Cambiare l’Italia tanto per cambiare

No, non penso di essere la sola a chiedersi se certe decisioni e comportamenti siano accettabili ed etici solo nel caso in cui chi prende una decisione o fa qualcosa lo faccia solo per se stesso e le conseguenze ricadano solo su lui.
Ad esempio: come possono aver ragione coloro che affermano che “l’ottimo è nemico del buono” e dunque “ok, tutto si può migliorare, ma almeno noi le cose le facciamo”?
E come possono giustificarsi o chiedere d’essere approvati se e quando ciò che fanno o impongono non vada a vantaggio del bene comune o non ne tenga sufficientemente conto, ma vada verso l’affermazione del proprio potere o verso il prevalere dell’interesse di una parte o di pochi?
Fatto sta che attualmente, in Italia, girano varie iniziative politiche per “cambiare il paese”; e si proclama che nel cambiare la Costituzione, o potandola qua e là, “si fanno le cose che il paese aspetta da 30 anni.” Chi dissenta o esprima perplessità viene succintamente ma sussiegosamente riprovato come un vecchio catafalco fuori moda in un appartamento nuovo e stiloso.
Ma cambiare il paese non è come cambiarsi i pedalini.
E tuttavia i comuni cittadini sanno bene che i veri cambiamenti che vorrebbero che si chiedono sì da 30 anni sono quelli essenziali: diritto al lavoro (non al posto), stato sociale efficiente, giustizia sociale e coserelle simili, lotta alla corruzione e alle varie mafie.
La potatura della Costituzione serve a questo?
E di fronte a questo dubbio legittimo come si fa a rispondere come fanno i cambiatori, i cambianti, gli scambiatori e i mutanti: “almeno noi le cose le facciamo”?
Gettale la scialuppa di salvataggio, voglio scendere.

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