Archivi del mese: Maggio 2015

Italiani nuovi Calandrini e l’elitropia renziana.

Come tutti sanno Giovanni Boccaccio in una novella del Decamerone racconta una burla piuttosto cinica giocata  ad un credulone sempliciotto di nome Calandrino. A costui l’astuto giovane Maso del Saggio fa credere che lungo il torrente Mugnone si potevano raccogliere pietre preziosissime perché dotate di poteri meravigliosi tra cui quello di rendere invisibili. Calandrino racconta la cosa a due suoi amici, Bruno e Buffalmacco, che (conoscendo quanto sia citrullo) fingono di credergli e lo accompagnano nell’impresa per ridere alle sue spalle; infatti Calandrino raccoglie gran quantità pietre, se le carica addosso, sudando sotto un sole cocente e i suoi amici, che non aspettano altro, fingono di non vederlo più e di arrabbiarsi con lui che avrebbe mentito: i due compari imprecando gli lanciano addosso pietre su pietre accusandolo di colpe immaginarie.
La storia è nota, ne ho riassunto alla meglio una parte per giustificare le analogie che vi si possono riscontrare con la situazione attuale: gli italiani, nuovi Calandrini, credono che ci siano nuovi oggetti meravigliosi di cui giovarsi come ad esempio:

  1.  lavoro a tempo indeterminato
  2.  meno tasse
  3.  opportunità per i giovani
  4.  ripresa dei consumi
  5.  vantaggi per le imprese
  6.  prestigio all’estero
  7.  ripresa economica

… e potete aggiungerne quanti volete ascoltando cinque minuti di Tg1.

Gli Italiani_nuovi_Calandrini ascoltano il premier, si convincono che le sue meravigliose balle siano verità e si mettono in caccia di presunti vantaggi.
Ne ricavano delusioni amare e dolorose come sassate e pietrate, ma fingono che non sia vero e se la prendono con i propri simili, come fecero Calandrino che accusa e bastona sua moglie Tessa di aver infranto l’incantesimo e lei che lo ricambia malamente. I nuovi Calandrini  non capiscono che Renzi-Maso li ha bellamente, come si dice? Coglionati?
Beh sì.

io non mi vergogno

io, testimoneConsiderato quello che quotidianamente accade nel nostro paese, e  penso non abbiamo bisogno di elencare esempi recenti, ci sarebbero molte buone ragioni per invocare che scenda un manto di vergogna sui responsabili. Sì su di loro.
Ma proprio per questo io non mi vergogno e non condivido la vergogna. Me ne chiamo fuori dopo una vita che è ed è sempre stata di personali battaglie, spesso perse perché non condivise è vero, ma che consentono di non lasciarmi ammucchiare nella massa pecorile che giudiziosamente e accortamente sceglie ed ha sempre scelto il cosiddetto  male minore, che ha fatto e fa spallucce, che ha sempre detto e dice che non si può far altro.
Non è così: ogni nostra azione quotidiana può essere azione di semina per il futuro e per cambiare la realtà.
Chiunque semina sa che ci vuole tempo. Specie se si è in pochi.
Questo non significa che si smette di seminare, di pensare, di dissentire.
Questo non significa che ci si lascia omologare e soffocare dal conformismo. E non significa che non ci resti altro che la nota tattica delle tre scimmie che non vedono-sentono-parlano.
Siamo persone e non scimmie. Uomini fummo ed or siam fatti sterpi fa dire Dante ai suicidi: e non è forse un suicidio civile arrendersi, tacere, annuire storcendo le labbra, forse, ma senza affermare anche con i fatti una diversa e opposta convinzione?
E proprio per queste ragioni io dico che mai e poi mai, anche se il nostro navigare fosse solitario e con piccioletta barca, anche se la nostra fosse semplicemente una posizione coerente solo con la propria personale coscienza, mai bisogna lasciarsi andare verso la schiera di chi si vergogna in conto terzi, e tanto meno lo deve fare chi, pur eseguendo i riti inevitabili imposti da un minimo di convivenza e sopravvivenza alla routine,  continui ad avere un pensiero, una parola ed un cuore liberi.
Quelli che si vergognano godono e, sotto sotto, si compiacciono tra sé e sé della acquietante remissività impotente e giustificante che li fa apprezzabili ai molti; il tutto en attendant una redenzione che altri (come sempre) eseguirà, se il fato lo vorrà, anche per loro. E allora siano loro a vergognarsi.
Io no, io non mi vergogno.

La tv all’Opera… Rigoletto docet

Inizia, al mattino, il Pancani tapino;
Merlino, Sardoni, e Tiziana Panella
sciorinano il trucco con tacco e gonnella;
è tutto un via-vai di opinioni di fino
tra il Feltri anzianotto e il giovin renziano
battute d’ammicco e passaggi di mano:
s’imbambola infin l’italiano al tiggì?
ma manco per niente: duo o tre telefilm
e poi la serata con Gruber labbrosa
qualche altro talk show ed il Floris sta in posa:
e se non bastasse anche il Crozza sfinisce:
“ch’io rida, buffon! ” Rigoletto ammonisce.

Notina per gli amici non melomani.
“fa’ ch’io rida, buffone”è la frase che Rigoletto pronuncia durante la sua invettiva contro il duca di Mantova, suo padrone, ricordando come quel violento donnaiolo, che ha appunto appena sedotto sua figlia Gilda lo apostrofasse perché lo divertisse… ehem..

Questo padrone mio,
giovin, giocondo, sì possente, bello,
sonnecchiando mi dice:
fa’ ch’io rida, buffone…
Forzarmi deggio, e farlo!… Oh, dannazione!…
Odio a voi, cortigiani schernitori!…
Quanta in mordervi ho gioia!…
Se iniquo son, per cagion vostra è solo…
ma in altr’uom qui mi cangio!...

A cuccia, prof delle crocchette!

Noi continuiamo a pensare, ad amare, ad indignarci. E ci indigniamo su almeno due questioni che possiamo vedere lucidamente:
1) la strategia degli pseudo-tecnici che inganna sulle vere cause dello sfacelo economico e sociale e fomenta un conflitto generazionale che ci uccide disintegrando la nostra società

2) la strategia della finanza bieca che lentamente ma inesorabilmente sta facendo morire i cosiddetti “deboli” che altri non sono che coloro che nascono svantaggiati e sono destinati a una sempre più estrema marginalizzazione o chi, per salute o età non è fisicamente atto ad essere ancora una delle rotelle che girano senza pensare.

E ci rivoltiamo alle tesi della prof delle crocchette (che non nomino per non farle pubblicità) che, spiegando al suo cane e anche in tv, come lei vede la scuola  erige un vantaggioso monumento ai nostri novelli faraoni, fa un solo fascio tutti gli insegnanti e getta alle ortiche cultura, dedizione, impegno e fatiche di tutti coloro che fanno bene il loro lavoro.
A cuccia, prof, insieme al suo infelice cane!