Archivi del mese: marzo 2015

Scuola e Prof: cosa insegnare ai nostri ragazzi

Quinta Nicola con lavagna

o dell’insegnamento involontario.
Un mio ex studente mi scrive su fB.

Davide Porciello‎ a Mariaserena Peterlin 19 marzo alle ore 14.12 ·

cara Prof, a volte ti sarai domandata, di tante cose che nel tuo mestiere hai insegnato, quante i tuoi alunni ne hanno imparate? quante ancora gli restano anche dopo dieci anni? Ovviamente è difficile, però tu hai sempre dimostrato di saper insegnare anche qualcosa aldilà dei libri. Non ricordo quale anno fosse, credo fossimo in quarto superiore, sciopero del personale docente: era l’ora di entrare, ed eravamo fuori a chiederci quali professori avrebbero scioperato, chi c’era, chi non c’era… con un attimo di sopresa, ti vedemmo fuori i cancelli, avvicinarti verso di noi, consapevoli di come la pensavi in merito… un mio compagno, non mi ricordo chi, ti chiese “…professore’!! ma che fa entra???”. E tu, con una sorta di ghigno e tono di voce malefico, dicesti “no no… sono venuta qui fuori per vedere chi sono i CRUMIRI…”.
Mi è rimasto sempre in mente, sempre. A scuola lo sai bene, di assenze ne facevo poche. Certo, quando ci fu da non entrare in aula perchè i termosifoni della nostra erano rotti, non entrai, neanche io. Perchè era una lotta giusta, era un nostro “vero” problema. Da qualche parte ho ancora la fantastica lettera del preside, allegata alla pagella del I quadrimestre, che spiegava a ognuno dei nostri genitori perchè il voto in condotta fosse 7, o meno.

Comunque, di quella tua frase, di quel tuo insegnamento “involontario”, ne feci veramente tesoro, in tutti questi anni. Quando lo scorso fine settimana abbiamo aderito, tutti noi macchinisti, allo sciopero di 24 ore, di quelle tue parole mi sono ricordato. Perchè era giusto, è giusto

Insegnanti e vacanze, ministri e pietanze

E se tre mesi vi sembran troppi
contate i giorni dei magistrat
e poi vedrete la differenza
tra stare in classe a sentenziar.

Questo avrei scritto, ma poi ho pensato che era una cretinata, e non solo perché i tre mesi non sono tre mesi, perché i mesi si contano senza considerare giorni festivi o perchè sono comunque obbligatori. No, anche questi sono argomenti deboli. E poi è anche vero che ci sono insegnanti che lavorano poco, malvolentieri e male. Ma anche questo è un argomento sciocco: persone così ci sono in qualunque mestiere o professione.
L’idiozia di una difesa debole delle cosiddette vacanze degli insegnanti è bilanciata, anzi sovrastata da quella dell’attacco di chi non conosce la scuola e ne parla e di chi , essendo al potere, non siede in cattedra, ma a tavola riccamente imbandita insieme a personaggi discutibili e soprattutto è l’idiozia di chi ha promesso 150.000 assunzioni e cerca scappatoie perché non può mantenerle mentre si appresta a far decadere vincitori di concorso escludendoli con pretestuose mannaie.
L’idiozia della solita polemica sulle presunte vacanze si affronta solo occupandosi, in modo competente, del sistema scuola.
E non mi pare che questi siano in grado o vogliano farlo.

Figli e amanti del presente liberista

Cresce, non solo in me, giorno per giorno, un senso di inanità e delusione suscitato in particolare per quei giovani che accettano e ingurgitano questo presente con le sue mistificazioni. Accade infatti di costatare come si sia perso il valore delle parole e che anche il significato più immediato e riconoscibile sia stato truccato.
Ad esempio per diritti non si intendono più valori universali, ma esigenze personali; e di conseguenza per valori (a scendere) non si intendono più quei comuni e condivisibili sentimenti e passioni per cui valga la pena di spender la vita o quei nobili intenti su cui basare la progettazione del bene comune; non si parla più di condivisioni alte, dense di significato, in grado di elevarci come esseri dall’animo capace di sollevare dalla miseria quotidiana occhi e cuore ma di bisogni, di felicità, di star bene con se stessi.
Ahimè le conseguenze sono drammatiche e, forse, definitive; tanto che  perfino il trucco della competizione tra simili e di una malsana meritocrazia, che nulla ha a che fare con talento e impegno, illudono di potere inseguire un presunto sogno personale in ragione del quale si è disposti ad ingurgitare merda (si chiama così. perdonatemi) condita con l’untuosa presunzione di aver tutto capito, tutto compreso, tutto afferrato.
E, pensando di essere abbastanza furbi da poter fare a meno delle radici del passato, oggi tanti galleggiano su aeree radici paludose di quelle che fanno credere che apparire sia avere successo o che smanettar padelle o sfoggiare outfit equivalga a riflettere, scrivere, discutere per capirsi, che idolatrare animalucci domestici equivalga ad amare.
Eh sì. È inutile provare a dire parole poiché il loro significato è stato violato, è sciocco mettersi in gioco poiché il loro gioco è senza altra regola che l’irrisione, e di conseguenza vuoto è il discorrere per tentare di scambiare idee.
Salutiamoci, figlie e amanti del liberismo, senza rancore.
Alcuni continueranno a parlare d’altro. Altri continueranno a scambiarsi altro, che so? indirizzi di locali, link di video sghignazzanti o anche foto di parlamentari che russano in aula: il sonno non è solo il loro, è un simbolo, non mio, non delle mie insonnie.
Che peccato.

Le lady-like renziane in campo contro la Grecia di Tsipras

Quando ascolto le acchitate renziane fare il predicozzo moralista alla Grecia e ai greci “che anche loro devono fare sacrifici come noi” tocco con mano lo squallore al femminile , ed è uno squallore tristissimo, proprio vigliacco e turpe. Mi chiedo infatti se fossero una donna greca che non può prendersi cura di se stessa né sfamare i figli parlerebbero allo stesso modo? In Grecia, lo sappiamo tutti, la gente non ha più denaro per le medicine, i bambini e le bambine sono nutriti dalle mense, i vecchi sono lasciati morire: ci sono pochissimi miliardari e tutti gli altri sono alla fame. Invece ti sbarca in un talk televisivo qualunque la renziana di turno e sciorina le sue menate sul debito della Grecia, sul dovere di sanare il debito, sulla necessità di essere un “paese civile che si siede al tavolo e ragiona”. Beh, renziana-lady-like dovresti provare la fame, le calze rotte, le scarpe che non ci sono, i figli che non puoi curare, l’affitto che non si può pagare, la paura della malattia che non puoi affrontare: poi vediamo se ti inchini ancora, arrogante renziana miracolata, all’abbronzatissima Lagarde, vediamo.  Perché se una di noi, se uno di noi, avesse la miseria e la fame intorno a sé e ai suoi figli, non gli verrebbe il sacrosanto istinto di strappare la parrucca e l’outfit firmato alle sgallettate (ah che bella parola d’altri tempi!) e a quei paini fricchettoni che contornano renzi-che-cambia-l’Italia?