L’attuale modo di fare giornalismo non mi piace da parecchio (e nel disapprovarlo non sono sola). In questi ultimi giorni ed ore sta mostrando il suo volto meno nobile. La ricerca dell’emozione, del macabro, dell’orrore sembrano sempre più allestimento di spettacolo che tenga lo spettatore avvinto e sempre meno riflessione su eventi mondiali tragici ma fronteggiabili. Che il mondo non possa resistere e difendersi dal terrorismo appare infatti incredibile; ovviamente gli assassini non smettono o non smetteranno spontaneamente di uccidere, ma non sono la bomba atomica, almeno non per ora. E pur violenti e mostruosi sono sempre un numero contenuto, almeno per ora.
Invece se ne parla come se il rapporto con il resto degli abitanti del pianeta fosse uno a uno. E non è così. Se ne parla come se i formidabili e temibili arsenali di guerra che le super potenze (che ancora esistono e dominano) possiedono fossero aeroplanini di cartone e cerbottane con palline di mollica di pane.
E così noi abbiamo paura, sorridiamo all’intervistatore di turno che chiede a viaggiatori e passanti se si sentono “più sicuri o rassicurati” per essere stati perquisiti o per avere la presenza di militari in città o alle stazioni: questo a me sembra uno sviare dalla verità. E viaggiatori e passanti annuiscono: “sì come no, mi perquisiscano pure, mi piace, sono contento!”
Forse sarebbe il caso di ragionare: se siamo presidiati, perquisiti, controllati non è perché così siamo più sicuri, ma perché siamo meno liberi e abbiamo ceduto la libertà in cambio di un piatto avvelenato da terrorismo e guardiani del medesimo.
E se siamo disposti a cedere libertà in cambio di paura, allora non siamo affatto più sicuri. Se le misure di controllo sono necessarie non possono, però, e non dovrebbero tranquillizzare nessuno.
Se fossimo tranquilli non ne avremmo bisogno.
Se, al contrario, potessimo stare tranquilli allora potremmo ammettere che la prevenzione funziona, ma deve funzionare dove nasce il terrore, non solo dove esplode e uccide.
Sono consapevole di stonare nel coro, ma pazienza.
Stonar non nuoce, e io stono ma dico sommessamente che la paura no, la paura non ha mai reso libero nessuno.