Archivi del mese: settembre 2017

Diario antico 2 : Scuola è relazione

Ricostruisco, a ritroso, passi nella vita di scuola.
Copia di TERZA_a4_2003-AQualche volta siamo anche senza sedia alla cattedra, altre volte senza riscaldamento oppure mancano non la lim, ma le carte geografiche (“Professoressa la chieda lei al laboratorio di geografia; ma deve firmare ed assumersene la responsabilità!”).

E poi lavoriamo in aule tristi e sporche perché le imprese di pulizia hanno a contratto solo di spazzare o pavimenti, ma non di lavarli; e la cura dei vetri delle finestre data in appalto ad altre ditte e quindi, di fatto, mai puliti per anni, l’acustica pessima e la voce in affanno, una realtà sostanzialmente scomoda, e i bidelli (con qualche buona eccezione) di regola appollaiati nelle loro guardiole difese come fortini :

  • Io? io devo sta’ qua! Vada lei professoressa!
  • Ma mi serve solo questa fotocopia e non posso lasciare la classe” o “Mi hanno convocato in Presidenza!”
  • Io ho l’ordine di non muovermi (e il giornaletto o la settimana enigmistica che spuntano dal cassetto chiuso in fretta).

Eppure anche questa era ed è scuola. E non bastano i post dei nuovi insegnanti su social forum, che si rallegrano per le nuove applicazioni, ma continuano a deplorare i malfunzionamenti e i sovraffollamenti, a farmi cambiare idea. È scuola. Per questa ragione porto in classe, e dovrei aggiungere poco elegantemente incollandomeli, nonostante le vertebre recalcitranti, anche i pacchi pesanti ed enormi dei giornali del mattino. Chili di carta stampata, tra cui scegliere e commentare articoli, ma che sovente diventeranno, dopo la mia ora, palloni da lanciare durante la ricreazione: il progetto “Quotidiano in classe”. Nella foto si può notare il grosso pacco sulla sedia in prima fila.

Perché? Perché insegnare (per dirne una sola, parziale, definizione) è relazione tra persone, e non rappresentazione della relazione stessa.

Diario antico 1 : Insegnare e rasserenare

.V A 2004 001

Inizio qui un diario alla rovescia; è cominciato un nuovo anno scolastico, e forse ho qualcosa da dire. 

Accadeva spesso di lunedì: un giorno banale, per ricominciare.
A scuola era il giorno della ripartenza: e non era meno faticoso che altrove.
Però qualcosa scattava quando sul marciapiede della mia scuola avvistavo gli indecisi (“no, oggi non entriamo”) o sentivo le risse verbali sulle sorti della Roma o della Juve. Qualcosa iniziava a farsi strada nei miei pensieri se vedevo pochi stracchi colleghi quasi ciabattare verso gli scalini o alcune delle colleghe, beate loro, ancora pimpanti in tailleur e messimpiega fresca ticche-tacche sgonnellare nei corridoi.

Era allora che sorridevo e spolveravo il cuore e la gola per trovare qualche nota ben accordata ed entrare in classe a modo mio.

Una volta chiusa la porta dell’aula tutto cambiava.
Il senso del viaggio e dell’esperienza di vita mi invadevano; mi sembrava di ricominciare un cammino che nessuno aveva diritto di interrompere.
Mi sembrava che tutto potesse essere superato e che la nuova tessitura ben ordinata stesse per iniziare. A volte le interruzioni arrivavano: erano i ragazzi ritardatari o le circolari incomprensibili del dirigente scolastico.
Piccole noie trascurabili, come quelle che infastidiscono qualunque lavoro.
In quell’alchimia io credevo; e mi elettrizzavo in quella euforia di rimbalzi e rimpalli di pensieri che si genera quando le menti si incontrano e i sentimenti si accostano anche senza lasciarsi palesare.

Credevo anche in una mia pragmatica utopia: i miei ragazzi erano di fronte a me, e avrebbero comunque appreso qualcosa, non li avrei lasciati esenti e indifferenti e, anche se non coinvolti, non li avrei tuttavia lasciati immodificati.
Almeno un pensiero, un dubbio, una reazione la avrei suscitata. Altrimenti perché sarei rimasta là, in aule appannate dalla polvere e dal sudore, a spiegare per lunghe ore mentre la voce si incrinava e le speranze si impennavano in una ansia crescente?
Perché coltivare l’illusione che indurli a scoprire, ognuno dentro di sé, strumenti e talenti che non immaginavano potesse rasserenare e renderli più forti, e non far pensare solo alla scadenza del quadrimestre e del pagellino?

 

Tristezza, vai via

tunnelSono molte le cose che, col passare del tempo, si perdono. E anche se altre se ne acquistano, alcune di quelle perdute lasciano un senso di vuoto incolmabile.
Mi riferisco, questa volta, al senso di smarrimento che provo quando, leggendo opinioni o anche solo ascoltando alcune delle nuove o nuovissime leve, mi accorgo che non si crede più a nulla.
Devo spesso, infatti, costatare che il coraggio è stato sostituito dall’individualismo, la passione e l’amore dall’attrazione effimera, la sete di conoscenza dal sapere “utile” (non si sa bene a cosa), il gusto del bello dalla vanità, l’affetto sincero dalla coltivazione di interessi personali, la voglia di crescere da quella di sistemarsi, lo slancio per costruire da quello per possedere.
Insomma so che non bisogna generalizzare; e non generalizzo. Ma non mi basta veder buttare sul vassoio qualche esempio di “angeli del fango” o di “eroi che estraggono dalle macerie”, per farmi trangugiare la grigia sbobba delle miserie morali quotidiane che tutti conoscono, né posso accettare la passiva acquiescenza a questo presente triste, triste, triste e che si pasce, caso mai, di pay tv più qualche sintetica consolazione.
Miti ed eroi sono morti? Imprese e scoperte sono inutili?
Beh forse non si vive solo di elemosina, ma, diceva un tale, per seguir virtute e canoscenza.
Enfasi? Meglio quella che la tristezza.