In questo Blog, un po’ diario, un po’ zibaldone, un po’ notes-sfogatoio, scrivere di un amico dei più cari che se ne è andato ieri mi sembra quasi improprio e irriverente. Ma noi malati di rete e comunicazione siamo così: condividiamo, e condividere il ricordo di un grande e straordinario insegnante e maestro, di uno splendido e brillante collega è per me irrinunciabile.

Con Gianni Barbarella e Ugo Borrelli durante una visita di studio coi nostri ragazzi
E così, caro Gianni, te ne sei andato nonostante tutto. E non sto qui a ricordare nulla del tuo periodo di malattia. Oggi non ha più senso. Oggi invece ha senso, e quanto, dire alto e forte il tuo esempio. Dire e ricordare quanto hai donato di buono, intelligente, vivo e vivificante per i tuoi allievi e quanto di stimolante, ironico, affettuoso hai saputo dare a noi colleghi senza mai cedere alla maniera, alla formalità preziosa, al buonismo affettato. E’ stato straordinario ed importante averti come collega di classi parallele, collega di lettere, collega di non poche battaglie, amico con cui condividere tanto della nostra esperienza.
Grande Gianni, bella per te, bella la tua vita straordinariamente importante e che i tuoi ragazzi porteranno sempre per nel cuore come una delle più preziose esperienze. Con loro in classe, nei corridoi, in gita, agli esami; davvero quanti esami di maturità con loro, per loro, insieme a loro.
Addio Gianni, non ci mancherai perché non te ne sei davvero andato, ma è inevitabile sentire oggi ancora più forte quanto speciale e insostituibile sia stato nella nostra comune vita ed esperienza di docenti convinti che la scuola sia, nonostante tutto, spalancare finestre, indicare prospettive, lanciare messaggi, non mancare mai all’appello in tutti i sensi.
Addio.

Il Prof. Gianni Barbarella coi suoi studenti in visita di studio all’Auditorium di Roma
Aggiungo qui di seguito qualche brano scritto mentre vivevo la mia esperienza di insegnante nella stessa scuola di Gianni Barbarella: L’Istituto Vincenzo Arangio Ruiz di Roma-Eur
Siamo usciti dall’interminabile riunione e là fuori, vicino al cancello, qualcuno dei nostri utenti, trattenuto dai recuperi pomeridiani di Elettronica, ci ha visto, sorride, gesticola e aspetta un saluto, una battuta. Gianni non si sottrae: “Sebastiano, stasera ti interrogherai lungamente sul crepuscolo… “. I nostri ragazzi ridono: gli occhi e il cuore contenti perché lui si è fermato a parlare con loro e gli ha dato attenzione. Dove le pescherà queste cose, penso, ma tutti sanno che lui è uno che riesce a fare apprezzare agli studenti la poesia, il teatro, la letteratura contemporanea, i film di Polanski e Bergman o… Sette spose per sette fratelli. (…) Salgo in macchina, accendo il motore e la radio su una stazione qualsiasi e sorrido anch’io perché suonano Hello, goodbye dei Beatles per cui alzo felice il volume. Guidando penso di scrivere una lettera a Gianni, gliela darò domani.
*****
Caro Gianni, tanta nostra scuola ha avuto una colonna sonora: come in un bel film le immagini e i suoni si sono sovrapposti e intrecciati, hanno creato attese e sottolineato i finali. E per tanta scuola non m’era proprio sembrato che fosse poi sempre la solita musica, nonostante autori ed esecutori fossero i medesimi. L’ingresso, più spesso nelle mattine autunnali, risuonava di richiami, di saluti, di ritornelli ripresi e variati, di intelligenti dissonanze; l’intervallo rimandava un tramestìo di fondo, ma nell’acustica sorda dell’atrio s’udivano pure gli accordi di qualche fuga (durante la ricreazione allora si era semiautorizzati a una scappata veloce al bar di viale delle Montagne Rocciose, da Tonino) o arpeggi preliminari al terzo o quart’atto di una mattinata scolastica come opera in progress… Bizzarro, no? Ma ora che molti maestri o suonatori sono cambiati, la musica ripete solo due o tre andantini mediocri. E l’orchestra va, appunto, avanti con poco moto e pochissimi allegro; ci sarà, e quale, il finale? Spero non un sinistro rullo di tamburi…
Invece la mia musica preferita, da quando ho capito come i ragazzi più silenziosi e attenti e tranquilli non fossero, necessariamente, anche i partecipi e gli intelligenti, o almeno curiosi e umanizzabili, è stata sempre quella improvvisata e poco armonica, ma viva della classe.
Era fine maggio e leggevo “…piove sulle tamerici salmastre ed arse, piove sui mirti …” , ma i vetri aperti non vibravano per suoni d’acqua. Ho guardato un attimo alla finestra: piovevano invece pezzi di quaderni e libri, anche un paio di sacri cancellini e, (che orrore, che vergogna! ai miei tempi!) uno zaino. Mi sono morsa le labbra per non ridere con loro, ma avevano ugualmente capito che non ero riuscita a scandalizzarmi abbastanza e speravano di unirsi alla festa. Al piano superiore si celebrava la prossima fine d’anno mentre volavano via le ultime interrogazioni: liberatrici, anche per me. Com’è più seria la musica adesso; è tutta un ticchettio contabile di debiti e crediti, una partita doppia di bilanci e di stanziamenti, di corsi antimeridiani e pomeridiani, di sportelli che si aprono e chiudono senza sbattimenti eccessivi per nessuno.
Come sono compiaciuti i nuovi maestri, e come io invece rimpiango i ticchettii della rossa vicepreside, la bella signora un poco agée, molto profumata, le gambe ancora snelle e ben disegnate in collant retinati quasi altrettanto inverosimili dei sontuosi tacchi-a-spillo, pronta alla battuta, ormai per gli amici prevedibile, e tuttavia irrinunciabile e intelligente.
Già, l’intelligenza altra era la musica.
La musica ci accompagna ancora.
Oggi diversamente risuonano i rauchi frinii o le pesanti cadenze dei nostri utenti, ma risuonano, tuttavia. “Ci sono ripetizioni per la mente, nessuna per il cuore”, ma è poi vera questa frase? Ricordo di averla svolta come titolo di un tema in classe, comunque preferibile a un’ora di chimica o fisica,infervorandomi in una inevitabile trattazione studiatamente commossa. Dicevano fosse di Goethe.
Con affetto.
Serena
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