Archivi del mese: settembre 2018

I SICARI DEL FUTURO attaccano lo studio

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I SICARI DEL FUTURO fabbricano schiavi e sostengono: #scuola e #università non servono.

Ieri sera ho sentito (su la7 da telese/parenzo e come ti sbagli??) un tizio, tale Alberto Forchielli, che ha scritto un libro con un titolo volgare e cafone, che non trascriverò, sottotitolato “lettera ai giovani”. Il suddetto Forchielli, davvero insopportabile e orribile in pari grado al titolo del suo libro, ha sentenziato che la scuola “non insegna niente”, che l’Università rilascia “titoli di studio inutili” e che gli unici studi “utili” sarebbero informatica e analisi dei dati, questo consiglia ai giovani che, a suo dire, lo contattano su Linkedin quotidianamente.
Ora non si dovrebbe nemmeno replicare. Ma bisogna; la questione è spaventosa.
E che l’unico a replicare sia stato il direttore de “La Verità”, blandamente, ma non troppo, sostenuto da un sociologo come Domenico de Masi, peraltro preoccupato piuttosto di sponsorizzare il suo libro ( e come ti sbagli?? bis) mi sembra tragico, drammatico, grottesco, e senza speranza.
Aiutiamo i giovani per favore, non lasciamo che si dica : niente Filosofia, niente, STORIA (!), Musica, Arte, Letteratura, Geografia, NIENTE Economia, Astronomia, Scienze!! Si salveranno Matematica e Fisica? No, se non si dimostrano “utili”.
Opponiamoci a questa spazzatura cafona, aggressiva, malefica, mortale.

E dunque mi permetto di formulare una ipotesi rivolgendomi ai docenti e a quanti si occupano di Istruzione: e se smetteste, docenti, di lamentarvi del vostro stato/condizione e iniziaste finalmente a sostenere la scuola e l’istruzione in se stesse? Sono troppo pochi a farlo seriamente.
Tutto è perduto, altrimenti. Non c’è da scherzare, l’influenza dei media è potente.

Tra #ponti, stadi e #sfratti vince il liberismo

sciopero-610x350Per la mia ostinata incapacità di accettare per buone le verità rivelate, specialmente quelle correntemente diffuse, non riesco a impietosirmi né per le masse (che non voglio qualificare) che tifano per ‘o stadio de ‘a Roma, né, e so che scandalizzo molti se non tutti, per chi sia senza tetto non per reali problemi fisici o di mancanza di lavoro ma, in un certo senso, per sua scelta. Mi impietosisco per chi lascia la vita sotto le macerie ingrassate dal profitto, ma non mi commuovono per niente per le parole alate, secondo me velatamente arroganti, di Renzo Piano che costruisce modellini, ma poi delega agli Ingegneri la costruzione e tutte le responsabilità che ne conseguono.
I morti ci sono, ma nemmeno i preti li piangono, il cardinale di Genova, per dirne uno, ri-lancia lo slogan : “Genova risorgerà più bella e superba di prima…” Bravo, grazie, prego, scusi. Ma i morti non risorgono, e se risorgessero farebbero bene ad andarlo a cercare, possibilmente di notte disturbandone la digestione.
Ma tornando ai senza tetto allontanati dagli stabili abusivamente occupati, posso dire che ognuno valuta le cose anche in base alle proprie esperienze di vita.
Per questo mi sento di affermare che ho girovagato per Italia e dintorni fin dall’infanzia seguendo mio padre che cercava lavoro nel dopoguerra; e nel dopo anni 60 ho cominciato a girovagare per mio conto sempre “appresso” al lavoro. e che con quel lavoro pagavo affitti che si mangiavano quasi tutto lo stipendio. Meno male che si lavorava in due (pessimi esempi per gli attuali standard coniugali, no?)
Penso che le eventuali fatiche, se così vogliamo definirle, che abbiamo fatto noi, o io, qui di casa e famiglia, non siano tali da non poter essere sopportate da molti.
Dunque non mi piace che si reclami il “diritto alla casa” prima di un eventuale reclamo di “diritto allo studio”, “alla ricerca”, “alla fatica” o al “Lavoro”. Tutti diritti, quelli appena enunciati, che si realizzano anche patteggiando, rinunciando a qualcosa non sempre inutile o semplicemente dandosi da fare.
Ora se è corretto denunciare se si mettono i bambini per strada allora ammettiamo che sia anche per lo meno corretto denunciare chi li ha fatti vivere tra i topi.
Ci sono strade e itinerari di vita indubbiamente  faticosi a volte fino allo spasimo, ma prima o meglio prima di arrendersi all’abusivismo, all’arte di arrangiarsi, all’illegalità bisogna almeno tentare di percorrerle.
Ho apprezzato e voluto bene, anche se solo a distanza, ad una giovane donna sfrattata che diceva in una intervista tv: “non è che una non vorrebbe camminare con le sue gambe “(ecco il camminare, il percorrere di cui parlavo sopra) “ma se ti chiedono 600 o 800 euro per l’affitto non ce la fai.”
E allora questa è dunque, a mio parere, la dura verità, questa è la causa degli orribili modi di escludere: è stato abolito lo stato sociale, è stato tolto valore all’istruzione, si è lasciato che il liberismo peggiore abbia preso possesso (per dirne una) perfino della gestione degli affitti (ma potremmo parlare di sanità, di urbanizzazione, di strade e autostrade, di industrie). Ma abbiamo (hanno i sindacati in primis) accettato che si applicassero affitti liberi, in nero, esosi fino al parossismo. E non si ascoltano o appoggiano le lotte dei lavoratori a cui la cosiddetta sinistra è ridotta ha chiedere scuse tardive se non ridicole. 
Ci sono, d’altro canto, brave persone che non chiedono “la casa aggratisse”, che non dicono “dove vado se non occupo?”, ma chiedono giustizia sociale.
Tutto il testo, consentitemi la volgarità per una volta sola, mi fa pensare a un’applicazione demagogica del “rutto libero” fantozziano. Parole sudice che escono da pessima digestione.
E concludo.
Totti, vigoroso paladino del nuovo stadio della Roma, mi era simpatico, ora meno.
Il popolo lo amavo, ora quello da stadio non lo sopporto.
Le cose serie sono altre.

Riflessione narrativa inconclusa, 2009

Molti sono gli incipit, pochi i finali

via Cristoforo Colombo

Nella stanza ancora buia finalmente arriva il rumore dei primi autobus che iniziano il servizio e tracciano nell’aria umida linee nere e per terra segmenti irregolari lucidi. Suoni vitali.
Il vuoto notturno si riempie respingendo il silenzio nel suo ruolo ormai marginale. Il vento porta il fruscio meccanico della Metropolitana che, in quel tratto, corre.
Corre all’esterno trascinando carichi umani.
Nella sua testa tutto ricomincia ad assumere fisionomie piacevoli e a trascinare suoni intrecciati a musiche.
Il vicino inizia la sua giornata aprendo la doccia che scroscia brevemente. Poco dopo per le scale le porte si aprono e chiudono e l’ascensore fila gemendo lungo le sue corde d’acciaio.
Adesso i rumori continuano sempre più frequenti e vari.
Le case si vuotano e la vita scorre all’esterno.
Marciapiedi e strade, cartelli pubblicitari e nomi di strade, fari e stop rossi, vetrine, edicole, bar.
Qualche bicicletta dirige a fanali spenti verso il centro oscillando corpi grigi con le teste incassate tra le spalle. Tutti uguali.
Marciapiedi e pozzanghere, asfalto scassato e pneumatici balzellanti, veicoli in file irregolari, moto zigzaganti.
Gente entra: Cappuccino, caffè e cornetto, briciole per terra, fazzoletti di carta, risata rauca, voce inquieta: presto presto presto!
Di notte tutto ha angoli retti e luci perpendicolari. La notte è attesa, è piatta ombra attraversata da schemi mentali che disturbano i sogni; sono strisce irregolari alla finestra, è cielo violaceo, sono scie di aerei con i fari accesi.

Ora le linee e gli angoli si fanno obliqui come la luce scarna del sole, dinamismo di corpi sbiechi meccanici, moto diagonale irrequieto a testa bassa, fumo di sigarette spezzate e gettate alla fermata.
Bambini nolenti ma impacchettati in auto nervose che procedono a balzelloni.
Passi rapidi, impazienza, rumori ritmati e picchiettanti: è in ritardo anche stamattina!
Maddalena attende brevemente e sale svelta sul suo autobus. Prende solo una linea, da capolinea a capolinea, si mette le cuffiette ed accende l’Ipod.
Antonio sale in auto e parte veloce, il suo è un percorso lungo e che si ingolferà all’incrocio con il Raccordo anulare.
Gianna infila i bimbi in auto, lavati e profumati: lei si trucca e pettina guidando nervosa, ma parla con loro tutto il tempo fino al portone dell’asilo. Non è una che se li dimentica in auto.
Paolo invece si sveglia da solo per andare a scuola. Trema inquieto nella camera fredda, infila jeans, maglietta e giubbetto, ha la nausea. Nottata distruttiva. Si butta fuori casa con lo zaino; sale sul motorino di Andrea che passa a prenderlo. Se ne vanno con il casco indossato al contrario, alto sulla fronte, via verso scuola.
Via via.

(non c’è nessun problema né senso)