Confusi, fuori fuoco,
il mondo ci lascia passare
contro uno sfondo fisso
fatto cielo e pietra.
Malgrado la luce sia accesa
sopra la scena vuota
gli attori disertano il palco
sospinti da nuove passioni.
Tutto il rumore umano
finisce per evaporare
dentro il canto stridulo
della cicala antica.
C’è una saggezza quieta
nell’aria silenziosa e fresca,
che ti punge le braccia
delle notti d’estate.
Non tutte le riflessioni e non tutti i pensieri ricorrenti delle notti estive conducono a un esternare autoreferenziale attorno a quegli ombelichi che tuttavia giocherebbero da protagonisti tra bronzi spiaggianti e rinascenti sirene.
La poesia di Mario Badino sembra tollerare, quasi ignorandola infatti, la quotidianità apparente e lascia che la stessa si perda sulle autostrade infestate da troppe parole.
Mario si concentra sul fuori fuoco sull’assenza delle scene vuote disertate da attori indaffarati e raccoglie quel poco che resta del rumore umano (rumore, appunto, non voci, non suoni, non sensi) nel vapore, ossia nel prossimo dissolvimento, del canto stridulo della cicala antica.
Trova infine anche lui la quiete, sorella amata da tanta poesia, nell’aria della notte d’estate.
Quell’aria che la saggezza popolare vuole si purifichi, nel silenzio delle tenebre, da ogni eccesso delle calure del giorno.
Non un canto sofisticato dunque, ma una voce schietta, scolpita ed essenziale: la voce di un giovane poeta che sa valorizzare la cianfrusaglia del presente ma anche individuare l’essenza di quel senso che non si perde nel trascorrere del tempo e indica il futuro.
I riferimenti del libro Cianfrusaglia qui