e serbi un sasso il nome,
e di fiori adorata arbore amica
le ceneri di molli ombre consoli.
(U. Foscolo, dei Sepolcri)
Avevo un pensiero che mi seguiva in questi giorni, cercavo di allontanarlo, ma mi ci ha fatto tornare il post Anna Lombroso: Selfie da Damasco .
Mentre lungamente enfatizzano cronache nere e faide e delitti italiani, i media citano e velocemente archiviano i massacri di popolazioni di interi villaggi e città del nostro pianeta che, non abbastanza vessati dalla povertà e dalle tirannie, dalle miserie e dalle malattie muoiono tra mille violenze. Nessuna traccia ne rimane: polverizzati, bruciati, massacrati da guerre o persecuzioni diverse spariscono senza lasciare né una memoria né un nome.
E quelli che rimangono sono probabilmente troppo annientati dalla violenza subita per reagire e reclamarli.
Questa riflessione s’è innestata su un mio pensiero di questi giorni.
I tre terroristi che hanno colpito Charlie Hebdo sono stati sepolti in forma anonima, per evitare che la loro tomba diventi meta di pellegrinaggi di jihadisti.
Non ho competenze adeguate per valutare queste scelte, non sono un ministro degli esteri o degli interni; a buon senso direi che quel paventato pellegrinaggio avrebbe potuto contribuire a segnalare (forse, chissà) eventuali altre potenziali persone pericolose.
I morti non sono tutti uguali, ma nemmeno i vivi.
Il rispetto per chi non può più accendere i suoi occhi sulla fuggente luce è roba vecchia.
Certamente è vero che un nome su un sasso che lo ricordi non cambia niente, niente per chi ha altro per la testa.
E tuttavia la nostra civiltà è così diversa rispetto al passato che mi trasmette, lei sì, non i morti, una certa paura.