancanza di mezzi, ma anche per la povertà spirituale o della saggezza e della ragione (comunemente intese). Si propende dunque a cercare una giustificazione di quella povertà che, pensiamo, non ci riguarda. No, noi non siamo così poveri! Ma quel tale (o quella tale) pur essendo povero ha dei meriti (è abile, è virtuoso, ha talento, sa presentarsi, è capace).
Ed è in virtù di quel merito che gli riconosciamo noi ,  può essere amato: “mentre già da sola la povertà sarebbe motivo sufficiente per farci amare chi ne è colpito. (Jospeh Roth). 

SIMPATICHE CANAGLIE & NATIVI (digitali?)

ESSERE o non ESSERE NATIVI (digitali ?)

L’abbinamento tra l’immagine del bambino e le diavolerie delle scoperte tecnologiche, non è una novità. Ovviamente i bambini, come componenti importanti della società, sono coinvolti in tutti i sensi da tutte le  diverse evoluzioni: da quelle del costume alla tecnologia, dalla dietetica alla moda, dalla condizione famigliare alla tecnologia ai gusti musicali, ai giochi e via dicendo.

Altrettanto ovviamente scatta il confronto tra l’altro ieri, l’ieri e l’oggi e insieme a questi si propone l’interrogarsi sul domani.
Oggi la questione dei nativi digitali assume una risonanza più estesa probabilmente perché più estesi e diffusi sono i media; e anche perché l’argomento piace e fa audience. Del resto fa audience anche occuparsi dell'abbigliamento degli animali domestici.

Staremo a vedere: per adesso accettiamo pure, tranquillamente e in pace, l’invasione dei soliti noti e degli esperti di turno che dilagano e dibattono: è inevitabile che accada.
Direi che possiamo smaltire anche questa fase. L’umanità ha robusti problemi di cui potrebbe occuparsi, ma se preferisce interrogarsi sul nativo digitale lo farà comunque. Il trendy è trendy e lo show deve continuare.
Sono stata recentemente invitata da una mia nipotina alla sua festa di compleanno, con tutti i suoi amichetti, che si è regolarmente svolta da MacDonald’s: trendyssima.
Ne sono uscita lievemente frastornata dal loro furibondo entusiasmo, ma felice; mi è venuta voglia di leggerezza, di empatia serena: questo mi ha fatto spunta nella mente un parallelo che trovo soavemente ironico e divertente tra i ragazzini di adesso ed il bambino simpatica canaglia
Spanky , alle prese, insieme alla sua banda, con la “sua” rivoluzione tecnologica quella, per intenderci, della formidabile Ford, modello T.


Insomma la mia ipotesi è che siamo, o siamo stati, tutti nativi. Tutti  mutiamo. Alcuni dei NATIVI sono solo nati, altri ancora vivi, altri presentabili o simpatiche canaglia, parecchi contaballe, altri rompiballe e ciascuno ha i personali nativi di riferimento indispensabili; ma per quanto si parlerà ancora di quelli digitali? Lo chiediamo all’Unione dei consumatori? Anche no.