Archivi del mese: novembre 2020

Ma Maradona era migliore di molti di voi

con negli occhi amore

E adesso anche il moralismo chic contro #Maradona?
1) Strano modo di benpensare: fino a ieri dire che drogarsi è sbagliato e mostrare riprovazione per chi lo facesse significava essere catalogati nei bacchettoni borghesucci e, casomai, pure bigotti baciapile. E si distingueva fino alla disanima della sostanza più o meno pesante, nociva eccetera.
2) Strano modo di benpensare, fino a ieri, inoltre, non esigere fattura, pagare in nero, acquistare di frodo roba di dubbia provenienza ed evadere il fisco era un modo per difendersi dallo stato rapace, e chi non lo fa è gonzo; e danneggia l’artigiano. (BOH!)
3) Altro benpensare? Fino a ieri l’osservare con disincanto un filo scettico chi delirava per una squadra di calcio e i suoi divi, Messi, Ronaldo o Picopallino significava essere sfigati che non capiscono che il calcio è essenziale come la scuola o le cure antidepressive e il bacio della mamma per il soldato che va in guerra. Poi abracadabra!
Poi muore a 60 anni Diego Maradona: e allora si sollevano reazioni opposte, nessuna condivisibile a mio avviso, e indegne perfino della morte di … beh lasciamo perdere visto che Vespa scrive indisturbato e viscidamente lodato del duce e del fascismo, che schifo.E cosa accade?
A) I neo-tigrotti dell’antidroga condannano Maradona come un debosciato rubapalloni, come uno che tirava più di coca che di palloni e je danno giù di litanie sui danni mortali della droga e pessimo esempio per i giovani, traviamento di generazioni da Baudelaire ai giorni nostri. (Ma come? prima non faceva perfino figo?)
B) Gli ex solerti e azzimati giustificatori dell’evasione che compravano perfino roba alleggerita dalle case altrui si trasformano in censori e poliziotti del fisco e condannano Diego come il peggiore degli evasori del pianeta, da Catilina (casomai) ai nostri giorni.
C) E i tifosi pro Diego celebrano dissennati e furibondi riti di massa aspirando le fiatate di scalmanati possibili positivi al covid come se fossero voluttuosi incensi della reggia di Cleopatra.
Curatevi tutti, non state bene.
Credete a me. Addio Maradona, così, a naso (no meglio dire a spanna) eri certamente migliore di tanti, se non tutti loro.

non giudicare

c’è solo un posto, il mio

Il nostro tempo, la nostra società italiana sono malati di opinionismo. Dobbiamo sempre dire qualcosa su tutti e tutto.
(Non mi esento, lo ammetto).
Siamo sempre pronti a sentenziare, e se abbiamo combattuto (ma chissà?) contro il vecchio “principio di autorità“, contro l’ “Ipse dixit” ci comportiamo, probabilmente, come se lo avessimo fatto non solo per detronizzare un principe tiranno ma anche per sostituirlo con il nostro Io.
Di contro vige un altro principio quello del relativista che provo a sintetizzare con il noto assunto: “tutti colpevoli nessun colpevole”.
Ecco, lo ammetto: mi danno disagio sia l’opinionismo che il relativismo.
Mi sento estranea e mi dà ansia che non si sia disposti a condividere pochi essenziali orientamenti come quello di cercare il buono anche dove non lo vediamo, forse a causa di una nostra miopia, e di guardare all’altro, chiunque sia, come un uguale.
Si fa presto a dire “siamo tutti sotto lo stesso cielo”: ma il posticino migliore? A chi spetta?

“La dad non danneggia i migliori, ma certo gli altri…”

Anno 1953 : guardando la foto io sono la terza, di profilo, al fianco sinistro della maestra

La frase citata è stata pronunciata da una insegnante intervistata durante un servizio del Tg1. A quanto pare per la nostra scuola ci sono ancora i migliori e dunque i peggiori: come si “misurano”?
Corrono tempi nei quali anche le consuete unità di misura non dovrebbero valere, e si dovrebbe mettere al primo posto, prescindendo da tutto, il valore della persona.
Sebbene mi sia chiaro come su questo argomento le interpretazioni siano molte e diverse, a volte a mio avviso fuorvianti, ritengo sarebbe corretto difendere almeno il valore di tutte le potenzialità di una vita volta al futuro cioè quella dei bambini, degli adolescenti.
Per una ragione che la scienza spiega a suo modo, e che a me piace trovare invece nella purezza cristallina di una esistenza che inizia, sono convinta che la pandemia risparmi in modo clamoroso i bambini per ragioni non razionali o scientifiche, ma per ragioni forse in parte misteriose, ma dense di speranza. È alla speranza che ci rivolgiamo come a una dea, perché dunque non darle il respiro che cerca anche l’affannato che rincorre la vita temendo di perderla.
Ecco dunque la premessa.
Eppure non ci basta.
Eppure sento e leggo purtroppo insegnanti che pensano in maniera retriva, ostile, repressiva.
La dea Speranza appare, in questi numerosi casi, sopraffatta dall’idolatria del Merito. E a quell’idolo occorrono i riti della sottomissione, del silenzio, della violenza che piega.
Alla mia presunzione (?) basta una frase pronunciata da un insegnante intervistato in tv:
I migliori non subiscono danni dalla didattica a distanza, ma gli altri invece sì ” per sentire scricchiolare le fondamenta della scuola e dell’apprendimento. Contesterebbero forse, giustamente, i maltrattamenti contro gli animali, ma non considerano un maltrattamento grave contro l’infanzia procedere alla classificazione, alla definizione e, conseguentemente, al giudizio.
Migliore – Peggiore.
Certamente perché se qualcuno è considerato migliore ne deriva certamente che esistano i non migliori, ovvero i peggiori.
Come si sentirà un allievo non migliore?
Penserà forse che quel maestro, quella professoressa si occupi di lui? Sentirà che può dialogare, esprimersi ed aprirsi?
Sono concetti vecchi come il cucco. Ma il cucco non muore, anzi riciccia.
La situazione attuale ci mette di fronte a scale di valori, a riflessioni e scelte.
Penso che possa metterci di fronte anche a riflessioni su come superare il vecchio, e a far progetti necessari.
Proposte
Rendiamo concreta la possibilità di dar voce a una didattica a-dogmatica, aperta, che si interroga, che si mette in discussione; un modo di insegnare che nel momento in cui ottiene il risultato già guarda oltre.

rispettare il piacere di leggere nell’infanzia

Impariamo dalle nostre radici, e anche dal ventaglio delle ipotesi e dei dubbi: se so di non sapere nulla di definitivo allora continuerò a  cercare soluzioni.

L’insegnante può, o meglio dovrebbe, essere come un artigiano, se ha un talento e fa esperienza.
Il talento è un dono che senza l’esperienza e la pratica s’inaridisce. Il dialogo e la riflessione sull’esperienza arricchisce tutti.

Gioire dei successi è una tappa di ristoro, ma imparare dall’insuccesso è progredire nel cammino.

Scrivo quanto sopra condividendo riflessioni maturate nell’arco di anni di pratica attiva di insegnamento. Sono pensieri non dottrine.
Per riflettere invece su possibilità e limiti della didattica a distanza trovo un utile e pragmatico contributo in uno scritto di Gianni Marconato:
I limiti della didattica in sola presenza:

Contro quella #scuola #migliore_in_classifica

Non mi ricordo nemmeno quando sia iniziato questo ritorno all’oscurantismo pedagogico. Mi pare da Moratti. Certo Gelmini ci mise sopra una quota allucinante di genuina ignoranza. Ma in troppo pochi l’abbiamo denunciato.
Penso sia accaduto proprio che il ritorno all’oscurantismo sia iniziato da quando si è cominciato a diffondere un virus (usiamolo questo termine) : quello del persuadere perfino gli insegnanti che la #scuola dovesse esaltare il cosiddetto #merito e nel contempo, ma forse proprio per questo, essere diretta come un’azienda. E via coi ds.
Peccato che una Azienda lavori e generi prodotti, di solito conformati a un modello, mentre la Scuola deve lavorare in funzione sociale e di crescita di esseri umani.
Naturalmente so bene che questa definizione è imperfetta.
La scuola è, infatti, relazione, la scuola è dialogo.

Su può scegliere di stare dietro alla lavagna, per scelta o per depotenziare uno strumento che può essere simbolo, ma anche livella

Perché se non ascolti non insegni.
Se non ascolti non impari.

La stupida e classista direttiva di valutare secondo metodi oggettivi genera risultati non solo scadenti, ma addirittura nocivi.
Gli allievi, di qualunque età, non sono prodotti da sfornare conformati a modelli (come carburatori, abiti, profumi, pagnotte, uova o navi mercantili).
Gli allievi sono persone, sembra banale?
Ma se non si vuole morire di inutile noia reciproca è necessario vivere la scuola nella convinzione che ognuno insegna/impara non in modo oggettivo (che poi non significa proprio niente!) ma in modo diverso. Fratelli diversi.
Solo che questo ragionamento cozza contro la prassi, contro il conformismo, contro il classismo.
E soprattutto contro la #meritocrazia.

E siccome questo modello sociale, contro cui non smetterò fino all’ultimo respiro di resistere, chiede non vivacità e pensiero, ma invece conformismo, passività, abitudine e quiete sonnolenta della ragione, allora questo modello sostanzialmente classista e antidemocratico trasforma i cervelli pensanti in tubi digerenti e consumatori.

Chi consuma si annoia.
Chi costruisce si diverte. Dunque vietato costruire!
Il divertimento, infatti, non lo possiamo decidere noi, tanto meno se uguale per tutti.
Dovremmo quindi tutti odiare la scuola che vince classifiche (ma a quale prezzo?) e viene valutata (ma come poi?) e classificata come la “migliore”.