Archivi del mese: ottobre 2016

Quello che il terremoto si porta via

salaria_piccinini06Dopo la spaventosa scossa di questa mattina nelle tv continua, enfatico, il macerie-show (che più macabro e spettacolare non potrebbe essere) naturalmente intervallato dalla prescritta pubblicità. Più strazianti sono le scene: la carrozzina dell’invalido spinta a passo di corsa, donne e uomini sotto choc che non sanno dove andare, le suorine  che scappano in frotta come rondini in fuga dallo scoppio di un fucile, le persone inginocchiate davanti a una basilica crollata, le mani sul viso di chi nasconde le lacrime, maggiore è l’attenzione suscitata e lo share vince.

Durante il macerie-show  si sottolinea, con grandi sospironi di sollievo, che non ci sono state vittime.

Beh sì, non ci sono scappati morti, almeno fino ad ora; e tuttavia come non chiedersi che vita attende chi adesso è rimasto senza nemmeno un cambio di biancheria, senza le sue cose, senza casa, senza il suo paese e spesso senza il suo lavoro.

Parcheggiati in anonimi ma ospitali “hotel della costa”, cosa accadrà di questa gente dei paesi delle Marche, del Lazio, dell’Umbria che fino a poche settimane fa viveva laboriosa e fiera, silenziosa e parcamente ospitale, ma comunque bastante a se stessa, spesso arroccata sulle sue montagne e in paesi dove la vita non è mai stata facile, in piccoli borghi annidati come nidi di falchetti su rupi e nella vallate che quasi nessuno conosceva, ma dove forti e antichi erano i legami, le tradizioni, la vita sociale . Che ne sarà degli agricoltori di terre avare ma amate, di allevatori, di artigiani, di pastori dalle bocche silenziose e mani sapienti? Che ne sarà di quelle parlate dialettali ancora vive che potrebbero fare la fine di quelle lingue che più non si sanno?

Dopo gli abbracci di rito, dopo le comparsate di Errani, dopo le folgoranti visite premieresche cosa sarà di loro? Ci sono borghi che dicono che non sono ancora arrivate le telecamere né la protezione civile e i soccorsi; e non sanno nemmeno se mai arriveranno.

E quando il premier dice “ricostruiremo tutto” sapete tutti cosa intende? Normative, leggi, mutui, prestiti, ricostruzioni in attesa di eventuali rimborsi, regolamenti fino a ieri del tutto estranei a una popolazione che, giova sottolinearlo, era bastata a se stessa.
E allora io mi permetto di dire che anche il patrimonio artistico, peraltro fino a ieri praticamente sconosciuto alle masse (che ad Amatrice andavano per i bucatini e a Norcia per le salsicce o il pecorino), quel patrimonio di chiese, edifici, opere d’arte potrà forse essere restaurato almeno in parte, ma quelle vite di persone vive non saranno più come prima e in nessun modo saranno restituite a se stesse se non per quella parte che il coraggio e la fierezza personale potranno consentirlo.

Tanto più futile e scandalosa, dunque, a mio modesto avviso, sia l’esibizione di promesse “non lasceremo solo nessuno, tutto sarà ricostruito”, sia l’enfasi cafona per la cosiddetta Nuvola ieri inaugurata a Roma Eur; e non solo per il suo visionario-vanesio ideatore, ma per lo spreco che grida vendetta.

E chi quei luoghi conosce e ama spera, io spero, che vendetta ci sia.

La #rete oggi è una giungla

ragnatelaLa #rete, e non penso solo ai social, ci aveva dato possibilità nuove per comunicare. Per un certo tempo abbiamo pensato in molti che fare rete fosse un’opportunità positiva per intrecciare non solo idee e opinioni, ma anche proposte costruttive. E molti di noi si sono sentiti agili ragni architetti che contribuivano ad estendere la costruzione. Era anche, mi azzardo a dire, una forma di felicità speranzosa. In questa fase la rete e le frasi scritte sui social erano state tuttavia considerate con snobismo e distacco sia dai media tradizionali sia dagli addetti alle comunicazioni politiche e istituzionali. Insomma noi blogger e scrivani di social eravamo le cenerentole che sbirciavano nel mondo della comunicazione, ma non ne facevano parte e potevano solo immaginare, ma spesso non lo desideravamo, l’ingresso al gran ballo a corte a cui le sorelle grandi erano invitate.
Invece poi proprio loro, le Anastasie e Genoveffe, sorellone-sorellastre, precedentemente impegnate a sbatterci sul naso casato e ruolo, e che si erano prima prima infastidite, poi si sono incuriosite ed infine hanno messo il piedone pesante in un mondo che sono andate ad occupare da padrone, mentre prima ci era apparso libero e tonico.
Se prima noi cenerentole ci aggiravamo e sbattendo, un po’ incredule, gli occhi in una rete, lieve e senza presunzione, libera e a volte impertinente o ironica,  esente da sussiego e timori reverenziali, adesso ci sentiamo, in un certo senso, spiate e osservate, scalzate dai nostri fili prima ondeggianti e veloci.
La rete e i social sono oggi invasi dai profili dei cosiddetti vip di ogni categoria, di ministri che sembra non abbiano più né un ufficio stampa né una segreteria, di premier che tengono le relazioni internazionali e nazionali twittando o scrivendo su fB.
E la nostra rete? E il nostro, il mio spazio?
Finito. Niente di nostro e tanto meno di mio. Ogni nostra parola può essere sospettosamente vagliata e confrontata, da nugoli di ottusi Pierini zelanti, con quelle di numerosi grandi fratelli; ogni nostra immagine usata, ogni nostro pensiero giudicato e, perché no, anche scopiazzato.
Recentemente siamo all’invasione di vigili ranger da tastiera che perlustrano i nostri spazi e, dove occorrono, lanciano esche di troll pronti a inquinare una vivace o pacata discussione con provocazioni rissose e aggressive.
Era bella la rete in cui ci sentivamo fauna libera in progressiva esplorazione.
Era interessante la rete che appariva, per quanto mi riguarda, come una dinamica strada, pur non scevra da qualche possibile fastidio, ed incuriosiva per i suoi infiniti crocevia e opportunità di incontri e dialoghi;  era una piazza da teatro, ma poteva essere anche un luogo di nascondigli e binocoli non troppo maliziosi.
In questi mesi, invece, mi sembra assomigliare di più a una giungla faticosa e vischiosa; me ne infastidiscono non soltanto le Anastasie e le Genoveffe che calpestano coi turpi piedoni le piccole fioriture spontanee e democratiche di teste pensanti e nemmeno quella sorte di piante carnivore che ingurgitano e malamente digeriscono parole e sangue altrui. No, questi sono i rischi di ogni gioco. Quello che spiace di più è la persecuzione, anche istituzionale, contro le voci libere che non si esita a definire in molti modi e di cui ci si vuole sbarazzare come fossero vecchi elefanti morenti e contro quali si lanciano ranger infidi e prezzolati.
Ma si sa, ogni duca Valentino ha il suo sicario Micheletto; sicario digitale s’intende.
E se la rete da luminosa altalena di ragni diventa, come pare, un groviglio di pugnali sarà meglio saperlo.

liberi da diritti e doveri

lavoro-nero90Lavoro no e allora chi paga?
A furia di imporre il lavoro temporaneo, il precariato, il voucher eccetera, si moltiplica quello che comunemente è definito il lavoro in nero. Lo sappiamo: ogni volta che si chiede una prestazione a un artigiano invece di vedersi fare un preventivo ci si sente chiedere : ma lei vuole fattura? Questo accade forse più nel piccolo che nel grande, ma la sostanza è quella dell’evasione sia del Falegname sia dell’Architetto.
Ho sentito recentemente un muratore che diceva: mi prendo il sussidio di disoccupazione, poi arrotondo.
Già e chi lo paga il suo sussidio e come arrotonda un lavoratore costretto al precariato o a un lavoro non regolarizzato? Ma come pretendere che chi a perso il posto per le tante ragioni che conosciamo, si apra una partita iva o accetti prestazioni temporanee con voucher quando la sua è stata una marginalizzazione che lo umilia e lo esclude, di fatto, dal mondo in cui aveva prestato la sua opera, dalle garanzie per le quali aveva visto prelevare soldi dalla sua busta paga, dai servizi che sono stati tagliati, da un futuro pensionistico al quale, anche quando sarà  vecchio, deve praticamente rinunciare?
Non me la prendo coi cittadini che si arrangiano vivendo sui margini di una realtà in cui crescono i desideri e i bisogni di consumo indotti e spesso non necessari, ma divenuti socialmente indispensabili.
Me la prendo con l’ottusa miopia di chi ci governa e ci ha governato falciando non solo l’articolo 18, ma spazzando via quel diritto al lavoro (NON al “posto” sottolineo) che dà dignità e, nel contempo, consente di esigere doveri (tra cui contribuire) e di farsi riconosce anche i diritti di una Costituzione che, vedi caso, si va a tumulare come cosa morta.
E dunque non certezze, non lavoro, non diritti ma anche meno contributi dei cittadini al bene comune.
Più bella cosa non c’è per i signori del liberismo.

Social e antipessimismo

partita-a-filetto

Partita tra amici

Eppure, eppure spigolando tra le bacheche di amici storici, e mi riferisco anche a quelli felicemente conosciuti proprio in rete, dove la storia si fa nel breve, per fortuna, trovo bagliori e scintille di un bel pensare critico, costruttivo, dinamico e, al tempo stesso, consapevole che non viviamo in un truman-show e che il nostro obbiettivo non è comparire in tv.
Trovo una saggezza che nasce e tende alla conoscenza.
Trovo un coraggio che non attende: ma si propone, scrive, manifesta e grida, quando occorre, contro questa melma tirannica che ci vorrebbe soffocare.
Tempo verrà, dunque? No, se lo vogliamo il tempo è venuto.
Avanti, avanti! Iniziamo dicendo NO e tutti i NO necessari.
Avanti, avanti! Costruiamo nella fatica personale, il pensiero correrà e ci sorpasserà trovando altri compagni di strada.
Ogni buona battaglia si combatte innanzitutto, io penso, per rispetto verso se stessi.