Archivi del mese: gennaio 2015

Nel nome della razza lo sterminio scientifico, umano

crimini legali

Giornata della memoria.
Penso che la memoria possa essere un’occasione per riflettere sul dato storico che con la soluzione finale si è voluto sterminare scientificamente, totalmente e perfino legalmente un popolo, il Popolo Ebraico, nel nome della razza.
Oggi spesso sentiamo dire che i campi si sterminio rinchiudevano e eliminavano “per la maggior parte ebrei, ma anche rom e gay”.
E’ necessario tuttavia sottolineare che sono stati gli Ebrei a subire la persecuzione delle leggi razziali promulgate segnatamente contro di loro. Anche in Italia.
In quelle leggi si parla delle restrizioni contro di loro, contro chi apparteneva alla loro razza anche risalendo a diversi gradi di parentela nelle passate generazioni.
E non chiamiamo disumani i criminali nazisti e chi li ha lasciati agire. Quegli assassini erano invece prettamente umani, erano la dimostrazione dell’abiezione violenta, sadica, crudele ma intelligente e libera di scegliere: tali possono essere gli uomini e tali potrebbero anche tornare ad essere. A volte erano anche uomini o donne fisicamente attraenti: il mostro non sempre ha la faccia brutta e cattiva.
Gli uomini non nascono buoni, e purtroppo possono convincersi o essere convinti ad agire addirittura nel nome di una missione quando vengono allettati dall’interesse, dall’avidità, dall’ambizione e da tutte quelle pulsioni vergognose ma di cui si nutrono avidamente quando decidono di assecondare la libidine del potere.
Oltre che della pietà infinita per le vittime è di questo che, io penso, non bisogna perdere la memoria.

Dalla propaganda allo sterminio: nel nome della razza

(brani tratti da Elsa Morante)
Forse, il fascista Mussolini non si rendeva conto di avere, all’atto dell’impresa di Etiopia protetta da Hitler il nazista (e seguita poi subito dall’altra comune impresa di Spagna), aggiogato oramai per sempre il proprio carro carnevalesco al carro mortuario dell’altro.   Uno dei primi effetti della sua servitù fu che di lì a poco, alla targa nazionale, e di suo conio, della romanità , dovette sostituire quella estranea, e di conio altrui, della razza.   E fu così che sui primi mesi del 1938, anche in Italia, attraverso i giornali, nei circoli locali e alla radio, ebbe inizio una campagna preparatoria contro gli Ebrei. (…)
Ma quando , verso la primavera del 1938, l’Italia intonò a sua volta, il coro ufficiale della propaganda antisemita, essa [Nora, personaggio di cui si parla] vide la mole fragorosa del destino avanzare verso la sua porta, ingrossandosi di giorno in giorno. I notiziari radiofonici, con le loro voci roboanti e minatorie, già sembravano invadere fisicamente le sue stanzette, spargendovi il panico; ma tanto più lei si sentiva costretta, per non trovarsi impreparata, a seguire quei notiziari. E passava le giornate e le sere all’erta, dietro l’orario dei radiogiornali, come una piccola volpe sanguinante che si tiene rintanata e attenta fra l’abbaiare di una muta.”

(Elsa Morante, La Storia, Romanzo, pag 45 e 46, Einaudi editore, Torino 1974)

… e serbi un sasso il nome

e serbi un sasso il nome,
e di fiori adorata arbore amica
le ceneri di molli ombre consoli.
(U. Foscolo, dei Sepolcri)

Avevo un pensiero che mi seguiva in questi giorni, cercavo di allontanarlo, ma mi ci ha fatto tornare il post Anna Lombroso: Selfie da Damasco .
Mentre lungamente enfatizzano  cronache nere e faide e delitti italiani, i media citano e velocemente archiviano i massacri di popolazioni di interi villaggi e città del nostro pianeta che, non abbastanza vessati dalla povertà e dalle tirannie, dalle miserie e dalle malattie muoiono tra mille violenze. Nessuna traccia ne rimane: polverizzati, bruciati, massacrati da guerre o persecuzioni diverse spariscono senza lasciare né una memoria né un nome.
E quelli che rimangono sono probabilmente troppo annientati dalla violenza subita per reagire e reclamarli.
Questa riflessione s’è innestata su un mio pensiero di questi giorni.
I tre terroristi che hanno colpito Charlie Hebdo sono stati sepolti in forma anonima, per evitare che la loro tomba diventi meta di pellegrinaggi di jihadisti.
Non ho competenze adeguate per valutare queste scelte, non sono un ministro degli esteri o degli interni; a buon senso direi che quel paventato pellegrinaggio avrebbe potuto contribuire a segnalare (forse, chissà) eventuali altre potenziali persone pericolose.

I morti non sono tutti uguali, ma nemmeno i vivi.
Il rispetto per chi non può più accendere i suoi occhi sulla fuggente luce è roba vecchia.
Certamente è vero che un nome su un sasso che lo ricordi non cambia niente, niente per chi ha altro per la testa.
E tuttavia la nostra civiltà è così diversa rispetto al passato che mi trasmette, lei sì, non i morti, una certa paura.

Dolore, anche per i non uguali

In breve. Uccidere mette qualunque omicida dalla parte del torto.

Ci sono altri modi per offendere il prossimo, non solo violando la persona umana fino a toglierle la vita che è certamente un modo abbietto oltre che irrevocabile.

Per quanto mi riguarda, le vignette di cui si parla, sono spesso offensive verso chi abbia a cuore la sua fede religiosa, qualunque sia. E aggiungo che la fede religiosa è, per chi la professa, un valore importante.

Considero quelle vignette espressione di notevole abilità artistica e non solo, ma per me sono sovente blasfeme e possono creare dispiacere e disagio . Ribadisco; uccidere è una violenza brutale, insensata e in nessun modo sopportabile .

I morti assassinati sono sempre e comunque troppi .

Io vorrei infatti che la reazione ai delitti e alle violenze fosse sempre ugualmente alta, forte, numerosamente rappresentata. Sempre, e non solo quando riguarda il mondo dei media che è, certamente, simbolico, ma sul piano umano riguarda comunque la storia delle vittime, di tutte le vittime .

Quelle vittime senza voce, deboli, misere, miserabili o mandate a morire nonostante la loro volontà, quelle che si misurano in uno scontro impari con la guerra avrebbero diritto a uguale indignazione, agli stessi rammarichi, alle stesse manifestazioni pubbliche.

Altrimenti qualcosa non torna .

E perdonatemi se mi ripeto, ma torno a dire che, nonostante passino le ore, a me pare che l’unico sentimento esprimibile sia quello del dolore impotente e partecipe.

Se proprio dobbiamo esprimere una identità io vorrei che si dicesse “noi siamo con le vittime”.