Ballottaggio a Roma: che politica è questa?

Le mie valutazioni sui due candidati a Sindaco di Roma non riguardano le persone, ma i politici e le formazioni politiche che esprimono.
Le persone, infatti, possono piacere anche per ragioni irrazionali di simpatia o antipatie impulsive che le nostre tele conduttrici definirebbero gaiamente a pelle.
Per inciso, la deputata cinquestelle Roberta Lombardi è antipatica a tantissima gente e lo dimostra il fatto che ogni volta che giornalisti o politici vogliono citare un esempio di persona sgradita nei modi nominano lei. Invece a me la suddetta, proprio come persona, risulta simpatica per la sua durezza che ricorda vagamente un niet da veterosovietica, per la spigolosità delle risposte, per l’esercizio di un’ironia un po’ insolente (ricordiamo tutti la sua battuta sull’incontro con il vinto Bersani: ho creduto di essere a Ballarò). Penso infatti che all’ironia, alla schiettezza arrogante bisogna saper resistere anche perché il politicamente corretto mi spiace da molto prima che il papa lo condannasse.
Ma tornando ai due galletti vallespluga (quanto sono acida!) che si contendono il Campidoglio confermo che un cittadino ha diritto a non votare il meno peggio, a non doversi turare il naso, a non subire il ricattuccio che pare proprio costruito ad arte. (Che malalingua!)
Aggiungo però una personale riflessione per me conclusiva.
I due galletti attualmente sono a cova dalla stessa chioccia, sono espressione di due forze politiche apparentate da un matrimonio di convenienza, narrano perciò, ambedue, la stessa leggenda con parole differenti.
Invece votare significa anche riconoscere un senso di appartenenza e di consenso alla politica. Allora mi chiedo: che politica è questa? Non stiamo forse assistendo ad un lugubre corteo con tanto di officiante e campane a morto della democrazia? No? E cosa mi potrebbe consolare del contrario?
Quando appaiono, e ci mancavano pure i 35 commissari liquidatori della nostra amata Costituzione, a me viene in mente una terzina dantesca:
“Suo cimitero da questa parte hanno
con Epicuro tutti suoi seguaci,
che l’anima col corpo morta fanno.”
Dove basta sostituire “con Epicuro” con “col presidente”, uno a caso tanto ormai i “presidenti” non si contano più, e l’anima sarebbe la passione civile morta o morente e sostituita dal mercato agonizzante.
Credo inoltre che sentirsi cittadini significhi avere stabilito un patto sociale, alla pari, con lo stato a cui accettiamo di appartenere e al quale diamo un grande contributo, certo non solo in denaro
Sentirsi cittadini, e non sudditi, ci assegna dignità e responsabilità. La mia responsabilità civica, in questo caso, consiste nel rispettare l’azione di votare liberamente, di astenermi, o votare bianco.
I miei nonni, il voto allora era solo maschile, furono costretti a votare scortati in cabina dalla milizia fascista, e sotto minaccia votarono obbedendo. Non potevano farsi ammazzare: uno aveva dodici figli e l’altro sei.
Ma anche i miei nonni, e i loro figli, hanno poi partecipato alla liberazione dalla dittatura, hanno conquistato il voto libero pure per le donne e quel voto è una cosa seria.
Oggi il sentirsi cittadini significa non dire semplicemente “no”, ma anche affermare attivamente che questo corteo lugubre non ha saputo proporre, nel ballottaggio, persone esenti da parentela col matrimonio di convenienza che unisce pd e pdl con i loro alleatini.
Non sono in ballo, a mio avviso, persone lontane dalle larghe intese della maggioranza che ci governa a cui dare un libero voto e piena stima e allora rivendico il diritto di non votarle.
Ci ho pensato e riflettuto, ma non sono riuscita a trovare una sola ragione che mi convinca a votare uno dei due candidati al ballottaggio per il Campidoglio.
Credo infatti fermamente che non si viva di illusioni, ma non sia nemmeno possibile sopravvivere senza di esse.
E non voglio convincere nessuno perché il primo rispetto si deve a se stessi.

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