Archivi del mese: marzo 2013

Enzo Jannacci

Non avevo mai avuto il dubbio che la grazia di una ironia stralunata e folle, geniale e imprevedibile, anticonformista e affettuosa, dissacrante e tenera potesse esserci tolta.
Per questo non ho mai pensato che Enzo Jannacci potesse andarsene senza di noi. Ed ora, che le notizie mi costringono a credere che non ci sia più, lo sento vivo nelle tante sue espressioni o canzoni, nei gesti leggeri, ma scattanti e disarticolati impressi nella memoria, nel sorriso che ha suscitato ed è rimasto, come un dono, nel cuore.

Il suo mondo ha infatti ancora un’eco che si ripete nel nostro.
Ho subito la sua partenza come un’ingiustizia a cui non potevo credere e che non potevo compensare né fronteggiare in nessun modo.
Quando uscì, nei primi anni sessanta, El portava i scarp del tennis non si ascoltò soltanto una pezzo nuovo e inusuale, ma un modo diverso di trattare la canzone, di farne la voce non patetica né amara, ma fortemente spiazzante di un’umanità che viveva a lato della nostra quotidiana esistenza e che non chiedeva pietà o elemosina, ma si ritagliava ostinatamente, nell’indifferenza dell’emarginazione a cui era destinata, una dimensione propria in cui aria e cibo erano comunque meno importanti del sogno d’amore rincorso.

La voce di Enzo Jannacci, il suo movimento slogato e frenetico, la sua faccia con un sorriso che ti veniva voglia di condividere, tutto in lui era fantasticamente perfetto perché irregolare, irrituale, sconcertante, impressionistico.

Sì è vero, ha collaborato con molti grandi autori e musicisti; ma lui era diverso da tutti e marcava questa geniale specificità con leggerezza aerea di un acrobata che si ferma per aria, a metà di un salto mortale quasi a cogliere la nostra tensione per trasformarla in un ulteriore ribelle rimbalzo. E si sarebbe voluto essere così tutti perché la libertà lui l’ha saputa cantare senza nominarla, ma contaminandone ogni sillaba.

Non mi sono mai chiesta quanti anni avesse, e forse per questo non volevo credere che fosse davvero andato via; ho pensato e penso ancora a lui come a un bambino che non si lascia contaminare dal conformismo di un mondo in cui c’è una risposta ovvia per tutto, ma da piccolo investigatore cerca i sassi come se fossero pietre preziose e li avvolge nella luce di un foglietto di stagnola per far durare l’illusione.
Il suo barbone, il suo palo della banda dell’ortica, il suo telegrafista, il suo osservatore che “ha visto un re” ci rappresentano e ci avvolgono di luce umile ma sfolgorante.
No, non penso se ne sia andato.
Non si va via davvero quando si lascia così tanto.
Grazie Enzo. Ci si sente.

Governo: la pastiera napolitana

pdl – E damme la presidenza
bers – La presidenza gnornò gnornò
pdl – E damme la presidenza
bers – La presidenza gnornò gnornò
pdl – Se non me la voi dà la Cancellieri già sta qua
Se non me la voi dà la Cancellieri già sta qua

M5S – … e dammelo ‘sto governo
bers – e il goveno gnornò gnornò
M5S – … e dammelo ‘sto governo
bers – e il goveno gnornò gnornò
M5S – Se non me lo voi dà dal Colle devi ritornà
M5S – Se non me lo voi dà dal Colle devi ritornà

Colle – porcaccia la miseria la pastiera sta a aspettà
– porcaccia la miseria la pastiera sta a aspettà
sta storia de primarie ‘na frescaccia sta a creà!

Bers: non-siamo-mica-qui-a-togliere-i-canditi-dalla-pastiera: punto!!

Sto con Battiato e non con le caste dive violate

Eccoli eccoli i rivoluzionari  maculati,
quelli che
“sì! buttiamoli fuori, smacchiamo il parlamento”,
quelli che “che schifo quel Berlusconi, ci ha portati sul baratro”,
quelli che “le berlusconiane son tutte…”
quelli che “ah noi democratici non facciamo alleanze con la destra”,
quelli che “noi ecologisti non ci siamo accorti che Taranto fumava e moriva”,
quelli che “però se lo dice l’Europa, quel che dice non si tocca”,
quelli che “pagate pagate… tanto noi prendiamo 600 mila euro l’anno e voi 600 al mese quando vi concediamo di lavorare”,
quelli che “beh choosy no, ma ciucci sì”,
quelli che “la scuola pubblica si deve arrangiare e meritocratizziamo il diritto allo studio”.
Eccole eccole le signore delle legislature che lasciano passare le leggi Fornero tappandosi il nasino incipriato.Eccoli eccoli i rivoluzionari che troia è la patria di Ettore (quello sfigato) ma certe parole non si dicono.Bravi bene bis.

E siete anche andati a cooptare un’artista che ha sempre parlato e cantato con limpida chiarezza il suo pensiero e pensavate, ma davvero? che bastasse mettergli sul collo una “carica istituzionale” per addomesticarlo? Fate pena.
Io non uso e disapprovo le parolacce, e sono così da sempre, non solo; alcuni testi di Battiato, e lo dico chiaramente, mi mettono a disagio.
Ma voi non mi mettete a disagio, voi mi fate solo sdegnare contro l’ennesima ventata di sporca ipocrisia.
Battiato? non ve lo meritate. E se non si piega alle vostre mandarinate del potere, del solito potere, fa benissimo.L’arte risponda solo a se stessa, e questo non lo potete sostenere solo quando sono in gioco film porno o mostre di pessimo gusto. Bevete il bicchierone di me…lma, ve lo siete meritato. Alla vostra salute!

Cuccuruccuccù
la paloma
non è un gattopardo
cuccuruccuccù
e lo dovevate sapere al primo sguardo
chi canta da quarant’anni
“c’è chi si mette gli occhiali da sole
per avere più carisma e sintomatico mistero”
che tu voglia o non voglia,
gattopardo italiano,
aveva letto ben oltre
la boccia di vetro
del giaguaro nostrano

E mo’ ve l’ho detto e ve saluto col sorrisetto di chi non s’è venduto…

Signore mie non sono,
non sono una di voi
e le unghie su Battiato
non son gesti da eroi.

Se il pollaio è agitato
lo è per senno di poi.
Dov’eravate prima?

A setacciar farina?
Ad impastar il pane
ad agitar sottane?

Signore il femminile
non scende, no, in cortile.

Le iperboli in figura
non son la fregatura.

Lo son semmai le offese
alla gente, indifesa,
l’esclusione sociale:
ah sì, quella fa male.

Caro Battiato, noi lo sapevamo.

E’ sempre più difficile valutare la veridicità di una notizia specie quando è lanciata in modo clamoroso, direi dunque che sia preferibile astenersi sugli apprezzamenti di Franco Battiato riguardo la politica italiana e le inquiline, passate o presenti del nostro parlamento.
Anni di affermazioni enfatizzate e poi smentite ci hanno portato sulla giudiziosa sponda dello scetticismo e del dubbio.
Sarebbe tuttavia, nel caso, interessante rispondere non solo a Battiato, a cui dobbiamo comunque giusta riconoscenza per il dono di lunghi anni di felicità artistica, che abbiamo imparato a vivere nel fango senza nemmeno sporcarci le scarpe e che le illusioni sulla possibilità di avere il migliore dei parlamenti possibili le abbiamo serenamente congedate da tempo. Siamo vissuti per decenni in una società di cui oggi è anche troppo facile additare e denunciare corruzione, malaffare e imbrogli disgustosi.  Molti di noi hanno vissuto la lunga stagione del nostro scontento, ma l’abbiamo vissuta ad occhi aperti; abbiamo capito e riflettuto su quanto accadeva, abbiamo subito e sopportato ingiustizie pesanti, ci siamo sentiti definire guastafeste perché dissidenti rispetto al generale garrulo ottimismo per una realtà che poteva apparire levigata e attraente, ma era corrotta seminatrice di corruzione. Non era difficile immaginare che le cordate, il familismo e nepotismo, le complicità, il clientelismo le seducenti connivenze degli omini di burro non potevano portare al bene comune. Gli infestanti hanno ben impestato il nostro terreno ed è stato sempre più faticoso tenere pulita l’aiola sotto casa. Per questi motivi non siamo cascati dal pero quando hanno cominciato a circolare il libri sulla casta e quando l’argomento è diventato, per dir così, businnes per pubblicisti di successo che hanno piantato larghi e proficui vigneti imbottigliando il vinello agro del moralismo.

Ma la stagione dello scontento non è stata, per noi, anche la stagione dell’invidia perché mai avremmo voluto essere al posto di quelli che le vacanze solo nei resort o nelle ville esclusive di amici, quelli che i compensi sono solo a sei zeri, quelli che la barca, quelli che l’aereo anche privato non basta, quelli che i figli studiano solo all’estero e, potremmo dirne tante, non devono mai chiedere.
E siccome quello che non abbiamo avuto non ce lo possono togliere, direi a Battiato che probabilmente ha ottime e condivisibili ragioni, ma se è vero che ha detto che “ognuno è artefice del proprio destino” si rassicuri: non ci possono togliere nemmeno quello. Se il mio (o nostro) destino è stato di una pulita autoesclusione ebbene ce la siamo scelta liberamente perché farsi corrompere è molto ma molto più facile che rifiutarsi. No, non è mai troppo tardi per accorgersene, e se ne accorgono anche gli artisti; ma c’è stato un altro straordinario poeta e musicista, forse il più grande di tutti, che lo aveva, almeno in parte, detto e denunciato nella sua indimenticata “Quello che non ho” (1981). Quel testo dolente è grandissima denuncia. Ha anche detto che dal letame nascono i fiori, e noi che ci abbiamo creduto ora ci crediamo anche di più.