La linea contemporaneista di una certa didattica arrembante e modaiola e alla quale non solo la cosiddetta Buona scuola renziana, ma anche il mercato dei supporti elettronici hanno dato valido incoraggiamento, sostiene che la lezione frontale sia desueta, che la didattica di quelli che ancora se ne avvalgano sia ormai inaccettabile vezzo di incartapecoriti docenti.
E tanto per rimanere sulla scia di eleganti ed elevate premesse potremmo anche rispondere: allora quegli incartapecoriti mollateli, lasciateli andare a riposo.
Ma no, niente da fare, prevale la convinzione che il pensionato sia un parassita e che il suo contributo in cultura (che noia, che barba), in lavoro e in versamenti Inps sia ormai scaduto ciarpame: dunque deve esalare l’estremo respiro in classe.
Ma questo è altro tema.
Attuale e pertinente è invece la didattica dei supporti mediatici, dei tablet e del cellulare per tutti in classe. Bambini compresi.
Ma com’è bello stare in classe col collo piegato verso il display invece che drizzarsi, anche se non per tutti con entusiasmo, ad ascoltare una lezione di 20-25 minuti e a cui seguano domande di chiarimento, qualche interrogazione, forse perfino una piccola discussione a confrontar le idee.
Ma come è bello indirizzare gli alunni verso una baby cervicale invece che adoperarsi per far aguzzare gli occhi e aprire le orecchie alla voce del docente.
Già, pare vero.
E tutto questo rinunciando all’attenzione necessaria ad ascoltare; senza contare che i nostri ragazzi, privati sovente e fin dalla tenera età del fascino (lasciatemelo chiamare così) dell’ascolto della voce che narra, racconta, esorta, insegna sono comunque già pesantemente indotti al rapporto passivizzante col mezzo (o media che di si voglia).
Dal canto loro gli insegnanti troppo legati a una tradizione o a una modalità non mediatizzata sono considerati raggrinziti triceratops degni solo di estinzione.
L’assunto vincente e condiviso è: ciò che è attuale è giusto mentre ciò che deriva dalla tradizione è per ipotesi sbagliato. La mediazione? Impossibile.
Invece no; invece difendo la lezione frontale fatta come si deve per il semplice motivo che non io sola, ma quelli che ne hanno fatto pensosa e faticosa esperienza sanno bene come proprio quelle lezioni e quei dialoghi maieutici abbiano formato anche noi trascinandoci ad amare il sapere, il conoscere, il ricercare quotidiano di risposte, il porsi dubbi lungamente vissuti.
Quelle lezioni ascoltate prendendo voraci appunti, hanno lasciato impronte incancellabili in noi perché rappresentavano la trasmissione di conoscenza da gente di studio, dai nostri docenti, dai nostri maestri e quando, bambini o adolescenti o giovani universitari, ascoltavamo quelle voci ci accorgevamo che tracciavano, agganciandosi a noi, scie di parole preziose il cui suono ancora riusciamo a sentire e, nel silenzio del nostro cuore e nella vita della nostra mente, hanno lasciato tracce che ripercorriamo cerchiando ancora risposte, riflessioni, spiegazioni di questa realtà attuale.
Io stessa ho ancora con me le voci dei miei maestri, dalle elementari all’Università: voci assorbite con avidità, ascoltate con passione, amate per sempre. Guide verso quel futuro che ci ha spesso deluso, ma ancora attendiamo senza troppa amarezza.
Naturalmente parlo di bravi insegnanti, di bravi prof.
Questa riflessione è stata scritta dopo aver letto, su fb, un post che condivido pienamente del prof Dario Pellini .