Archivi del mese: aprile 2021

Scuola non bella_d’estate

Anche i #prof hanno bisogno di pause.

Al di là di ogni altra considerazione di cui sono piene sia le nostre personali pagine e bacheche, sia i titolati giornaloni importanti, c’è una riflessione faticosa anche da dire, ma altrettanto vera.
Per la tipologia del suo lavoro il docente  vive  un rapporto di relazione quotidiano coi suoi allievi sia nella scuola in aula o in laboratorio, sia anche a domicilio. Tutta la sua attività dall’aggiornamento all’ideazione, dalla preparazione alla correzione (per tacere della valutazione) richiede un contatto continuo e a volte martellante con i nostri ragazzi. Sì nostri.
Non c’è docente serio a cui non sia accaduto di, come dire, “portarsi a casa” i pensieri, i dubbi, i problemi e a volte anche le ansie che questo lavoro comporta.

disegno paint di aula vuota.
di proprietà di Mariaserena Peterlin

Sarò breve: tutti gli insegnanti hanno bisogno di staccare per qualche settimana (non parliamo di “mesi” che non ci son più da tanto tempo).
E non parliamo di vacanze; parliamo invece di un tempo necessario a ricostituire una maggiore serenità, una migliore riflessione che porta anche beneficio al lavoro dell’anno successivo.
Un rapporto continuo, reiterato e soprattutto ininterrotto con gli allievi piccoli o più grandi non giova a nessuno, anzi danneggia tutti.
Rischia di crearsi una sorta di relazione pseudoamicale da precettore in casa nobile, da Tata-badante, da complice cameratismo. Insegnare non è questo.

NON va bene.
Caro ministro e soci, stata sbagliando tutto.
Ovvero: state lavorando per voi, non per noi, non per gli allievi.
I docenti, come noto, non possono permettersi le “vacanze da sogno”, ma giustamente sognano un periodo estivo di rammendo, di ricucitura e di rinnovamento per la ripresa del loro slancio, per riequilibrare la loro serenità professionale.

Ma voi volete una scuola badante.
E allora confermo: sbagliate e non solo: la offendete.

Metti, un’#estate a #scuola.

L’ultima pensata del miur sulla frequenza estiva (qualunque e comunque essa sarà) dovrebbe suscitare, almeno, più di una perplessità.
La domanda minima di base che dovremmo farci è se ci siano già progetti utili e strutturati dedicati al tempo estivo e soprattutto se ossia che ci siano già tutor, educatori o docenti formati allo scopo di dar vita e forma a una “scuola” d’estate.
E dovremmo chiederci se tutto questo nasca da una riflessione seria e non da slanci opportunistici e dettati da velleitarie improvvisazioni volte a mietere consensi elettorali.
Non lo escludo. E almeno una qualche perplessità vorrei coltivarla.
Se è vero che:
A) stiamo accettando, per necessità certo, l’idea che i nostri bambini e ragazzi, dalla nascita in poi, siano accuditi da un sistema che non è la famiglia.
B)sappiamo bene che la vita dei genitori è indubbiamente vessata da impegni improrogabili per la sussistenza
C) è necessario che i figli siano spesso “affidati”: a baby sitter, a nonni, alla scuola

allora possiamo anche liberamente riflettere sul fatto che il rapporto tra un “umano” da zero a 17 anni viva almeno l’80% del suo tempo con persone altre dall’ambito genitoriale.

E che queste persone, altre dalla famiglia, pur essendo le migliori possibili e immaginabili finiscono per avere un rapporto che non assomiglia, che so, a quello che la natura mostra nei commoventi documentari su mamma-gallina con i pulcini né quello di mamma-orsa coi suoi cuccioli, o mamma balena eccetera eccetera.
E vorrei sottolineare che tutto questo non lo affermo in una accezione esclusivamente negativa, anzi.
Può certamente capitare che un umano da zero a diciassett’anni si trovi a contatto con adulti educatori/intrattenitori/docenti assai migliori della famiglia di origine. e questo succede già non troppo di rado.
Tuttavia siccome ho letto tanto Isaac Asimov comincio a pensare che la prossima tappa sia un rapporto bambino-robot.
Ossia vedo sullo sfondo Gloria e Robbie: Gloria la bambina che, cresciuta felice dalla sua governante- robot, non seppe rinunciare a lei fino ai quindici anni, e Robbie, l’impacciato ma velocissimo, protettivo, paziente robot che rimase con lei nonostante la famiglia cercasse di farglielo dimenticare. E le salva addirittura la vita in una circostanza in cui nessun umano sarebbe riuscito a intervenire in tempo.
Gloria teneva avvinghiate le braccia al collo del robot in una stretta che avrebbe soffocata qualunque creatura che non fosse costruita di metallo, e continuava a balbettare frasi senza né capo né coda, con una frenesia quasi isterica. Le braccia di acciaio cromato del robot capaci di piegare in cerchio una sbarra di ferro dello spessore di sei centimetri – stringevano bambina delicatamente, amorosamente e i suoi occhi splendevano di un rosso intenso.”E va bene” disse la signora Wetson [la mamma] penso che potrà rimanere con noi finché non sarà arrugginito.” (Isaac Asimov: I Robot)

A volte le metafore ispirano.

di #Dad e altra comunicazione(ovvero quello che pseudoesperti non dicono)

Quando il solito opinionista o virologo-tuttologo o, per dirla alla svelta, il solito Cecchi Paone, esterna con emozione, durante la conferenza col presidente Mario Draghi che :

la Dad non è #scuola!” “Ho fatto lezione a fantasmi!
bisognerebbe distinguere se stiamo ascoltando da una di queste fonti:

A.  una comunicazione competente di un esperto di didattica, scuola, apprendimento
B. una comunicazione espressa in funzione conativa da un esperto di promozione della propria immagine.

Infatti grandissima parte della relazione comunicativa che attualmente consideriamo attendibile e riceviamo, e quasi tutte le le relazioni interpersonali in cui ci intratteniamo  è trasmessa tramite media e, in percentuale probabilmente maggiore, dai social.
Perciò se la Dad non è scuola allora nemmeno una informazione “scientifica” (tipo Bassetti, Burioni & soci) o una esternazione di comunicazione “giornalistica” come quelle di Cecchi Paone, di Palombelli o di altri affini che non considero nominabili, sono vere e credibili, funzionali allo scopo che essi stessi si prefiggono.
Il limite vero della Dad è che la sua applicazione in corpore vivo della scuola è stata, solo per colpa della pandemia (sia chiaro) improvvisa, non sostenuta da mezzi adeguati e sovente improvvisata.
Aver costretto docenti ultrasessantenni a rimanere in cattedra oltre l’età tradizionale ha coinvolto alcuni anziani già parecchio esperti ma anche altri restii alla tecnologia.
Aver calato, o meglio aver necessariamente calato, pandemia e Dad sul lavoro quotidiano di insegnanti più giovani, ma non sempre con una formazione sulle tecniche di comunicazione e gravati anche da problemi di figli e famiglia, spostamenti e convivenze con altri membri della famiglia in smart working non ha certo aiutato.

Ma quello che è certo che nella stragrande maggioranza dei casi il corpo docente della nostra scuola ha davvero lavorato con valoroso spirito di servizio e si è dedicata ad arginare al meglio la tragica realtà in cui viviamo.
Certamente le famiglie hanno anche loro grosse difficoltà nella gestione dei figli.MA tutto quanto sopra non può portare alla conclusione, offensiva, strumentale e malevola che “la Dad non è scuola”. Perché?
Perché, insisto, allora dovremmo anche concludere che:

1) il cyberbullismo non è bullismo
2) le ricette via email del medico di famiglia non sono ricette
3) gli innamoramenti nelle chat di incontri non sono innamoramenti ( ma a volte fanno cose o si sposano)
4) le ricerche su wikipedia sono finte
5) Google maps ci porta tutti all’Inferno
6) Se prenoti qualcosa da web stai giocando alle signore
7) Amazon è una specie della tombola di Natalee
8 ) il CTS spara cavolate dal profondo
9) le conferenze stampa di Draghi sono un giallo su canale 38
10) Bassetti e gli amici suoi sono Pietro Gambadilegno e la Banda Bassotti.

PS: sui bitcoin invece non so e non mi esprimo, ma se li propongo al fruttarolo mi insegue con la cicoria in pugno.

Di scuola e di maestra

Ero là, col fiocco blu, il grembiulino bianco di bianco, cucito dalla mamma; nella foto io sono la terza alla sinistra della maestra.


Guardo sorridendo la mia maestra, la maestra Laura, che aveva gli occhi verdi, i capelli neri e la carnagione rosea, sorrideva sempre e indossava sempre, anche lei, un grembiule, nero, di rasatello lucido, che esaltava la sua figura alta, snella, proporzionata.
Di lei ricordo anche la voce, di lei mi piaceva tutto.
E mi piaceva la sua scuola.
Il voto? a volte una V maiuscola che significava “visto”.
Altre volte un avverbio: bene, benino …
O anche un voto, a numero.

Nulla, tuttavia, contava più della voce della Maestra. Il suo tono trasmetteva tutta una gamma di messaggi molto più intensi del significante, della parola stessa.
E le sue mani, che a volte raddrizzavano un fiocco, altre volte guidavano le nostre mani piccole e impacciate oppure indirizzavano, descrivevano, indicavano.
La scuola è relazione, è messaggio. Sono segni, quelli della scuola, che incidono e segnano in modo permanente.
Certo questo è il suo bello, ma anche il non bello.
Quel periodo, quel solo anno con la maestra Laura fu bello e ancora lo è.